Riflessione pubblica, organizzata dalla Cooperativa Sociale Incontro di Serravalle Pistoiese sul tema “Valore ed opportunita’ del principio di sussidiarieta’ orizzontale, alla luce della Costituzione Riformata”.

Spesso il dibattito sulle riforme istituzionali e sulla sussidiarietà può apparire astratto.  È essenziale – lo sappiamo – perché riguarda il funzionamento e l’efficienza dello Stato, la qualità delle  prestazioni sociali, ma al tempo stesso sembra lontano, privo di riferimenti concreti.
Non è così questa mattina.
Qui si è di fronte  ad esperienze in atto di sussidiarietà  e ci sono i protagonisti della sussidiarietà.
Presenze che non sorgono ora, ma sono in campo da tempo, che si propongono di affrontare il disagio, la dipendenza delle singole  persone,  non tutte uguali, e di aiutarle, creare le condizioni perché tornino a camminare con le loro gambe e la loro testa, riconquistino autonomia e responsabilità.
Quindi il discorso parte da realtà visibili e da esperienze  concrete.

Cosa è, intanto, la sussidiarietà come definizione?
La sua origine è cattolica, rappresenta una delle architravi della dottrina sociale. Nel 1931, nell’Enciclica “Quadragesimo anno”, Papa Pio XI aveva messo in luce la rilevanza sociale delle opere espressione di una complementarietà tra pubblico e privato: “come è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. L’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società è quello di aiutare in maniera suppletiva le assemblee del corpo sociale, non già di distruggerle e assorbirle”.
Questo principio progressivamente è divenuto una delle regole fondamentali dello Stato democratico moderno e dei  suoi rapporti con la società, fino ad essere assunto come riferimento guida e norma dell’Unione Europea. Allo stesso modo è entrato, anche formalmente, nella nostra Costituzione.
L’ultimo comma dell’articolo 118 della Costituzione, così come modificato dalla riforma costituzionale del 2001, impegna Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni a favorire «l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà». Il dettato della nostra Carta fondamentale intende introdurre nell’ordinamento italiano, per via esplicita, la sussidiarietà orizzontale, stabilendo che la solidarietà non è prerogativa esclusiva dello Stato, bensì un compio dei cittadini, resi responsabili nella costruzione della convivenza più giusta e avanzata possibile.
Ne discendono alcune conseguenze: la prima riguarda la riforma delle istituzioni. Non è sufficiente ridefinire e riorganizzare le competenze tra lo Stato centrale, le Regioni e le Autonomie locali. È indispensabile cambiare i rapporti tra Stato, nelle sue diverse articolazioni, centrali e locali, e cittadini.
Anzi risiede in questo obiettivo il senso e la giustificazione dello spostamento di alcune funzioni nelle Regioni, nei Comuni e nelle  Province.
L’affermazione del principio di sussidiarietà non determina una scomparsa, né una riduzione dello spazio delle istituzioni  pubbliche, bensì un profondo cambiamento del loro ruolo.
Alle istituzioni dello Stato spetta principalmente una funzione di programmazione e di controllo: la gestione dovrebbe intervenire solo quando sia indispensabile per garantire la destinazione universale e la qualità delle prestazioni.
A monte di questa impostazione vi è una radicale modifica nella cultura politica. L’interesse pubblico, il bene collettivo non sono esclusivamente una prerogativa dello Stato, non sono dovuti soltanto alla sua azione. Possono essere – e talora anche con più efficacia – perseguiti da organizzazioni di cittadini, da associazioni di volontariato, da imprese che definiamo del Terzo Settore.
È una innovazione non di poco conto.
La centralità passa da chi organizza e gestisce un servizio sociale, alla qualità e alla destinazione di quest’ultimo.
L’ex primo ministro britannico Tony Blair è stato uno dei primi leader che ha saputo affrontare l’inadeguatezza del modello sociale europeo, lavorando a una grande e coraggiosa riforma. In un suo discorso, Blair disse che «così come ci siamo spostati dalla produzione di massa nell’industria, dobbiamo allontanarci dalla produzione di massa nelle azioni dello Stato. Al centro del servizio o della struttura, entrambi aventi il diritto e la responsabilità di cogliere le opportunità offerte e di svilupparne i risultati, ci deve essere l’individuo. Compito del governo è di facilitare non di imporre. La natura dell’offerta – pubblica, privata o del settore volontario – diventa meno importante dell’erogazione di un servizio come lo vuole l’utente. Al posto della rigidità e dell’uniformità subentra la flessibilità e l’adattabilità».
