La famiglia si conferma il principale strumento di protezione per chi perde il lavoro. Lo ha dimostrato uno studio della Banca d’Italia.
In Italia, le famiglie in cui tutti i componenti sono senza lavoro sono meno rispetto ai principali paesi europei, nonostante il numero sia aumentato del 10% rispetto allo scorso anno. Ciò è dovuto al fatto che nel nostro paese ci sono meno famiglie con un solo componente in età di lavoro, a una maggiore tendenza a vivere in famiglie con più adulti oltre al capofamiglia e al coniuge, alla tendenza a costruire un nucleo familiare solo se occupati.
Il ruolo di protezione ricoperto dalle famiglie testimonia l’esistenza di un patrimonio sociale che è una ricchezza del nostro paese, ma evidenzia anche alcune criticità: i nostri giovani, e più in generale i lavoratori, dovrebbero essere messi nelle condizioni di trovare un lavoro dignitoso o di ricollocarsi grazie alla mobilità del mercato del lavoro. Così non è. Inoltre, se la famiglia costituisce una delle principali forme di tutela, significa che le differenti possibilità economiche delle famiglie determinano una diversità nel livello di protezione.
Lo studio evidenzia un dato allarmante, legato anche alla crisi economica: i figli corrono il rischio di regredire rispetto alla condizione socio-economica dei genitori. Tra il 2008 e il 2009 il tasso di occupazione della popolazione tra i 15 e i 64 anni è diminuito dell’1,2% e questa flessione è ascrivibile per lo 0,9% ai figli e solo lo 0,3% ai capifamiglia. E’ preoccupante il fatto che i nostri giovani siano appena un quinto del totale degli occupati e contribuiscano per quasi il 70% all’aumento del tasso di disoccupazione. Ciò è dovuto al calo della domanda di occupazione – che colpisce in particolare chi si affaccia per la prima volta nel mercato del lavoro –, alla maggiore diffusione tra i giovani dei contratti precari – che in tempi di crisi non vengono rinnovati – e al fatto che il sistema di tutele garantisce di più chi ha un contratto di lavoro stabile.
L’Italia si trova in una situazione che impedisce un percorso di crescita del paese. Il livello medio dei redditi costringe milioni di cittadini a fare i conti al centesimo per arrivare a fine mese, senza poter avere accesso a consumi non di prima necessità. Il mondo del lavoro precarizzato scoraggia l’intraprendenza e priva i giovani della possibilità di costruirsi un futuro stabile.
E’ necessaria una svolta. Bisogna dare avvio a uno sviluppo sostenibile e varare riforme nel campo del lavoro e del fisco: così potremo favorire la nascita di nuove opportunità di lavoro in un mercato più equo, sostenere i redditi della famiglie e gli investimenti delle imprese. La proposta del Pd sul fisco mira a dar manforte ai ceti a reddito medio-basso e alle famiglie, sposta il carico fiscale dal lavoro alle rendite finanziarie e ai patrimoni.
Proponiamo anche la creazione di un diritto unico del lavoro, incentivando il contratto a tempo indeterminato attraverso il minor costo della stabilità rispetto alla precarietà, estendendo gli ammortizzatori sociali a tutti i precari, introducendo una base di “diritti di cittadinanza” per tutte le forme di lavoro.
Voglio fare, in questa circostanza, una considerazione sulla delicata situazione politico-istituzionale. Le pressioni che in questi giorni vengono esercitate da parte della destra nei confronti del Capo dello Stato sono scorrette e prive di fondamento.
Occorre ricordare che la nostra è una repubblica parlamentare, in cui il Presidente del Consiglio non è eletto direttamente dal popolo ma incaricato dal Presidente della Repubblica sulla base delle indicazioni espresse dalla maggioranza parlamentare. Se adesso, dopo la formalizzazione della crisi di governo, il Parlamento dovesse esprimere una nuova maggioranza, la formazione di un nuovo governo sarebbe costituzionalmente più che legittima.
