Il dialogo in questo avvio di nuovo secolo sembra essere archiviato. Eppure oggi più che mai ne avremmo tanto bisogno. Soprattutto di un dialogo vero, consapevole della propria identità, fondato sulla capacità di ascolto, sulla conoscenza e sul rispetto degli altri, sulla disponibilità a cambiare le proprie idee. Il cattivo esempio, anche qui, arriva dalla politica, dove persino i responsabili dei governi, a partire dal presidente degli Stati Uniti Trump, si parlano via Twitter. E una comunicazione per orientare i seguaci, non un confronto. Abbiamo più notizie, ci scambiamo più messaggi ma non ci conosciamo: i rapporti umani si impoveriscono e cresce la solitudine. Ritengo che all’inizio di una nuova epoca della storia umana, densa di potenzialità e rischi, mentre intorno a noi cambia tutto, sia necessario contribuire a realizzare ponti, non abbatterli. Inventare occasioni di confronto, non chiudersi nell’autosufficienza, dar vita, per quello che si può, a un dialogo tra religioni, culture, scienza.
Siamo in Occidente, meglio in Europa, e da noi la secolarizzazione per una fase storica non ha comportato solo un giusto spostamento di confini tra religioni e dimensione politico-statuale, ma anche una marginalizzazione dei credi religiosi, ritenuti a lungo residui arcaici, se non superstizioni. Non è così nel resto nel mondo. Non è obbligatorio avere una fede e meno che mai può essere imposta, ma è interesse della democrazia e della società che chi ha fede non si senta un estraneo, quasi sopportato se non la nasconde nel segreto dell’animo. Di fronte alle sfide che l’umanità deve affrontare, dal dilagare di internet all’ecologia, dalle nuove frontiere della scienza, che avrà il potere di manipolare la vita, ai rischi di distruzione del pianeta, il contribuito che le religioni possono dare a un avanzamento della civiltà appare fondamentale […]