Pistoia, 21 novembre 2010

Signor Sindaco, Monsignor Bianchi, Autorità.
Signore e Signori.
Un saluto particolare alle personalità insignite quest’anno del Premio La Pira, un benvenuto al Sig. Presidente della Repubblica d’Albania.

Da 28 anni a Pistoia, grazie al Centro Donati e al suo Presidente Giancarlo Niccolai, nel nome di Giorgio La Pira, viviamo una giornata – quella del Premio della Pace, Cultura e Solidarietà – che rappresenta un importante momento di riflessione e di impegno.
Quest’anno voglio aprire questo mio intervento con le parole di Aung San Suu Kyi, la leader dell’opposizione non violenta della dittatura in Birmania, premio Nobel per la pace, liberata il 13 novembre scorso, dopo aver trascorso 15 degli ultimi 21 anni in prigionia, per decisione arbitraria della giunta militare del suo Paese.
La signora Aung San Suu Kyi ha dichiarato di “non provare rancore” per i suoi carcerieri e alla folla immensa convenuta per festeggiarla ha detto: “La base della democrazia è la libertà di parola. Niente può essere raggiunto senza la partecipazione della gente. Dobbiamo camminare assieme. Insieme decideremo quello che vogliamo. Non perdete la speranza. Non c’è motivo di farsi scoraggiare”.
Le sue parole, per me, costituiscono un modello di comportamento, un segno efficace e concreto.
Ci fanno vedere come la libertà sia più forte dei regimi dittatoriali e che dipende da noi, da ognuno di noi, la possibilità di costruire un futuro più degno, più libero e più giusto, per le persone e per i popoli.
In Italia, certamente, la situazione è enormemente diversa: la democrazia, seppur insidiata e a tratti impoverita, segna la vita del nostro Paese, è ormai nel cuore e nelle consuetudini della stragrande maggioranza dei cittadini.
Tuttavia viviamo anni difficili, fatti anche di mediocrità, di perdita di valori fondamentali; esempi negativi, disprezzo di regole, di un’etica pubblica, vengono talora anche dalle istituzioni.
Sembra attenuarsi o addirittura perdersi la speranza nel domani, dietro i colpi della crisi economica – qui da noi ignorata o comunque sottovalutata dal governo – che si accanisce verso il mondo del lavoro, i giovani, i più deboli, le famiglie a reddito medio-basso.
Non bisogna rassegnarsi, arrendersi. C’è un’Italia dell’impegno, della solidarietà, che merita fiducia: i media ufficiali la ignorano, ma su di essa si può fare affidamento. È quella qui presente attraverso personalità come quella di Don Ciotti, Padre Sarotto, Padre Rios, Luigi Cardini, il gruppo musicale del Movimento dei Focolari. L’Italia reale, in tutti i campi di attività, è migliore di quella che oggi è rappresentata.
Si deve fare riferimento alla nostra Costituzione, ai suoi valori, alla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: essi fondono la indissolubilità di libertà e giustizia, uguaglianza e concordia.
Dobbiamo saper mantenere uniti, e non a parole, l’«io», il diritto ad affermare la dignità, la creatività di ogni persona, e il «noi», il rapporto con gli altri, la solidarietà verso la famiglia umana, senza la quale la vita stessa perde di senso.
Bisogna sentire sdegno morale e impegnarsi contro ogni discriminazione; non avere paura, non mercanteggiare un voto con il rispetto dei diritti umani, non chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie e alla povertà. Occorre far vivere nel concreto della società, nella politica e nelle istituzioni, lo stupendo articolo 3 della nostra Costituzione: “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.
È indispensabile una nuova cultura: deve essere superato il binomio amico-nemico come asse della convivenza sulla quale ci si è basati all’interno delle nazioni e nelle relazioni internazionali.
Anche a questo obiettivo deve essere finalizzata la piena realizzazione della dimensione politica dell’Unione Europea. Dobbiamo dare all’Europa un progetto, un’anima, lo spessore di un ideale condiviso.
Vogliamo che nel mondo del XXI secolo, sappia essere una grande potenza civile – civile, non militare -, protagonista nel costruire la pace, affermare ovunque i diritti umani, dar vita ad uno sviluppo, orientato dalla centralità della persona, dalla sostenibilità ambientale, dal superamento degli squilibri esistenti tra ricchezza e povertà. Bisogna voltare pagina, operare una svolta epocale: l’inizio del nuovo secolo è attraversato da guerre, riarmo, estendersi di bacini di odio, dal Medio Oriente all’Afghanistan. Fino a pochi anni fa per l’ovest il nemico era il comunismo, per l’est il capitalismo: oggi tramontati i regimi autoritari del socialismo reale, ci viene presentato lo scenario dello scontro di civiltà, tra occidente cristiano e mondo islamico.
Dobbiamo sconfiggere queste visioni. Lo stesso Irak è ancora lì a dimostrarci le sciagure della guerra: nessuna vera soluzione dei problemi può essere affidata alla sola forza delle armi.
Voglio cogliere l’occasione di questa giornata per chiedere per l’Irak – ancora senza un governo, dopo tanti mesi dalle elezioni – pace, sicurezza per tutti i suoi cittadini, garanzia di rispetto per le sue etnie, religioni, culture. Ancora nell’ultimo mese vi sono stati gravi attentati a chiese e moschee.
Persecuzioni, specie di cristiani, emigrazioni forzate, per timori della propria vita, devono cessare.