L’ipotesi, più volte ventilata da parte della destra, di uno scioglimento della sola Camera dei Deputati dimostra invece quanto la sua azione sia caratterizzata dalla strumentalità e dal perseguimento di un esclusivo interesse di parte. Quando, nel 2008, il governo Prodi ebbe la maggioranza alla Camera e venne sfiduciato al Senato, autorevoli esponenti politici e di diritto costituzionale fecero presente che si sarebbe potuto sciogliere soltanto il Senato. La destra rifiutò categoricamente questa ipotesi e in modo politicamente legittimo sostenne lo scioglimento e il voto per Camera e Senato. Così avvenne. Per questo oggi non possiamo accettare furbate di comodo.
L’obiettivo primo sono le dimissioni di Berlusconi. Una volta aperta la crisi ricercheremo con il massimo impegno la realizzazione di un governo di transizione, di responsabilità nazionale, che affronti la priorità lavoro, l’emergenza economica, la riforma della legge elettorale. Nell’interesse del nostro paese mi auguro che ciò sia possibile.
La questione è più complessa: negli anni 70 e in parte 80 si trovava lavoro con una certa facilità e l’Italia era in testa alle graduatorie dei redditi. Oggi si guadagna meno, si trovano pochissmi lavori corrispondenti alle aspettative e c’è un regime di semi-sfruttamento immorale.
Vi ricordate l’infelice uscita di Padoa Schioppa sui bamboccioni? che cazzata che disse! come si vede ancora in questo blog molti non sono bamboccioni per scelta.
Il problema non è solo che i figli sono licenziati più dei genitori, ma anche che guadagano meno o fanno lavori meno qualificati.
Dice bene Chiti: “Il mondo del lavoro precarizzato scoraggia l’intraprendenza e priva i giovani della possibilità di costruirsi un futuro stabile”.
L’aspetto motivazionale va considerato, è molto importante. Togliere motivazioni e speranza è un omicidio
Chiti, a proposito di attacchi a Napolitano, ha visto cosa ha scritto quel bastardo di Belpietro sul suo giornalaccio?
Incredibile ma vero, il caimano non muore manco stavolta e come d’incanto pare che il 14 dicembre berlusconi abbia la maggioranza anche alla camera.
attilio, ma tu veramente pensi che l’unica priorità sia perseguitare berlusconi e mandarlo via a calci? non è forse questa una guerra di potere come quella che attribuite a lui?
Caro Corrado, ha ragione: il calo dell’offerta di lavoro, la diminuzione del potere d’acquisto e la precarizzazione del lavoro sono tutte cause determinanti della crisi in cui versa il nostro paese.
Il primo problema andrebbe risolto attraverso politiche che incentivino l’innovazione, la ricerca, la nascita di nuove imprese nei settori con maggiori potenzialità di crescita. Una seria politica industriale è una necessità per il rilancio dell’Italia, il governo di destra invece non sembra averlo capito.
La diminuzione del potere d’acquisto è un problema che si trascina da diversi anni e che segue un trend regressivo costante. Anche qui servirebbe una seria politica a livello di governo per sostenere i redditi da lavoro, per esempio agendo sulla leva fiscale. Occorre però aggiungere che una parte della responsabilità deve ricadere anche sulle imprese e le società: come ha sottolineato anche l’amministratore delegato della Fiat Marchionne, la sfida da vincere è quella di avere una maggiore produttività con stipendi più alti. Secondo le stime dell’ Organizzazione Internazionale del lavoro, a parità di potere di acquisto, gli stipendi reali sono diminuiti in Italia del 16% circa tra il 1988 e il 2006. Questo è un dato allarmante.
Contro la precarizzazione del lavoro servono norme severe che colpiscano chi mette in atto forme di sfruttamento con l’utilizzo fraudolento degli strumenti della flessibilità. Il Pd ha elaborato una proposta volta a creare un “diritto unico del lavoro”, rendendo il contratto a tempo indeterminato più conveniente per il datore di lavoro rispetto ai contratti “atipici”.