Blair sottolinea in particolare due aspetti: la centralità della persona e la qualità del servizio erogato che è più importante della sua organizzazione e gestione, pubblica piuttosto che privata.
L’inserimento esplicito della sussidiarietà nella nostra Costituzione non è stato certo una forzatura, ma è avvenuto in coerenza con il dibattito nella stessa Assemblea Costituente e con l’assoluta centralità che ha la persona nella nostra Costituzione.
L’idea della centralità della persona e della funzione delle comunità intermedie venne condivisa, al di là delle diversità ideologiche, sia dai parlamentari cattolico-democratici, sia da quelli di sinistra.
È importante sottolineare la valenza antitotalitaria  della sussidiarietà: attraverso di essa si supera la pretesa dello Stato di conoscere esso soltanto i bisogni dei cittadini e di potervi rispondere in modo adeguato.
Siamo assai lontani, sia chiaro, dall’ideologia liberale, secondo cui il ruolo del Stato è ridotto all’assolvimento di poche funzioni essenziali, in particolare quelle collegate al mantenimento della sicurezza.
Il liberalismo classico si fonda sull’esaltazione dell’individuo, delle sue forze, al di fuori di un vincolo di solidarietà.
Non a caso è l’incontro con la democrazia, con il suffragio universale che consente ad ogni cittadino, al di fuori di appartenenza di censo, di nascita, di essere partecipe delle scelte per il governo, a costruire quella cornice liberaldemocratica essenziale per ogni società, quali che siano le regole di gestione dell’economia e del mercato.
La sussidiarietà ci consente di valorizzare la persona nella sua responsabilità, nel suo impegno, nel suo senso del dovere verso gli altri, così da realizzare una diffusione dei diritti di cittadinanza.
Come ho sottolineato, lo Stato non abdica ad un suo ruolo e presenza, ma si fa carico di un impegno per estendere responsabilità e partecipazione, consapevole che senza queste ultime, assolte in modo diretto da parte dei cittadini, non si costruisce una convivenza migliore.
Non si è dunque di fronte all’incentivazione di uno spontaneismo sociale o di una specie di anarchia di azioni. La Costituzione precisa che lo Stato deve favorire l’autonoma iniziativa “sulla base del principio di sussidiarietà”.
Elemento imprescindibile, fissato in modo chiaro dal comma 4 dell’articolo 118, è un forte coordinamento tra i livelli istituzionali e tra questi e le formazioni sociali; al tempo stesso il dovere di intervenire quando il soggetto sociale venga meno al principio che fonda la sussidiarietà, privilegiando ad esempio il perseguimento di un interesse particolare.
Il “sostanziale blocco” dell’attuazione del nuovo Titolo V ha impedito lo sviluppo pieno di questa impostazione: Comuni senza risorse rispetto alle competenze; dimezzato il fondo sociale, annullato quello dell’autosufficienza; assegnazione discrezionale di fondi, come avvenuto per Palermo, Catania e Roma, addirittura coprendo con i Fondi europei per le aree sottosviluppate non progetti di investimento ma deficit di parte corrente delle aziende di nettezza urbana e dei trasporti; decreti di attuazione del federalismo e nuovo Codice delle Autonomie ancora da presentare.

Quale è il contributo specifico del Terzo Settore ad una riforma del welfare? E di quale welfare abbiamo bisogno?
Viviamo un periodo difficile, di crisi. La globalizzazione senza regole, senza governo – come conseguenza di una egemonia delle destre –  ha prodotto questa situazione.
Si è riaperto un problema occupazionale: si licenzia per la crisi, ma anche per affrontare le sfide della competizione mondiale. Il precariato si diffonde e segna il destino di una parte grande del mondo del lavoro, soprattutto delle giovani generazioni.
Viene calpestato ogni riferimento alla funzione e responsabilità sociale delle imprese.
È in ogni caso tutto lo scenario produttivo che sta mutando, nell’affermarsi della terza rivoluzione produttiva della storia dell’umanità, dopo quella dell’agricoltura e quella industriale: la rivoluzione tecnologica.
Non ci sono più le grandi fabbriche, soprattutto non esiste più la catena di montaggio del taylorismo-fordismo.
Il welfare non può più essere quello del risarcimento, improntato sulle grandi imprese e sulle categorie più organizzate.
È necessario tenere insieme uguaglianza e merito: diventano dunque centrali l’istruzione, la formazione, le azioni di prevenzione e recupero, dall’assistenza alla sanità.
Il welfare deve essere universale e personalizzato.