In quel Paese, così come nell’interminabile conflitto tra Israele e palestinesi, l’Unione Europea non può continuare ad essere senza voce e senza una presenza politica forte e autorevole.
Per il mondo, che deve vivere come un villaggio globale, – ce lo diceva sempre il nostro indimenticabile Padre Balducci – occorre assumere obiettivi comuni, da realizzare insieme: la messa al bando delle armi nucleari e di distruzione di massa; la riduzione delle spese militari; uno sviluppo socialmente degno, fondato su giustizia e uguaglianza, ambientalmente sostenibile. All’interno delle nazioni è necessaria una integrazione positiva, rispettosa di differenze che, nel rigoroso riferimento da parte di tutti i cittadini alle Costituzioni democratiche e ai diritti umani, arricchiscono le nostre società.
L’Italia deve saper accogliere quanti vengono qui da noi da altri paesi, per svolgervi in modo onesto un lavoro o chi vi cerca un asilo politico – che le nostre leggi non assicurano in modo adeguato – per trovare un rifugio da guerre, persecuzioni, disastri ambientali.
Il diritto alla sicurezza, alla legalità che la democrazia deve assicurare non può essere contrapposto alla solidarietà, a preclusioni che sostituiscono alla civiltà l’egoismo.
L’esclusione, l’emarginazione non feriscono solo chi ne è vittima: distruggono la coesione del Paese.
Alcune forze politiche e culture diffondono oggi la divisione: tra giovani e anziani; tra lavoratori del privato e del pubblico; tra Nord e Sud; tra italiani e immigrati.
La novità di questi ultimi anni è la forte presenza in Italia di bambini e ragazzi, nati da genitori extracomunitari: sono 600.000. Questi bambini frequentano la scuola, parlano due lingue, in ogni caso certamente l’italiano, ma giuridicamente sono ancora stranieri, non hanno la cittadinanza italiana, non sono titolari della pienezza dei diritti.
È una vergogna.
È un mondo che bussa all’Italia, la fotografia di un Paese nuovo, che verrà. Anzi è già presente, che richiede ancor più attenzione e impegno verso la scuola, perché in essa si dà, con la possibilità di imparare, quella uguaglianza di opportunità di vita, che deve essere assicurata dalla Repubblica.
Così vuole la nostra Costituzione.
Sulla scuola, sull’istruzione, sulla formazione non si può risparmiare: sono il cuore dell’uguaglianza tra i cittadini, senza la quale ogni discorso sul merito diviene una ipocrisia. E costituiscono la via maestra per il progresso di ogni paese.
Abbiamo il dovere di rimuovere gli impedimenti che privano la persona, ogni giovane, del suo futuro, della possibilità di realizzarsi e di contribuire allo stesso sviluppo dell’Italia.
Un’ultima parola sulla legalità, che quest’anno – viste anche le personalità insignite del premio, in primo luogo il Procuratore Nazionale Antimafia Pietro Grasso – costituisce un riferimento forte di questa giornata.
Deve essere scritta non solo nelle leggi, ma nel modo di funzionare delle istituzioni, nel senso comune dei cittadini. La legalità deve diventare un presidio irremovibile della società civile. Senza legalità non possono affermarsi solidarietà, giustizia, uguaglianza; viene meno l’etica pubblica; trovano varchi e prosperano le associazioni criminali.
Accanto alle preoccupazioni, a ombre che amareggiano,  dobbiamo saper vedere, incoraggiare, sostenere un movimento di impegno e resistenza civile, contro le criminalità e per la legalità.
È in questo quadro che lo Stato sta ottenendo importanti successi, frutto di una collaborazione tra Magistratura e Forze dell’ordine.
È un successo dell’intero Paese. Dà fiducia, convinzione nella possibilità di liberare territori dai condizionamenti della grande criminalità.
Perché le mafie siano debellate, c’è bisogno della consapevolezza e della partecipazione dei cittadini; c’è bisogno che ognuno di noi senta come inseparabili diritti e doveri, che per nessun motivo si rinunci all’impegno, ci si rifugi nell’indifferenza.
Per questo mi piace concludere con le parole di Roberto Saviano, pronunciate qualche giorno fa, nella trasmissione di Rai 3 ‘Vieni via con me’: “C’è un esercito di persone che combatte quotidianamente le organizzazioni criminali, non solo con le armi o con le bilance della giustizia ma soprattutto facendo bene il proprio mestiere ed è una delle cose che le organizzazioni temono di più: agire da uomini e con dignità. Non piegarsi, non chiedere come un favore ciò che ci spetta per diritto. Ogni volta che si sentono questi discorsi e si pensa che siano lontano da noi, ogni volta che diciamo: ecco si ammazzano tra loro, facciamo un regalo a loro. Queste storie sono le nostre storie. Quando senti che l’ultimo dei sindaci, nel paese più piccolo, nella parte più estrema dell’Italia viene ucciso perché ha fatto bene il suo lavoro, e senti quel sindaco come il tuo sindaco allora qualcosa sta cambiando. C’è una frase di Tolstoj molto bella che dice: ‘Non si può asciugare l’acqua con l’acqua, non si può spegnere il fuoco con il fuoco, non si può combattere il male con il male’. Nel momento in cui ognuno di noi non fa il male sta facendo arretrare la criminalità e sta sognando un’Italia diversa”.
Sono parole giuste, che indicano una via, non solo per la legalità, ma anche per la solidarietà, per l’affermazione della non violenza, dei diritti umani, per costruire, giorno dopo giorno, la pace.