A un anno di distanza dalle elezioni europee – dice il Vice Presidente del Senato Vannino Chiti – il Pd non è rimasto intrappolato nelle regioni del centro Italia, ma è «una realtà nazionale».

E qui in Toscana i Democratici come sono andati?
«Sicuramente bene, Rossi ha avuto un’affermazione molto netta, così come il centrosinistra nei confronti della destra. La Toscana fa parte di una serie di regioni, sette – la Liguria, l’Emilia, l’Umbria, le Marche, la Basilicata e la Puglia -, conquistate di nuovo dal centrosinistra. Questo ci dà già una valutazione d’insieme: il discorso secondo cui il Pd sarebbe stato confinato al centro e il centrosinistra non avrebbe avuto nessuna chance di vittoria per il 2013 risulta smentito, perché il Pd – dalle europee a oggi – appare come una realtà nazionale».

Senta Chiti, sembra però che anche qui in Toscana abbia vinto il partito dell’astensione.
«Questo è il problema più serio: l’astensione è sempre in democrazia una questione rilevante, e quando si manifesta in maniera così consistente dobbiamo porvi grande attenzione, al di là dei risultati dei partiti o della coalizione, perché manifesta un distacco tra cittadini e politica che se non viene recuperato pone problemi seri alla stessa vitalità del sistema democratico. Altra considerazione: dai dati appare che in Italia l’astensione non ha avuto segno univoco, ha riguardato sia il centrosinistra che il centrodestra. Un punto di diversità rispetto alla Francia, dove l’astensione ha colpito la maggioranza di governo ed è stata a favore delle sinistre all’opposizione; in Italia, l’astensione ha toccato in maniera più o meno grande non solo la destra che governa, ma anche in parte il centrosinistra. Il recupero del Pd e del centrosinistra rispetto alle elezioni europee – con quei dati avremmo governato al massimo in quattro regioni: Toscana, Emilia, Umbria e Marche – non ci deve distogliere da un fatto: di fronte alla crisi, alla quotidianità e alla centralità che assumono i temi del lavoro e del precariato, vuol dire che il nostro recupero non ha ancora riguardato l’insieme dei cittadini che sono interessati e colpiti dalla crisi. Quindi noi dobbiamo fare uno sforzo perché questi temi siano così fortemente presenti che quando un cittadino, un giovane, un lavoratore affrontano i problemi della loro vita e le insicurezze che dà la crisi, avverta nel Pd il partito di riferimento».

Crescono Lega e Idv. Colpa forse della questione morale?
«Una campagna elettorale che è stata fortemente caratterizzata per lunghe fasi dal clima di rissa, dal tentativo di mettersi le regole sotto i piedi, porta a un tipo di divaricazione nelle coalizioni. Il centrosinistra ha saputo presentarsi con unità e credibilità maggiori, e credo che rimangano validi e interessanti per il futuro nuovi rapporti politici che si sono cominciati a costruire con l’Udc. Per quanto riguarda la Lega, in Veneto è il primo partito, in Lombardia è vicina al Pdl, in Emilia si rafforza ed è presente per la prima volta in Consiglio regionale in Toscana. Questo pone dei problemi di rapporto tra Pdl e Lega, perché ormai nel Nord il partito di riferimento non è più quello di Berlusconi, ma il Carroccio. C’è poi un secondo aspetto: con questi voti la Lega non può continuare come ha fatto in questi due anni, a non produrre niente in termini di misure per le piccole imprese, per il lavoro, a non produrre provvedimenti utili e positivi per le Regioni e i Comuni, e al tempo stesso presentarsi come partito del federalismo. Con questo successo la Lega non ha più auto- giustificazioni sul fatto che si schiera sugli attenti di fronte alle leggi ad personam e non porta avanti in concreto le riforme di cui parla. Se invece le porterà avanti e vorrà misurarsi davvero su di esse, allora ci confronteremo e vedremo, perché sulle riforme che riguardano la vita del Paese — un federalismo che sia responsabilità e autonomia, ma nel l’ambito della coesione nazionale, i temi di uno sviluppo che premino il lavoro — ci potrà essere un confronto e, chissà, anche qualche convergenza».

Cosa vorrebbe che facesse il neopresidente Rossi nei suoi primi cento giorni?
«Questo non lo so, perché quello che Rossi vuol fare nei primi cento giorni riguarda la sua autonomia nell’ambito del programma: a me interessa quello che Rossi farà nei cinque anni e credo che debba attuare, come fosse il Vangelo in politica, il program ma riformista e innovatore che ha presentato ai cittadini. A cominciare dagli obiettivi che si è dato e che ho condiviso molto – ma anche questi non fanno parte dei cento giorni – sullo snellimento burocratico, tradotto in un risparmio di risorse dell’1% ogni anno: fra 12 mesi bisognerà aver risparmiato quello. Ma ho fiducia, Rossi ha fatto bene la campagna elettorale ed è stato eletto con una delle percentuali più alte d’Italia».

David Allegranti