Il nostro diritto del lavoro, garantito da leggi approvate in pagine importanti della storia italiana, si applica soltanto a nove milioni e mezzo di lavoratori. Tra coloro che a vario titolo sono poco o per nulla tutelati ci sono un paio di milioni di lavoratori sottoposti a diverse forme di precariato. Alcune di esse si possono definire a pieno titolo “precariato fraudolento”.
La più nota è forse il finto contratto a progetto, che – secondo la legge – dovrebbe vincolare il lavoratore solo alla realizzazione di un progetto specifico con una scadenza temporale concordata tra le parti, senza i vincoli propri del lavoro subordinato. In realtà i lavoratori a progetto sono spesso giovani che entrano in un ufficio ogni mattina, sono impegnati per l’intera giornata lavorativa e svolgono mansioni legate all’attività aziendale quotidiana. Attività, come si vede, del tutto estranee a una prestazione dal contenuto prevalentemente personale e rivolta solo a un risultato finale, come è previsto da questa forma di lavoro flessibile.
Mentre i lavoratori a progetto possono usufruire – quanto meno – di un sistema minimo di tutele con riferimento alla gravidanza, alla malattia e agli infortuni –tutele introdotte dai governi di centrosinistra – altri stanno peggio. Si sta diffondendo rapidamente un diverso sistema vessatorio nei confronti dei lavoratori precari, anche in sostituzione del contratto a progetto: le cosiddette “finte partite Iva”, un sistema che riduce all’osso i costi per l’imprenditore e aggira in un sol colpo tutte le tutele del diritto del lavoro. Anziché assumere i lavoratori, alcune società li obbligano ad aprire una partita Iva e diventare lavoratori autonomi per stabilire con loro un rapporto di (presunta) consulenza.
Anche il loro lavoro quotidiano si configura di fatto come un vincolo di subordinazione a tempo pieno che, naturalmente, gli impedisce di prestare la loro consulenza ad altri committenti. Il tutto in cambio di un compenso di circa 15.000 euro all’anno, in media.

Si valuta che questi finti imprenditori di se stessi – in realtà precari tra i precari –siano in tutta Italia decine di migliaia. Per loro nessuna tutela in caso di maternità, di malattia o di infortuni e le ferie sono demandate al buon cuore dei capi ufficio e agli accordi verbali. Anzi, alcune di queste consulenze prevedono un compenso stabilito non su base mensile o annuale bensì quotidiana: per ogni giorno lavorato si prevede un onorario. Per i giorni in cui il lavoratore si assenta per malattia o per ferie, non è previsto alcun compenso economico. Si può comprendere facilmente come in questo modo i lavoratori siano “incentivati” a non ammalarsi o a fare meno ferie possibile, dovendo pagare di tasca propria questi “privilegi”. Questa formula, inoltre, consente all’imprenditore di lasciare a casa i lavoratori e richiamarli in piena libertà: basta una nuova lettera d’incarico per un periodo a piacimento.
E’ così che valorizziamo i nostri giovani lavoratori della conoscenza? Stiamo dando loro prospettive di crescita personale e professionale? No. Le persone che lavorano con impegno e serietà meritano rispetto, la giusta ricompensa e la possibilità di conquistarsi la stabilità, non queste forme di umiliazione.

Su questa strada il nostro paese arretra a livelli indegni di sfruttamento del lavoro. E’ qui che il Pd deve svolgere la sua azione, se vuole costruire ampi consensi, necessari a chi vuole cambiare la società.
L’Italia ha bisogno di una vera riforma del mercato del lavoro che coniughi la necessaria flessibilità con l’estensione dei diritti e delle tutele a tutti i lavoratori, che sappia premiare l’impegno e il merito. Non è più accettabile che chi lavora sia esposto a rischi e penalizzazioni mortificanti.
Il mondo del lavoro tutto quanto, a cominciare dai sindacati, deve sapersi unire per cancellare queste ingiustizie.