Per questo il ruolo dello Stato è indispensabile, necessario ma non sufficiente: la presenza dei cittadini, delle loro associazioni, del Terzo Settore, non è una concessione al moderatismo dilagante – come ritiene una certa sinistra – ma è fondamentale, anzi indispensabile per costruire quella che si definisce welfare society.
Considero la recente Enciclica di Benedetto XVI un contributo di grande rilievo, offerto a credenti e non credenti, per realizzare una società migliore.
Migliore in quale senso?
In quello di costruire una convivenza più umana, generosa, solidale. Andrebbe discussa e approfondita l’enciclica da parte di una politica che abbia l’ambizione di misurarsi con quelli che un tempo si chiamavano “pensieri lunghi”.
Cosa ci consegna la riflessione del Pontefice?
Due indirizzi chiave: non bisogna abbandonare l’economia al profitto senza principi, senza destinazione sociale e responsabilità ambientale, senza regole, dominio di un individualismo egoistico e affidare alle politiche sociali – con le risorse residuali che vi sono destinate – il compito di rimediare o almeno attenuare i guasti che ne discendono; è indispensabile operare per umanizzare economia e società, saper cambiare il mercato, introducendovi dei protagonisti orientati, nella ricerca della efficienza, anche dal dono, dalla gratuità, dalla solidarietà. E ciò tanto nelle attività economiche e produttive che in quelle sociali.
Si tratta dunque per le istituzioni dello Stato – se si condivide questo obiettivo di fondo – di sostenere la crescita, la presenza, il ruolo di questi nuovi protagonisti: quello che si è soliti chiamare Terzo Settore.
Vi sono scelte legislative e finanziarie da compiere, da quella delle donazioni, a quella dei lasciti ereditari.
Un tempo, lo vediamo nelle nostre città, anche a Pistoia, vi era un mecenatismo sociale che lasciava beni da destinare alla cura e formazione dei bambini orfani, per l’assistenza agli anziani.
Un patrimonio generoso, non sempre, nello scorrere del tempo, utilizzato bene.
Oggi si tratta di ridefinire norme che rendano possibili questi atti di generosità e al tempo stesso garantiscano sulla durata delle loro finalità.
Le risorse per sanità, assistenza, interventi sul disagio non devono essere negoziate ogni anno o rimesse in discussione con il cambio delle coalizioni di governo. È indispensabile una programmazione pluriennale.
Vi è la legge per rendere stabile il 5 per mille presentata in modo bi-partisan, ma bloccata al Senato, da più di 7 mesi, dalla latitanza del governo che non indica alcuna forma di copertura finanziaria.
È una legge seria, utile non soltanto alle organizzazioni del Terzo Settore, ma anche a costruire un rapporto di fiducia tra cittadini e Stato: non è un caso che ben 16 milioni di persone che pagano le tasse su 26 milioni, abbiano scelto di dare una finalizzazione al 5 per mille!
Vi sono patologie non riconosciute che devono invece essere considerate una piaga sociale ed affrontate, come quelle legate al gioco d’azzardo: è seria e giusta la proposta di una messa a disposizione di una piccolissima parte dei guadagni dell’Azienda Autonoma del Monopolio per farvi fronte.
Occorre al tempo stesso sottolineare nuove attenzioni che vengono dal mondo del credito, da importanti istituti bancari come Unicredit, che hanno messo a punto specifiche linee di intervento per il Terzo Settore, sia per aiutarlo nei confronti dei ritardi con cui vengono erogati i contributi assegnati dalle istituzioni pubbliche, sia per individuare nuovi strumenti di valutazione – differenti da quelli basati sulle garanzie di tipo tradizionale – per il sostegno dei progetti da portare avanti.
E non è chi non veda come un tale orientamento sia importante non solo nei confronti del Terzo settore, ma più in generale del mondo delle imprese.
Ancora, è decisivo portare a compimento la riforma dello Stato, ancorando il rinnovamento della democrazia alla prospettiva di costruzione della dimensione politica dell’Unione Europea.
Il Trattato di Lisbona, recentemente entrato in vigore, dopo un lungo e travagliato processo di ratifica, fa compiere un passo avanti all’Europa, anche se non percorre tutto il tratto di strada necessario. Renderà l’Unione più efficace politicamente su temi come la sicurezza, le relazioni internazionali, l’ambiente, l’energia.
Occorre renderla anche in grado di misurarsi con le sfide dello sviluppo, nell’epoca della globalizzazione, e con quelle delle migrazioni.
L’Unione Europea deve diventare un grande, appassionante volere ideale, come in passato lo furono il Risorgimento e la Resistenza.
