Senatore Chiti, il Pd intende presentare una sua proposta di riforma delle istituzioni?
«Guardi, noi una proposta l’abbiamo già presentata e sul finire della scorsa legislatura fu anche approvata all’unanimità in commissione Affari costituzionali».

La famosa bozza Violante.
«Appunto, visto che allora vi fu un’importante convergenza su un modello che, come avviene in Germania e in Spagna, puntava a rafforzare tanto il governo quanto il parlamento, mi sembrerebbe logico ripartire da lì».

Esclude che il Pd possa votare una qualche forma di elezione diretta di chi governa?

«No, ma temo che l’intenzione sia quella di applicare su base nazionale il modello delle regioni».

Che funziona bene…
«Sì, ma su scala nazionale non andrebbe bene per l’Italia».

Perché?
«Perché l’assemblea ragionale è a dir poco subalterna rispetto al presidente della regione».

E’ un no al presidenzialismo?
«Guardi, se proprio si deve parlare di presidenzialismo, allora il modello migliore è quello
americano, dove il Congresso ha una sua forte autonomia».

La Lega preme per il modello semipresidenziale francese.
«Personalmente, sono scettico: lì il Parlamento è troppo debole e c’è sempre il rischio che tra capo del governo e capo dello Stato si scateni un conflitto lacerante».

Però, se la proposta fosse condita con un sistema elettorale a doppio turno di collegio come accade in Francia…
«Beh, è ovvio che quel modello può funzionare solo con quel tipo di sistema elettorale».

Par di capire che voi condizioniate l’intesa sulla forma di governo a quella sulla legge elettorale…
«E’ così, non c’è dubbio: le due cose debbono marciare insieme. Noi vogliamo un sistema elettorale che consenta ai cittadini di scegliere i propri rappresentanti e di sapere al momento del voto quale maggioranza formerà il governo».

Nel Pd, però, c’è di tutto: Bersani vuole il Mattarellum, D’Alema il proporzionale, Veltroni il doppio turno di collegio.
«Siamo aperti a una pluralità di opzioni, ma tutti noi riteniamo imprescindibile l’affermazione dei principi che le ho appena riassunto. Anche in questo caso, però, c’è un precedente…».

Ossia?
«Poco prima che l’ultimo governo Prodi entrasse in crisi, Pd, FI, Prc, Udc e Sinistra e Libertà trovarono l’accordo su un sistema proporzionale con sbarramento al 5%, collegi molto piccoli e recupero dei resti su base regionale. Un’intesa, evidentemente, è possibile».

La Lega teme che senza un accordo sulla forma di governo voi impallinerete il federalismo…
«La Lega ha ragione, il rischio c’è: le riforme si tengono tra loro e se si rompe sulla forma di governo e sul sistema elettorale, l’intesa sul federalismo sarà più difficile. Per questo faccio una proposta».

Cosa propone?
«Di partire dalle questioni più facilmente condivisibili, per far maturare un clima fecondo sul resto».

Dunque, bisogna partire da?
«Dalla riduzione del numero dei parlamentari, dall’attuazione del federalismo e dalla fine del bicameralismo perfetto».

Cosa pensa del premierato?
«Se allude al modello inglese, va bene: lì il premier non è eletto direttamente e il suo potere è bilanciato da quello del Parlamento, e dunque del partito che l’ha espresso».

Veniamo al Pd, dopo le regionali è ricominciato lo scontro interno…
«Di tutto abbiamo bisogno tranne che di riaprire il congresso. Le questioni sono tre: dobbiamo capire perché, a differenza di quel che è accaduto in Francia, l’astensionismo ha penalizzato l’opposizione e il Pd non viene considerato un’alternativa credibile; dobbiamo costruire una coalizione omogenea, perché è impensabile tornare ai 12 partiti dell’Unione; il partito deve darsi gambe forti sul territorio: dunque una struttura federale».

Andrea Cangini