La settimana scorsa ci siamo occupati di due forme di precariato “fraudolento” con cui vengono perpetrate delle ingiustizie ai danni di tanti lavoratori. Ma il precariato nel suo complesso merita particolare attenzione per la sua diffusione e perché i precari pagano più di tutti la crisi che stiamo vivendo.
I lavoratori “atipici” alla fine del 2008 (ultimo dato Istat disponibile) erano circa 2,8 milioni, il 12% del totale dei lavoratori. Nel quarto trimestre del 2009 i dipendenti in regime di tempo determinato erano il 12,6% del totale.
Si tratta di una parte consistente dei lavoratori italiani, in prevalenza giovani. Secondo la logica della flessibilità, la loro atipicità dovrebbe essere limitata nel tempo e funzionale a ricoprire una richiesta di prestazione di breve periodo o all’inserimento progressivo attraverso un percorso formativo. Invece, secondo l’Istat, solo un quarto dei lavoratori atipici è alla prima esperienza lavorativa, sebbene il lavoro temporaneo costituisca la principale modalità di ingresso nel mercato del lavoro. Un milione e 300 mila sono presenti nel mercato del lavoro da più di dieci anni. Nell’80% dei casi si tratta di occupati con almeno 35 anni. Questa è la distorsione dell’ Italia, dove si è instaurato un sistema ingiusto in cui la flessibilità è una scorciatoia con cui alcuni datori di lavoro risparmiano denaro a scapito della stabilità dei lavoratori e delle loro tutele.

Gli atipici sono svantaggiati anche dal punto di vista economico: la retribuzione media mensile di un dipendente a termine è di 1.026 euro, il 24% in meno di un dipendente standard.
La questione dei precari diventa ancor più importante in tempi di crisi – come quelli che viviamo – perché sono proprio loro quelli che pagano il prezzo più alto. Nei tre mesi finali del 2009  la riduzione del lavoro a termine è stata del 3,6% rispetto all’anno prima – pari a 81.000 unità – e ha coinvolto per circa i quattro quinti i giovani fino a 34 anni. 48.000 collaboratori a progetto rimasero senza occupazione nella seconda metà del 2008 e nel quarto trimestre dello stesso anno iniziarono a diminuire anche i dipendenti con contratto a termine (27.000 in meno).

I drammi e le mortificazioni insite in questi dati sono molteplici: ci sono tante persone che rimangono senza lavoro, spesso ad un’età in cui hanno già una famiglia da mantenere. Ci sono persone che pur non perdendo il posto convivono con l’incertezza e l’esiguità del reddito per troppi anni, a volte decenni. Infine, occorre considerare quanti giovani si affacciano nel mercato del lavoro con la prospettiva di trovarsi a breve sfiduciati e mortificati nelle loro aspirazioni e nelle loro capacità.

Il Partito Democratico, a differenza del governo di destra, sottolinea questi problemi da molto tempo e ha avanzato delle proposte concrete. Sostenere il reddito dei precari che perdono il lavoro è necessario per motivi di solidarietà e equità. È urgente equiparare gli  oneri contributivi per tutte le tipologie contrattuali, estendere gli ammortizzatori sociali a tutti i precari – in particolare prevedendo un assegno di disoccupazione – e procedere a una graduale introduzione del contratto unico d’ingresso al lavoro.

Stare vicini agli ultimi tra i lavoratori è un dovere per chi si occupa delle sorti degli italiani.
Senza diritti, partecipazione consapevole, stabilità di chi lavora, non funzionano le imprese né c’è futuro per l’Italia.