Da qualche settimana si riparla di riduzione della tasse. Sarà un caso ma capita sempre vicino alle elezioni. Berlusconi ha riproposto – in un’intervista – l’iniquo schema delle due aliquote Irpef al 23 e 33% al posto delle attuali cinque. Semplificare è giusto ma non apprezzo di far venir meno la progressività di quanto paghiamo rispetto ai nostri redditi.
Sul calo delle tasse prontamente dal ministro Tremonti è arrivata una frenata. Ormai da più di quindici anni assistiamo a questo alternarsi di annunci cui non fa seguito alcun provvedimento concreto. Piuttosto, nei quasi due anni del nuovo governo Berlusconi la pressione fiscale è cresciuta: secondo i dati più recenti, nel 2010 gli italiani lavoreranno fino al 23 giugno per pagare le tasse. Si tratta di un record assoluto.
Dopo aver a lungo professato il dogma neo liberista secondo cui massicce riduzioni di tasse creano un meccanismo virtuoso di crescita e maggiori entrate per il bilancio pubblico, il governo di destra annuncia che le tasse si potranno ridurre solo quando la ripresa si sarà consolidata. Campa cavallo.
Il Partito Democratico non ha mai illuso i cittadini con promesse irrealistiche. Spesso – vedi l’ultimo governo Prodi – ha dovuto mettere a posto i cocci, prodotti dalle avventate politiche di spese di Berlusconi e c., risanando i conti dello stato.

Da tempo chiediamo che si intervenga per sostenere i redditi dal lavoro e delle pensioni, perché i reali effetti della crisi si stanno vedendo ora con il continuo aumento della disoccupazione. Appena tre mesi fa Confindustria sottolineava il rischio della chiusura di un milione di piccole aziende. Il dramma della perdita del lavoro determina grandi difficoltà per milioni di persone, tra coloro che si ritrovano senza occupazione e le loro famiglie.
Serve con urgenza una riduzione della pressione fiscale sui redditi medio-bassi e sulle pensioni: le persone più colpite dalla crisi devono avere da subito più soldi in busta paga. Per reperire le risorse si parta da due priorità: la lotta all’evasione fiscale, che deve essere condotta in maniera seria e coerente, non proponendo uno scudo fiscale che è il manifesto dell’impunità, come ha fatto ancora una volta il governo della destra. Forse non è un caso che le entrate dell’Iva siano diminuite del 10% ma i consumi solo dello 0,5%.
La seconda strada da seguire è quella di spostare il carico fiscale dal lavoro alle rendite, che si sono ingigantite a dismisura negli ultimi anni grazie alla bolla finanziaria che ha relegato in secondo piano il mondo del lavoro e la cultura d’impresa, con le sue regole e i suoi principi.

L’Italia è l’unico paese dove non si parla più dei problemi dello sviluppo e del lavoro. Dalla ripresa dopo le feste natalizie il parlamento è stato costretto ad occuparsi dei casi giudiziari del Presidente del Consiglio.
Gli ultimi segnali ci dicono che l’inflazione riprenderà a salire mentre la crescita attesa è molto modesta.
Non ci stancheremo mai di dirlo: servono politiche forti per alleviare le crescenti difficoltà degli italiani e per invertire l’andamento negativo dell’occupazione.
Dall’inizio della crisi ci sono un milione di disoccupati in più. In questo quadro è inammissibile l’immobilismo del governo e della maggioranza di destra.