Per rendere veramente il Pd un partito nuovo, capace di promuovere il cambiamento in senso riformista della società italiana, non si può fare a meno di misurarsi con le esigenze dei territori e con i problemi dei cittadini. Nell’era della globalizzazione il centralismo degli stati mostra la sua incapacità di fornire risposte efficaci.
Il Pd deve ancorarsi con più forza alle realtà territoriali, essere consapevole delle grandi potenzialità insite nel sistema federale e nel ruolo delle autonomie: è questa la strada per favorire oggi l’unità e la coesione del paese, in Italia e in ogni altro paese europeo.

Il Pd, con la scelta delle primarie, ha introdotto aspetti di innovazione nella vita delle forze politiche italiane. Le primarie non possono però sostituire una presenza continua, una azione politica organizzata sul territorio. Le stesse primarie hanno bisogno di regole, non soltanto in relazione a chi è legittimato a parteciparvi, ma anche in riferimento alle modalità per stabilirne il vincitore. Non si può essere candidati a sindaco, presidente di provincia o regione, presidente del consiglio se non si supera il 50 per cento dei consensi: altrimenti si scrive “primarie” ma temo che si legga “plescibitarismo”.
Per costruire un partito nuovo c’è bisogno anche di un diverso orizzonte culturale: le nostre radici, in qualunque modo si siano chiamate, non sono più sufficienti a produrre la politica progressista del XXI secolo. Il ‘900 è finito: lo dimostrano, per fare alcuni esempi, il venir meno nella politica della categoria delle “masse” e il nuovo spazio pubblico rivendicato dalle sedi religiose.

La sinistra non è riuscita a tenere unite difesa dei diritti civili e dei diritti sociali, mettendo in campo una rinnovata critica alle strutture economiche e all’organizzazione oligarchica dei poteri.
È questa la causa principale di una perdita d’influenza, del non affermarsi della vocazione maggioritaria.
Valori quali la solidarietà, la sussidiarietà, e la coesione sociale devono essere declinati non solo sul versante dei diritti ma anche su quello dei doveri. Bisogna saper dare risposte alle domande di sicurezza, formazione, valorizzazione personale come esito di fatica e sacrificio. Le forze progressiste per vincere devono unire il mondo dei lavori con l’elettorato moderato: un terreno d’incontro è quello che collega affermazione dei diritti ed etica della responsabilità.

Il Pd deve saper coniugare uguaglianza delle opportunità di vita e promozione del merito individuale – questo è il nuovo welfare da realizzare – e affermare la valenza sociale della questione ambientale.
Una forza progressista moderna deve essere in grado di cogliere e di promuovere la ricchezza della soggettività delle persone, non facendola disperdere in tanti piccoli orizzonti chiusi e privi di senso, ma ricostruendo a partire da essa legami di solidarietà.
Sta in questo il nostro essere alternativi alla destra che utilizza i processi di individualizzazione della società per esasperarne le divisioni: tra lavoratori del privato e quelli del pubblico impiego, tra giovani e anziani, tra Nord e Sud, tra italiani e immigrati.
Una forma partito realmente federativa, com’è in altri paesi europei – ad esempio la Spagna – è necessaria per sostenere questo progetto.

L’associazione “Politica e società” si è riunita sabato a Livorno per dare il suo contributo a questa riflessione.

Vannino Chiti