Il governo vara una manovra economica dura, chiedendo grandi sacrifici agli italiani. Era inevitabile che si arrivasse a questo punto? No. La manovra poteva essere molto più leggera, pari alla metà dei 24 miliardi annunciati. Lo aveva del resto dichiarato lo stesso Ministro Tremonti. Perché allora un sacrificio così pesante, inferiore soltanto alla famosa manovra del governo Amato del 1992? A differenza di altri paesi europei il governo italiano non ha varato – come chiedeva il Pd – interventi di stimolo all’economia, di sostegno ai disoccupati, a chi si trovava in difficoltà economiche. Né le nostre banche hanno avuto bisogno dell’aiuto dello Stato. L’aumento della manovra è stato determinato per 5 miliardi di euro da minori entrate fiscali e per 5 miliardi da un incremento della spesa corrente dei ministeri. In questi due anni il governo ha sperperato denaro pubblico. Per esempio: mentre la crisi montava ha impegnato ingenti risorse per togliere l’Ici ai più ricchi e per far saltare l’accordo tra Alitalia e Air France, accollando agli italiani i debiti della compagnia aerea. Altro esempio: l’estensione dei provvedimenti di emergenza a normali opere pubbliche, attraverso cui la Protezione civile ha affidato numerosi appalti, nei settori più disparati, senza bandire gare. Questo sistema, con la totale assenza di meccanismi di controllo, reca in sé il rischio di una lievitazione dei prezzi e di possibili degenerazioni. Fino a pochi giorni fa il Presidente del Consiglio negava la crisi stessa e la necessità di una manovra correttiva.

Il Pd da due anni propone misure che ci aiutino ad uscire dalla crisi e sollecitino l’avvio di uno sviluppo nuovo e sostenibile. I sacrifici, pur necessari, devono essere equi e finalizzati ad una strategia di superamento della crisi. Il Governo, invece, si limita a navigare a vista, senza una visione per il futuro dell’Italia. Se si fosse pensato al futuro già due anni fa, oggi non ci troveremmo a dover subire una manovra così dura. Nel provvedimento, non ci sono misure strutturali. Nessun sacrificio può essere imposto a chi ha un reddito medio-basso e invece tutti gli stipendi del pubblico impiego (autonomie locali, Regioni, Stato, Scuola, Forze dell’ordine etc.) vengono congelati senza neppure l’adeguamento all’inflazione programmata. Più di metà della manovra (circa 13 miliardi) grava su Regioni e Comuni. Vengono non “controllate”, come sarebbe giusto, le pensioni di invalidità ma tolte a chi non ha almeno l’80% di handicap. E’ sfrontato dire che non “si mettono le mani nelle tasche” degli italiani: l’aumento dei costi dell’energia, i tagli ai servizi essenziali come la sanità e l’istruzione, comportano aggravi per i cittadini.

La manovra economica del governo annuncia di voler puntare sulla lotta all’evasione fiscale. Meglio tardi che mai! Il governo Prodi aveva intrapreso questa strada nel 2006, ottenendo risultati immediati e varando misure che avrebbero garantito ulteriori frutti negli anni a venire, se la destra non avesse invertito la rotta. Il nostro rigore venne tacciato come un regime di “polizia tributaria”. La tracciabilità dei pagamenti fu di fatto sospesa. Lo scudo fiscale premiò ancora una volta i “furbetti”, che illegalmente – senza pagare le tasse dovute – avevano esportato i capitali all’estero. Il nostro Paese è il solo in Europa, tra quelli avanzati, che tassa le rendite al 12,5%: altrove è il 20%. In compenso da noi sono i conti correnti nelle banche o alle poste ad essere tassati al 27%. Così non va. I sacrifici sono purtroppo necessari, ma chi li chiede deve dar prova di rigore, di serietà e deve finalizzarli ad una prospettiva di maggiore giustizia e modernità del Paese.