Il Vice Presidente del Senato: «Inaccettabile la pena di morte decisa da uno Stato. Con l’Europa unita dobbiamo fare pressione su Teheran»
ROMA – La pena di morte data da uno Stato è sempre e comunque inaccettabile. Nel caso di Sakineh c’è anche la percezione netta di processi falsati, di prove “costruite” con la tortura. Una ragione in più che rafforza lo sdegno e sollecita un impegno immediato per impedire che la condanna a morte venga eseguita». A sostenerlo è Vannino Chiti, vice presidente (Pd) del Senato. «Occorre agire, mobilitare le coscienze, mettere in atto ogni impegno per contribuire alla liberazione di Sakineh – aggiunge Chiti -. «Il nostro Paese deve essere in prima fila per la difesa di una giovane donna iraniana e per garantire il rispetto di ogni essere umano, sempre». «La pena di morte è inaccettabile in qualunque latitudine e mettere al centro i diritti dell’uomo è un dovere di tutti gli stati. La mano del boia di Teheran si sta abbattendo ancora una volta su una donna a cui è negato il diritto alla difesa. Una vicenda emblematica che deve servire a rilanciare nel mondo la moratoria contro la pena di morte», affermano in una nota congiunta i capigruppo del Pd al Senato, alla Camera e al Parlamento europeo Anna Finocchiaro, Dario Franceschini e David Sassoli. «Non possiamo rassegnarci all’idea che il rispetto dei diritti umani e civili – aggiungono Finocchiaro, Franceschini e Sassoli – resti una prerogativa dei più fortunati e la libertà di cui godiamo nei nostri Paesi non potrà mai dirsi piena fintanto che continueranno a perpetrarsi nel mondo atti di inciviltà e violenza come quello di cui è vittima Sakineh».
La condanna a morte di Sakineh Mohammadi Ashtiani sarebbe imminente, forse già oggi. Come reagire?
«Mettendo in campo una iniziativa diplomatica forte, unitaria, a livello di governo ed europeo. L’Europa deve far sentire il suo peso su Teheran. E parlare con una voce sola. Non c’è tempo da perdere. La mano del boia deve essere fermata…».
Fermata per salvare al vita di una donna che è diventata anche un simbolo.
«Sì, Sakineh è diventata il simbolo di una situazione della donna che non riguarda solo l’Iran ma anche altri Paesi musulmani, Paesi dove la donna è subalterna all’uomo nel diritto di famiglia, nella vita pubblica ed anche di fronte ai tribunali. La vita delle donne in quei Paesi vale meno, molto meno di quella degli uomini. La pena di morte data da uno Stato è sempre e comunque inaccettabile, ma nel caso di Sakineh c’è un di più che va denunciato…».
In cosa consiste questo «di più»?
«Mi riferisco alla percezione netta e diffusa di processi falsati, di prove “costruite” con la tortura. Ad essere calpestati in questa vicenda sono stati anche i diritti della difesa. Tante ragioni in più che rafforzano lo sdegno e sollecitano un impegno immediato per impedire che la condanna a morte venga eseguita. Per l’Italia questo impegno rappresenta anche un dovere di coerenza…».
Rispetto a cosa?
«L’Italia è stata protagonista, alcuni anni fa, dell’affermazione all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite di una risoluzione per la moratoria delle esecuzioni capitali. Una battaglia di civiltà, è bene rimarcarlo, che ha visto unite tutte le forze politiche italiane. Un’unità d’intenti che deve vivere anche oggi nella richiesta che Sakineh abbia salva la vita».
Da più parti si rileva che i diritti umani siano marginali nelle relazioni fra Stati…
«Il tema dei diritti umani deve essere presente nelle relazioni diplomatiche come nella stessa cooperazione internazionale. E devono essere presenti, per restare al caso di Sakineh, non per rompere le relazioni con Teheran ma per far sì che questo tema viva in ogni atto, per ché non sia mai dimenticato. E questo anche per far capire che i diritti umani, la loro difesa, così come il rifiuto della pena di morte non so no valori dell’Occidente ma sono valori dell’umanità. Insisto su questo punto: le forze più conservatrici a Iran respingono i diritti umani sostenendo che essi sono il portato dell’Occidente “colonizzatore”. Come se i diritti umani siano di per sé incompatibili con l’Islam. Non è così. I diritti umani sono un valore su cui può progredire la convivenza dell’umanità. Un terreno che deve unire».
Umberto De Giovannangeli