Intervento del Vice Presidente del Senato Vannino Chiti

Onorevoli colleghi,
la sfida che le nuove tecnologie ICT (Information and Communication Technologies) pongono alle istituzioni parlamentari è stata da tempo raccolta da molti parlamenti che, soprattutto dal 1995 con la diffusione di Internet, stanno modificando sempre più sia i propri processi di lavoro che il linguaggio con cui comunicano e si propongono verso l’esterno.
Un esempio di questo che ha investito in profondità il Senato italiano e che mi sembra utile portare alla vostra attenzione, riguarda il processo di produzione dei resoconti parlamentari che è ormai completamente digitalizzato e orientato alla pubblicazione ipertestuale sul web  in corso di seduta, rendendo marginale lo stampato ufficiale su carta. Inoltre, col crescere della domanda di informazione in tempo reale su Internet,  ai tradizionali strumenti di “pubblicità dei lavori”  si sono aggiunti nuovi prodotti e servizi on-line come i comunicati di fine seduta,  il notiziario settimanale o la web-TV parlamentare.
Il cambiamento è ancora in corso e non accenna a rallentare.  Anzi, forse, siamo solo all’inizio di un nuovo modo per i parlamentari ed i parlamenti di rapportarsi con i cittadini e con il mondo associativo ed istituzionale esterno.
L’accelerazione di questo processo non è sempre avvertita dai parlamentari o non lo è in maniera uniforme. Anche per il mondo parlamentare esiste infatti il problema del digital divide legato a diversi fattori (culturali, generazionali) che, oltre ad una scarsa dimestichezza con i “nuovi media”, può comportare conseguenze negative riconducibili a due tipologie.
In primo luogo la difficoltà a cogliere l’opportunità offerta dalle nuove tecnologie di “riavvicinare i cittadini alle istituzioni parlamentari” .
In secondo luogo la difficoltà a comprendere i processi economici e sociali in atto legati alla “rivoluzione digitale” e quindi a intervenire normativamente sulle nuove questioni che si aprono (privacy, copyright, riforma della pubblica amministrazione, riforma del sistema educativo,  nuove politiche industriali e incentivi all’innovazione, governance di Internet, impatti economici dei motori di ricerca, nuovi monopoli, etc…)
Relativamente al primo punto – “riavvicinare i cittadini alle istituzioni” – l’esperienza insegna che è purtroppo alto il rischio di fare “retorica dell’innovazione in Parlamento” senza realmente soppesare gli aspetti positivi e negativi della cdt.  “democrazia in tempo reale”. Alcuni esempi: la posta elettronica dei parlamentari aiuta questo processo se il parlamentare è in grado realmente di presidiare la casella e rispondere, le statistiche on-line sull’attività svolta dai parlamentari si prestano a strumentalizzazioni essendo generalmente solo “quantitative”, la pubblicazione dei progetti di legge e degli emendamenti on-line non sempre chiarisce al cittadino il significato delle norme in approvazione.
Per un parlamento che voglia seriamente fare innovazione e “avvicinarsi alla società civile” non basta quindi “aprire un proprio spazio su YouTube” o “andare su Twitter “.  L’esperienza anzi insegna che, a parte un titolo sui giornali il primo giorno, se i contenuti non sono adeguati e continuamente aggiornati, il numero di contatti e l’interesse in rete per questi servizi diminuisce e li rende alla lunga insignificanti.
A mio avviso quindi, per ottenere concreti risultati nella direzione auspicata è importante porsi il problema di come stabilire un coinvolgimento continuativo ed efficace tra le istituzioni parlamentari e settori importanti della società civile.   In tempi di crisi e risorse decrescenti per i Parlamenti, la sostenibilità economica ed organizzativa di un tale processo non deve essere trascurata.
Da questo punto di vista la novità di questi ultimi anni è l’affermarsi di “tecnologie abilitanti alla cooperazione”,  quali gli strumenti di social networking (per intenderci alla Facebook). Ritengo che tali strumenti possano essere utilmente adottati in alcuni contesti parlamentari per migliorare l’interazione del Parlamento con i vari soggetti esterni  – più o meno organizzati, più o meno istituzionali – interessati a partecipare e contribuire al processo di produzione normativo.
Un primo esempio a cui si sta lavorando al Senato riguarda la predisposizione di  “spazi di collaborazione in rete”, opportunamente controllati e riservati nella nostra Intranet/Extranet, in cui far intervenire soggetti qualificati (esperti, professori universitari, associazioni, sindacati, enti esterni, , etc…) consentendo loro di interagire – ad esempio – con le commissioni parlamentari nella fase istruttoria e in quella dibattimentale dei provvedimenti in esame.
Un altro esempio realizzato di recente dal Senato riguarda la predisposizione di un sito per i ragazzi e per le scuole (www.senatoragazzi.it) dove, oltre all’adozione di un linguaggio adeguato, si è realizzato un “laboratorio parlamentare” in cui le diverse scuole coinvolte possono dibattere e votare disegni di legge proposti dagli stessi ragazzi. Nel mese di Aprile 2010, si sono iscritti 117 professori e 896 studenti di vari licei italiani che hanno interagito in rete con 5 Senatori e 6 funzionari. Sono stati presentati in rete 9 disegni di legge (5 approvati, 1 respinto, 2 sono ancora in discussione).
Si tratta di esempi realizzati o realizzabili oggi in tempi brevi grazie alla disponibilità delle nuove piattaforme tecnologiche in rete ma che, come detto, hanno un impatto organizzativo sul lavoro parlamentare da analizzare con attenzione. Qualche domanda:  chi e come si seleziona gli interlocutori esterni?  Come deve cambiare il linguaggio parlamentare per aumentare la platea dei cittadini coinvolti? Quanto costa “spiegare” il significato delle norme? Chi può farlo all’interno dei Parlamenti?
E’ evidente che per poter rendere possibile un effettivo avvicinamento del cittadino è necessario in primo luogo un forte investimento in servizi che analizzino e semplifichino i provvedimenti in discussione in un linguaggio “giornalistico”. Si tratta di scelte che, oltre gli aspetti economici, impattano anche con i compiti degli uffici parlamentari orientati tradizionalmente a predisporre documentazione per parlamentari non necessariamente di taglio giornalistico.
Relativamente al secondo punto richiamato – la mancanza di comprensione dei parlamentari degli impatti socio-economici dell’ICT –  è evidente che la questione è troppo ampia per essere affrontata in pochi minuti. Non c’è dubbio però che sulle varie questioni aperte dall’incalzare della società dell’informazione e della conoscenza, i Parlamenti debbano attrezzarsi nel comprendere i fenomeni in corso al fine di coordinare le diverse legislazioni nazionali.
Da questo punto di vista appare essenziale sfruttare al meglio la rete dei siti web parlamentari dove è importante poter disporre del materiale raccolto nelle numerose indagini conoscitive e nei dibattiti che su questi argomenti sono all’ordine del giorno, sia a livello europeo che nei singoli parlamenti.
Grazie.