La scorsa settimana dicevo che è un dovere dello Stato quello di far sentire la sua vicinanza ai lavoratori e la sua autorevolezza e credibilità al mondo delle imprese. Per far questo il governo dovrebbe innanzi tutto porre al centro della sua azione il tema dello sviluppo e della occupazione, ma così non è. Al contrario, si affrontano le diverse emergenze occupazionali in maniera episodica, improvvisando soluzioni tampone ad ogni vertenza e con grave ritardo. L’industria italiana è alle prese con una crisi molto dura: scendono gli ordini, il fatturato, la produzione e le esportazioni sono calate. I settori più colpiti sono proprio quelli storicamente più importanti: la meccanica, l’industria automobilistica, il tessile e l’abbigliamento.
Manca del tutto la politica industriale: la crisi Eutelia-Agile cominciò a delinearsi già nel 2008. Successivamente, con la cessione al gruppo Omega, iniziò il calvario dei lavoratori, ma il governo si è attivato solo nello scorso novembre, chiedendo all’azienda il pagamento degli stipendi e l’interruzione della mobilità e alle pubbliche amministrazioni di mantenere le proprie commesse. I lavoratori da settembre non ricevono retribuzione, il piano di mobilità permane e gli ordinativi diminuiscono. Dopo una nuova manifestazione di protesta il governo ha incontrato i dipendenti e fissato per il 22 febbraio un vertice con Regioni, Province ed enti locali per affrontare il nodo delle commesse pubbliche.

Mentre i lavoratori Eutelia manifestavano a Roma, al ministero per lo Sviluppo Economico si affrontava la vicenda di Termini Imerese. La Fiat ha comunicato che a fine 2011 chiuderà lo stabilimento siciliano e che a fine febbraio partiranno due settimane di cassa integrazione a causa del crollo degli ordini a gennaio. E’ stato un errore del governo interrompere gli incentivi senza gradualità, determinando una distorsione e il brusco calo delle richieste di auto all’indomani del 31 dicembre. Sarebbe un errore ancor più grave non avere la forza di impedire la chiusura dello stabilimento finché non si trova una soluzione diversa per il sito e per i lavoratori. L’autorevolezza dello Stato si vede anche dalla capacità di saper elargire aiuti solo in cambio di impegni precisi su occupazione e produzione. Il governo di destra invece si limita a mettere le toppe nei ritagli di tempo tra un ddl sul legittimo impedimento e uno sull’estinzione del processo. Per essere in grado di condizionare le scelte della Fiat si deve provvedere a colmare le lacune infrastrutturali di Termini Imerese e riproporre il credito d’imposta per le assunzioni dei giovani a tempo indeterminato nel sud, un provvedimento del governo Prodi che la destra ha cancellato.

Lo stesso discorso vale per il caso Alcoa: non ci si può limitare a sperare che l’azienda aspetti la pronuncia dell’Unione Europea. Si devono determinare le condizioni perché questo avvenga. Il sottosegretario Letta ha garantito che il governo si sta muovendo in tal senso con la Commissione Europea. Vedremo con quali risultati. Certo è che non ci si può limitare a queste azioni episodiche ma serve una politica d’insieme.
E’ inammissibile che, ottenuto il decreto che viene incontro alle sue richieste, la Alcoa minacci lo stesso di andarsene subito. Il governo si renda credibile dando più competitività al sistema industriale e a quello energetico del paese, affinché i costi di produzione siano uguali a quelli delle altre nazioni europee.

Per tracciare una via di uscita dalla crisi serve una politica industriale seria e coerente, che renda chiaro in che direzione va l’Italia. Una direzione di sviluppo sostenibile, che incentivi i nuovi lavori, la formazione e la riconversione professionale dei lavoratori. Per fare ciò servono impegno e programmazione, elementi che non vediamo nel lavoro di questo governo che naviga a vista in maniera irresponsabile e impegna il Parlamento a discutere provvedimenti di esclusivo interesse del Presidente del Consiglio. Per essere chiari: di tutti i modi immaginabili per sottrarsi ai vari processi. E intanto l’Italia, i giovani, il diritto al lavoro possono aspettare.