È in questo quadro che va iscritta anche la conclusione del processo di riforma del sistema politico – istituzionale del nostro paese, quella transizione infinita che rischia di renderlo parte della crisi, anziché risposta ad essa, in grado di realizzare un nuovo sviluppo, socialmente e ambientalmente sostenibile.

L’Italia oggi non è né carne né pesce, non più uno Stato centralista, non ancora uno Stato delle Autonomie. Si incontra in questo passaggio la riforma del sistema parlamentare: un minor numero di deputati e senatori; una differenziazione di compiti tra Camera e senato, con quest’ultimo concentrato principalmente sui temi dell’Europa e del rapporto tra Stato centrale, Regioni e Autonomie locali; una nuova legge elettorale, che consenta ai cittadini di scegliere le maggioranze di governo ma anche i propri rappresentanti nelle Assemblee elettive; infine il rafforzamento dei governi, ma di tipo parlamentare, come in Germania o Spagna.
Nel nostro paese esiste un welfare diseguale, che spesso ripercorre le divisioni di ricchezza e sviluppo che separano il centro-Nord dal Sud.
Basta pensare alle scuole materne: non è lo stesso il percorso di un bambino o di una bambina che hanno potuto frequentarle e di loro coetanei che non ne hanno avuto la possibilità
Né si può dimenticare che oggi in Italia non esiste in nessuna città un’offerta di asili nido corrispondente alla domanda. Eppure oggi la formazione è ancor più essenziale e le opportunità di vita si costruiscono fino dalla primissima infanzia. Vivono infatti tra noi bambini e bambine, i cui genitori vengono da altri paesi, spesso molto lontani, di differenti culture e religioni. A questi bambini, nuovi cittadini italiani, deve essere insegnata la lingua italiana che nelle loro case probabilmente non si scrive e non si parla in modo corretto.
Tornano qui alla mente le esperienze del movimento socialista e di quello cattolico, che fondavano sulla istruzione, sulla conoscenza la via della emancipazione e liberazione delle persone; e torna alla mente, attuale e insuperata, la grande lezione di Don Lorenzo Milani.
Questo è il compito che abbiamo dunque da affrontare in Italia: riformare il welfare, passando da quello del risarcimento a quello della uguaglianza di opportunità – percorso che hanno davanti a sé tutti i paesi europei -, al tempo stesso costruirlo nell’insieme del nostro paese, a Sud e a Nord.
Per riuscirci – ed è una precondizione ineliminabile – è indispensabile l’affermarsi di nuovi indirizzi culturali, nelle forze progressiste e in quelle di destra.

Una parte della sinistra deve superare impostazioni che ancora fanno coincidere l’interesse pubblico, il bene comune, con le istituzioni dello Stato e che ancora vedono nel volontariato, nel Terzo Settore, occasioni anche importanti, ma in qualche modo di tipo comprimario, da guidare.
La destra vede il volontariato e il Terzo Settore spesso come una semplice supplenza alla crisi fiscale dello Stato, a una mancanza di risorse sufficienti per il sociale, dal momento che attribuisce ad altre scelte il carattere della priorità.
Il Terzo Settore, ridotto ad un ruolo di supplenza, non è un  protagonista autonomo del welfare ma una copertura dell’assenza dello Stato: viene ridotto a strumento di quel conservatorismo compassionevole, incapace – come appare davanti ai nostri occhi – di ridurre le ingiustizie e le disuguaglianze della società.
La sussidiarietà per vivere, affermarsi, essere strumento di una umanizzazione delle nostre società ha bisogno di sgretolare quelle vecchie e superate impostazioni politiche e culturali.

L’impegno del Terzo Settore e del volontariato ha il grande valore di cementare la comunità e di costruire un modello di società più giusto e solidale.
Non si tratta soltanto delle opere che mettono in campo, delle azioni che costruiscono, ma anche della cultura e dei valori che la loro presenza e la loro iniziativa diffonde.
L’assunzione di responsabilità di tantissime donne e uomini, credenti e non credenti, che impiegano ore al servizio per gli altri, facendone la loro attività o conciliandole con le ore di lavoro e sottraendole alla vita privata, merita una grande considerazione da parte dello Stato. Il modo migliore per farlo è garantire il massimo sostegno, innanzi tutto mettendo le organizzazioni del Terzo Settore nelle migliori condizioni per agire, e poi considerando un obiettivo decisivo per la società quello della promozione e dell’irrobustimento ovunque del Terzo Settore.
Come si vede si tratta di un profondo cambiamento d’ottica, di un radicale mutamento di funzioni per le istituzioni dello Stato. È a mio giudizio la via giusta per rendere più forte e partecipata la democrazia, più coesa e solidale la nostra società.