Lunedì scorso, a Bergamo, tre muratori di origine egiziana hanno dovuto minacciare il suicidio di gruppo per incassare gli stipendi arretrati. Nel frattempo dieci loro colleghi si accorgevano che i rispettivi stipendi erano stati pagati con assegni scoperti. Finalmente la settimana scorsa, dopo 22 mesi di richieste inascoltate del Partito Democratico, il ministro Tremonti ha accettato che in Parlamento si tenesse un dibattito sulla crisi e l’emergenza lavoro. Sono il primo problema del nostro paese da ormai due anni; sono motivo di sofferenza e impoverimento per tanti italiani, ma la destra non li ha mai ritenuti una priorità. Nell’Aula della Camera, nel corso del dibattito, il ministro Tremonti si è limitato a difendere l’operato del governo, senza proporre nuovi interventi, finalmente incisivi. Dire che «in questi 22 mesi sono state discusse 2 finanziarie e 12 provvedimenti economici» è una difesa d’ufficio che non entra nel merito. Cosa c’era in queste misure varate dalla destra? Ciò che importa sono i contenuti. Nessun sostegno a chi ha perso il lavoro; a chi, seppur non licenziato, non  riceve lo stipendio da diversi mesi; ai precari e a tutti quelli che non godono di protezioni sociali; agli anziani con pensioni medio-basse. Non è stato fatto nulla per aumentare il potere d’acquisto delle famiglie. Non si è agito sulla leva fiscale per premiare chi lavora anziché chi si fa ricco con le rendite.

Soprattutto, non è stata messa in campo alcuna politica di sviluppo per contrastare il continuo aumento della disoccupazione. Di questo deve rispondere il governo. Che invece in questi mesi ha aggravato la situazione tagliando ben 8 miliardi di fondi alla scuola. Il ministro Tremonti sottolinea spesso l’esigenza di tenere in ordine i conti pubblici. Il Partito Democratico ne conosce bene l’importanza e lo ha dimostrato non a parole ma con i fatti, con le politiche di risanamento del governo Prodi. Si tratta però di scegliere come spendere i soldi pubblici: si possono aiutare coloro che sono stati maggiormente colpiti dalla crisi e investire sullo sviluppo, come propone il Pd, oppure si può aumentare la spesa corrente di 12 miliardi – non per investimenti – , sprecarne molti altri per l’operazione Alitalia – messa sulle spalle di tutti gli italiani, per la strumentale sortita elettorale di Pdl e Lega nel 2008 – e con il taglio dell’Ici ai più ricchi, come ha fatto la destra.

Questi sono i temi e le scelte al centro della campagna elettorale per le regionali. La destra conosce bene le sue inadempienze, le promesse mancate, i fallimenti. Per questo, come sempre, Berlusconi anziché svolgere la sua funzione di Presidente del Consiglio, scende in campo come un esagitato capo fazione, per buttarla sulla contrapposizione, sulla rissa e fare al tempo stesso la parte della vittima. Spera così di deviare l’attenzione delle persone dai problemi veri, della vita di ogni giorno.
Mette in conto anche di stancare le persone, di allontanarle dalla politica, di far crescere l’astensione. Non dispiace certo alla destra. E che miseria e sconforto l’immagine del giuramento davanti a Berlusconi di tutti i candidati della destra alla Presidenza delle Regioni. Dovrebbe essere un motivo in più per non votarli.

Si deve giurare sulla Costituzione e sugli statuti regionali, non nelle mani di Berlusconi. Cosa significherà domani? Questi candidati, se verranno eletti Presidenti, a chi risponderanno? Ai loro cittadini o a Berlusconi? Non è tanto per dire: sono in gioco le scelte per lo sviluppo, l’istruzione, la sanità; il governo di destra vuole localizzare a breve, ad esempio, le centrali nucleari.
Non abbiamo bisogno di “soldatini” di Berlusconi.
Noi abbiamo parlato di sviluppo, lavoro, democrazia, welfare. Di questo dobbiamo parlare fino all’ultimo. E’ il momento di impegnarci tutti per cambiare strada. Quella attuale porta all’aumento delle disuguaglianze, all’impoverimento di tanti, alle divisioni nel Paese. Vogliamo restituire fiducia al Paese, speranza agli italiani.