Cara Simona, la dichiarazione di Padoa Schioppa ebbe un effetto negativo sull’opinione pubblica, ma l’intenzione dell’allora ministro dell’economia era diversa. Intendeva spronare i giovani a darsi da fare e prendere la loro strada professionale, anche grazie alle politiche che il governo Prodi intendeva mettere in campo. Qualcosa venne fatto, ma purtroppo la fine anticipate della legislatura ci impedì di completare il percorso che avevamo in mente.
Senza dubbio oggi i giovani italiani si trovano a dover superare molte difficoltà per poter decidere di lasciare la casa dei genitori e costruirsi una propria vita. Come dicevo prima a Corrado, la disoccupazione giovanile, il livello troppo basso dei redditi, l’incertezza contrattuale in cui versano milioni di lavoratori sono ostacoli che scoraggiano le nuove generazioni.
Caro Marcello, il rischio di non poter migliorare né pareggiare la qualifica lavorativa dei genitori è un’ipotesi concreta per molti giovani. Tuttavia ritengo che l’ importante sia la possibilità per ciascuno di realizzare le proprie aspirazioni, a prescindere dal livello della qualifica, o per lo meno di avere un lavoro dignitoso. Il fatto che molti figli non riescano a raggiungere il livello di retribuzione dei genitori o a realizzarsi secondo i propri desideri è sintomo di un paese che non progredisce.
Caro Francesco, la speranza nel futuro è un diritto dei nostri giovani. Non possiamo permetterci di privarli della possibilità di avere aspirazioni, la voglia di costruirsi l’avvenire che immaginano. Rilanciare l’Italia attraverso uno sviluppo nuovo e sostenibile significa anche incentivare i nuovi settori professionali, valorizzare le specializzazioni universitarie, sviluppare la ricerca per l’innovazione.
Caro Carletto, ho ritenuto doveroso rilasciare una dichiarazione per esprimere il mio dissenso verso quei giudizi rivolti dal quotidiano Libero al Capo dello Stato. Si è trattato di attacchi inaccettabili, da cui emerge una scarsa conoscenza delle prerogative del Presidente della Repubblica, in cui si ignorano la serietà e l’impegno con cui Giorgio Napolitano ricopre il suo ruolo istituzionale.
Trovo inconcepibile che lo scontro politico arrivi a coinvolgere il garante della Costituzione italiana e dell’unità del paese.
Caro Attilio, non so cosa accadrà il 14 dicembre alla Camera e al Senato. La mia opinione è che questa maggioranza non c’è più, l’azione del governo è inesistente e di conseguenza anche l’attività delle camere è quasi paralizzata. Siccome l’Italia arranca sotto i colpi della crisi e non può permettersi di non essere governata, Berlusconi deve dimettersi e lasciare spazio a un governo di responsabilità nazionale che gestisca una necessaria transizione. Mi auguro che non vada in scena , ancora una volta, l’inaccettabile compravendita dei parlamentari. Sarebbe un altro colpo inferto alla credibilità delle nostre istituzioni.
Cara Martina, non si tratta di perseguitare qualcuno. Né la richiesta di dimissioni può definirsi una guerra di potere. Si tratta solo di chiudere una pagina di governo negava. Berlusconi ha fallito, la destra ha governato poco e male. Di questo si è reso conto anche uno dei cofondatori del Pdl, Gianfranco Fini. Dopo due anni e mezzo con una larga maggioranza in Parlamento, il governo non ha saputo affrontare adeguatamente la crisi e l’emergenza lavoro, ha inferto un colpo durissimo alla scuola e all’università – come dimostrano le grandi manifestazioni di protesta che in questi giorni vedono uniti studenti, docenti e ricercatori – non ha realizzato nemmeno una delle tante promesse fatte agli italiani. Le priorità per l’Italia sono alcune misure per affrontare in modo adeguato la crisi economica che colpisce soprattutto i ceti a reddito medio-basso, i giovani e le imprese; un nuovo sviluppo sostenibile incentrato sulla green economy; alcune modifiche al mercato del lavoro per eliminare delle forme di precariato odiose; il sostegno al settore dell’istruzione e della ricerca; una riforma che renda il nostro fisco più equo.
Su tutti questi argomenti il Partito Democratico ha le sue proposte ed è pronto a proporsi agli italiani per una nuova stagione di governo.