L’altolà del Vice Presidente del Senato al cumulo delle cariche: «Servono regole»
Chiti: partecipazione essenziale, ma così si rischia l’effetto referendum

E se a furia di votare si rischiasse l’effetto calcistico di una partita-ogni-tre-giorni? Insomma i giocatori si stirano i quadricipiti, e agli elettori viene la tendinite ai polsi. Il Vice Presidente del Senato Vannino Chiti non usa questa metafora pallonara, rimane sul piano politico-istituzionale, ma il senso è lo stesso: con troppe primarie, che pure sono uno strumento essenziale, si rischia lo stesso effetto avuto con i referendum. Lo strumento si logora e la gente non va più a votare.

Senatore Chiti, 115 mila votanti contro 150 mila del 2005. Come si spiega questa flessione?
«Non mi sentirei di catalogare il dato della partecipazione al voto come un elemento negativo. Però deve far riflettere la flessione di circa 40 mila persone rispetto a 5 anni fa: il susseguirsi a ritmo continuo di primarie può logorare questo strumento, che invece è importante, e in altri modi potrebbe avvenire il percorso che si è già verificato per i referendum».

Cioè alla fine la gente non va a votare.
«A un certo punto non c’è un incremento, ma ci sono successivi decrementi».

Troppa democrazia stanca?
«La spiegazione è nel susseguirsi di primarie: per i cittadini non c’è distinzione se sono di partito, per eleggere i segretari o gli organismi dirigenti, o se sono primarie della Regione, a cui però partecipano solo due partiti. Le primarie sono importanti: però stiamo attenti a non svuotarle come accaduto con i referendum. Ma il dato su cui dobbiamo riflettere ancora di più è un altro».

Quale?
«Un sistema politico-istituzionale come quello regionale toscano non può vivere positivamente se ci sono due partiti che fanno scegliere – giustamente – i propri candidati ai cittadini, visto che poi non ci sono le preferenze nelle elezioni, e tutti gli altri invece li scelgono da soli. Con questo meccanismo complessivamente non si ha un avvicinamento dei cittadini alle istituzioni, ma un allontanamento. Altro aspetto: noi avremo due milioni e ottocentomila toscani che non scelgono i candidati, e sono quelli che andranno a votare, e centomila che hanno scelto i candidati. E questo dato conferma che con questo meccanismo non c’è un avvicinamento ma un allontanamento tra istituzioni della democrazia e cittadini. E’ questo il dato più rilevante della democrazia moderna, e la Toscana non può registrarlo senza fare finta di niente».

E qual è la via d’uscita?
«Prima opzione: nei prossimi anni, attraverso la legislazione nazionale, introduciamo le primarie obbligatorie. Seconda: c’è un patto formale assunto in Consiglio regionale di fronte a cittadini, per cui tutti i gruppi utilizzano le primarie facendo di una facoltà un impegno obbligante. Terza: si torna alle preferenze. Non può essere che in Toscana 2 milioni e 800 mila non scelgano i candidati e io o mila sì. Non si può dire semplicemente – come ho fatto anche io – ‘bravi i partiti che utilizzano le primarie’. Una democrazia funziona se i cittadini scelgono le maggioranze di governo ma anche i propri rappresentanti nelle istituzioni. Altrimenti si fa il bis di una pessima legge elettorale, che dobbiamo cambiare, come quella nazionale. E la seconda elezione con questa legge elettorale, e le primarie le hanno fatte solo due partiti per volta: questo sistema non funziona».

A Firenze si registra l’avanzata della componente ex Margherita a danni degli ex Ds. Perché secondo lei?
«Penso, com’è stato per le primarie per il sindaco di Firenze, che per i cittadini che guardano al Pd, i vecchi vincoli siano molto meno presenti di quanto si immaginano i gruppi dirigenti più ristretti, e che un percorso di rimescolamento e di sintesi sia già avvenuto. Detto questo, ci sono alcuni candidati che, anche per la loro esperienza precedente in partiti in cui il rapporto con i cittadini era più personalizzato, sono più a loro agio. C’è meno il peso della provenienza del passato, c’è molto l’esperienza e il rapporto con i cittadini che si era abituati a costruire, e c’è molto il consenso che si è conquistato nelle esperienze compiute. Il candidato in assoluto che ha avuto più preferenze è Vincenzo Ceccarelli, con quasi ottomila voti; ha avuto più voti lui di altri con un bacino di elettori più grande. Viene dai Ds ma è stato un grande presidente della Provincia di Arezzo».

A Pisa il segretario Pd Ivan Ferrucci è arrivato primo, a Firenze Simone Naldoni solo settimo e rischia di non essere eletto.
«Tortolini a Piombino, Ruggeri a Livorno, Ferrucci a Pisa hanno avuto tutti un ottimo risultato. Naldoni era segretario da pochi mesi, gli altri da cinque anni. Forse i cittadini hanno valutato che un incarico importante come la guida di un partito a livello provinciale è un’esperienza che non va bruciata in pochi mesi per passare a esperienze diverse. Ruggeri fa il segretario del partito di Livorno da cinque anni, e va preso come esempio di un modo coerente di fare politica, è un giovane che ha continuato a lavorare nelle fabbriche. Fare il segretario per un tempo troppo breve fa da freno anzi ché da stimolo di voto, Naldoni è una persona di valore, ma aver fatto il segretario alla Speedy Gonzales credo gli abbia nuociuto».

C’è un’altra questione il cumulo di cariche, il segretario Naldoni, assessore a Scandicci, si dovrebbe dimettere?
«Nei Ds c’era una regola che penso sia giusto riportare anche nella vita del Pd: con incarichi di partito in Consiglio ci può stare solo il segretario regionale. Nei Ds c’era l’incompatibilità fra segretario provinciale e consigliere regionale. Perché non ci può essere cumulo di incarichi, questo davvero non ce n’è bisogno in politica».

Questo vale solo per gli incarichi di partito o anche per quelli istituzionali? Eugenio Giani è presidente del Consiglio comunale fiorentino.
«Vorrei sperare, ma non sono certo, che ci sia una incompatibilità anche formale. Comunque sia, non si può fare il presidente di un Consiglio comunale come quello di Firenze e il consigliere regionale, credo che Giani non abbia dubbi su questo. Mi pare che l’avesse anche detto».

Per la verità aveva detto che avrebbe fatto il presidente del Consiglio comunale per i prossimi cinque anni. Si deve dimettere prima di essere eletto?
«In questo caso penso che non potrà contraddire due volte le sue affermazioni. Uno che si candida per il Consiglio regionale, che è in campagna elettorale, e che sarà eletto perché non è in una posizione incerta, mi aspetto che faccia questo gesto (dimettersi, ndr) per sensibilità personale. Il presidente del Consiglio è un arbitro, ha un ruolo di rappresentanza, se è impegnato in una campagna elettorale non può essere un garante».

David Allegranti