Chiti dice sì a un governo tecnico. E risponde a Matteo
Vannino Chiti – Pd, Vice Presidente del Senato –, partiamo dalle regole del gioco: la legge elettorale. Lei sarebbe d’accordo con un governo a termine per scriverne una nuova?
“Sì, sarei d’accordo. Intanto però penso che l’attuale governo abbia il dovere di venire in Parlamento per verificare prima se esista una maggioranza per andare avanti. Se la maggioranza non c’è, il presidente della Repubblica deve verificare se ci sono le condizioni per formare altri governi. Non c’è dubbio che l’interesse del Pd sarebbe di andare prima possibile a elezioni. Perché una maggioranza che è tra le più consistenti nella storia della Repubblica è venuta meno, è fallita, dopo poco più di due anni; e non aveva due senatori in più come noi, ma 43. Ma la situazione del nostro Paese non richiede di mettere l’interesse di parte davanti all’interesse generale, che è appunto di vedere se almeno ci può essere una nuova legge elettorale. Quindi sosterremo questa possibilità, ma per poterlo fare bisogna che ci sia una condivisione di una parte dell’attuale maggioranza e dell’opposizione in Parlamento, che insieme diano luogo a questa esperienza a termine. Poi, al voto”.
A proposito della legge elettorale, argomento su cui il professor Paolo Armaroli l’ha chiamata in causa sul Corriere Fiorentino (27 agosto), e su cui si discute in questi giorni (il Corriere della Sera ha lanciato un appello per l’uninominale, Bersani vorrebbe una correzione del sistema alla tedesca), lei cosa propone?
“Anzitutto una questione di metodo, che in politica è sostanza: io sono d’accordo con Bersani quando dice di verificare che prima esista una maggioranza di forze che vuole cambiare il Porcellum, e poi vedere qual è la posizione più largamente condivisa. Poi, nel merito: a me un ritorno al Mattarellum, cioè a una maggioranza di seggi attribuiti in collegi uninominali e una quota minore con il proporzionale, così da garantire un diritto di tribuna a forze meno consistenti, perché il Parlamento ha anche un’esigenza di rappresentanza del Paese, parrebbe una soluzione ottima”.
Cos’è che non va nella legge attuale?
“Il premio di maggioranza: non esiste in nessuna legge elettorale di paesi democratici europei, in questa forma. Il premio di maggioranza che scatta così ampiamente induce forze politiche a stare insieme anche se magari non c’è vera intesa sul programma di governo. E poi vanno tolte le liste bloccate”.
Anche la legge elettorale regionale toscana è da cambiare?
“Quando fu approvata, io sono stato fin dall’inizio tra i non molti contrari, nell’allora direzione regionale dei Ds, a questa legge. Non semplicemente perché venivano tolte le preferenze, ma per l’illusione che l’animava. Era chiaro che le primarie, essendo facoltative, non sarebbero state utilizzate. Le ha utilizzate solo il Pd e qualche altra forza. Quindi questa legge ha favorito un allontanamento fra cittadino e istituzione regionale, per questo credo che la legge elettorale toscana debba essere cambiata. Già è stato introdotto un aspetto importante nelle modifiche, con la riduzione del numero dei consiglieri: uno sbarramento del 4%, uguale sia per chi sta nell’alleanza sia per chi si presenta da solo. Ora si tratta di vedere se reintrodurre il meccanismo delle preferenze o introdurre, con attenzione, collegi uninominali; ma anche in questo caso, ancor più che a livello nazionale, se si introducono collegi uninominali su una base così ristretta come quella di un territorio regionale, bisogna avere una riserva di proporzionale. Altrimenti il Consiglio regionale si semplifica troppo e non c’è la presenza di forze pur significative nella società”.
Capitolo Pd. Il «Nuovo Ulivo» la fa sbadigliare come è successo a Renzi?
“Se si guarda ai contenuti e al merito, e non si fanno solo battute sulle sigle mi pare che non faccia sbadigliare, ma sia una proposta giusta, in ogni caso almeno da approfondire. Mi piacerebbe che giovani dirigenti come Matteo Renzi, che sono impegnati nella guida di importanti città di questo Paese, non perché hanno vinto un concorso ma perché il Pd e il centrosinistra li hanno sostenuti e sono stati bravi a farsi sostenere, dessero un contributo costruttivo a questo progetto”.
I vecchi dirigenti del Pd sono da rottamare?
“Oggi il segreto delle aziende per vincere le scommesse della competitività è tenere di conto le risorse umane. Un partito non è un’azienda ma, proprio per questo, ancor più il suo unico tesoro sono le risorse umane. Ci sono persone da formare, esperienze da valorizzare, dirigenti da valutare, ma non ci sono persone da rottamare. Un verbo che mi rifiuto di usare nei confronti delle persone e a una forza progressista non deve passare neanche per l’anticamera del cervello di utilizzarlo. Aggiungo che il congresso nazionale del Pd è alle nostre spalle: iscritti e cittadini hanno eletto Pier Luigi Bersani segretario. Non ha senso dar vita a congressi permanenti. Paradossalmente, noi lavoriamo per far finire l’epoca berlusconiana, ma se alla fine ci rimanesse addosso un modo di far politica che riecheggia quello che ha la destra in Italia non andremmo da nessuna parte”.
Una specie di berlusconismo di sinistra?
“È una domanda da fare a Renzi, più che a me. Io penso che non serva a Renzi e al Pd l’uso di messaggi che danno un’immagine negativa e distruttiva. Eppoi voglio dire un’altra cosa, con grande franchezza: a Firenze, nella guida della città, il rinnovamento si è realizzato, il sindaco Renzi e il vicesindaco Nardella, in due non hanno 80 anni. Allora il problema non è suonare le trombe per conquistare rinnovamento. Io sono stato convinto di questo disegno e ho cercato di dare una mano perché si realizzasse. Ora devono dare dimostrazione con un progetto alto per Firenze e con l’azione di governo: il contributo più forte che possono dare al rinnovamento della politica del Pd e anche dei quadri dirigenti è nella loro azione di governo della città che possa essere esemplare. Non con certe interviste più o meno urlate”.
Renzi sostiene di avere dalla sua parte l’80 per cento della base.
“Questa argomentazione effettivamente mi preoccupa. Bisogna stare attenti a forme di populismo, di plebiscitarismo, su cui uno poi costruisce idee e impostazione. Il web lo uso anche io, è un grande canale di comunicazione, ma non sostituisce le regole della democrazia. Il nostro statuto ha regole precise: se uno non era d’accordo si doveva battere prima che venisse approvato. Oggi fino al nuovo congresso queste regole valgono. Non posso pensare di sostituirmi io alle decisioni prese da tanti solo perché mi scambio messaggi sul mio sito: questo è il contrario di un partito, che vive con rigorose regole democratiche. Altrimenti diventiamo una specie di pullman, in cui si scende o si sale a piacimento, e questo non fa vincere. E se fa vincere non fa governare. Attenzione, perché come diceva Nenni ‘i puri che trovano sempre uno più puro che li epura’: anche un comunicatore trova sempre un comunicatore più comunicatore che lo scomunica”.
David Allegranti