Nell’ultimo congresso del Pd il vicepresidente del Senato Vannino Chiti non si è schierato apertamente con uno dei tre candidati preferendo far sentire la voce di quelli che lui stesso ha definito i «diversamente allineati». Ma oggi, davanti alle prime mosse di Pier Luigi Bersani guarda soddisfatto alla «nuova» stagione dei Democratici.

Presidente lei è stato, tra le altre cose, anche coordinatore della segreteria dei Ds. Cosa ne pensa dei «giovani sperimentati» scelti da Bersani?
«Nella vita dei partiti moderni la segreteria ha un ruolo fondamentale visto che è il massimo strumento esecutivo. Bersani ha costruito l’organismo favorendo la discesa in campo di una nuova generazione, relativamente giovane visto che l’età media è di 40 anni, ma non improvvisata, costruita a tavolino o nei salotti televisivi. È una scelta condivisibile che ora attende la verifica dei fatti».

«Giovani improvvisati». Cos’è una critica alla passata gestione?
«Più che una critica penso sia la conferma di una svolta. Noi abbiamo bisogno di costruire il Pd come un partito progressista, nuovo e di popolo. Ma per avere un partito come questo il rinnovamento deve essere costruito, non improvvisato».

Qualcuno contesta il fatto che questi giovani altro non siano che i più stretti collaboratori dei soliti vecchi. È così?
«Io penso che l’esperienza che uno fa non può essere valutata sulla base delle persone con cui ha lavorato. Per come li conosco non vedo giovani eterodiretti ma donne e uomini che hanno la volontà e le condizioni per assumersi le responsabilità che gli sono state date».

E i ritorni di personalità come Carlo Rognoni e Pierre Carniti?
«Un partito è dato dall’equilibrio tra generazioni. Ma il vero punto centrale resta la segreteria».

La convince, invece, la lottizzazione tra le varie correnti?
«No, un aspetto che mi preoccupa sinceramente è proprio questo. Io ritengo che le mozioni siano uno strumento per fare congressi, ma se si cristallizzano e diventano correnti il partito ha tutto da perdere. Capisco la preoccupazione di dare segnali di unità, ma non condivido la scelta».

Passiamo ai contenuti. La soddisfa la linea scelta dal segretario?
«Bersani sta dando una grande centralità ai temi della crisi, dell’occupazione, del lavoro. È importante perché la crisi ha una centralità, soprattutto nella testa degli italiani. E sbaglia il governo quando dice continuamente che non c’è».

Ma gli indicatori economici parlano di una ripresa.
«Si tratta di intendersi. Sappiamo tutti che ci sono degli indici che dicono che forse il peggio è passato. Ma non possiamo nascondere il dato allarmante dell’occupazione. Nella testa degli italiani il primo problema è il lavoro. Quante sono le piccole e medie imprese che chiudono? Quanti i negozi che non riaprono? Questo che è il tema centrale. Ed è su questo che noi facciamo le nostre proposte costruendo un’alternativa di governo. Se poi l’esecutivo vuole confrontarsi venga in Parlamento e si misuri con le nostre idee. Se ci fossero dei punti di intesa si potrebbe fare qualcosa per il bene del Paese».

A proposito di confronto, da un po’ di tempo nel Pd sembra essere esplosa una gran voglia di dialogare con la maggioranza. Anche questa è una svolta bersaniana?
«Per avere un dialogo bisogna essere in due. E obiettivamente, l’ho detto anche quando eravamo al governo, le responsabilità più grandi, se si vuole il confronto, sono della maggioranza. Io ricordo che su questo punto Veltroni spese gran parte del suo approccio alla guida del partito. Mi pare quindi che, più di una svolta, ci sia uno sforzo di continuità. Noi continuiamo a dire ci sono riforme che sono urgenti e l’Italia attende da tempo. Il problema è se ci sono le condizioni per farle. Se c’è una condivisione nel merito non ci tiriamo indietro».

Anche sulla giustizia?
«La giustizia non è un tabù. In Italia non è che c’è il Pdl che vuole riformarla e il Pd no. Non ci si scambi con Di Pietro. Noi riteniamo che ci sia da intervenire e fare una riforma della giustizia, perché non funziona. Ma la riforma vogliamo farla dal punto di vista dei cittadini non dal punto di vista dei problemi che ha il presidente del consiglio. Né quello di oggi, né quello di domani fosse anche uno del nostro partito».

Il processo breve serve ai cittadini?
«Il fatto che ci siano processi che hanno una durata certa e non infinita credo sia un’esigenza dei giudici e dei cittadini. Il problema è come si realizza l’obiettivo. Non si può volere il processo breve per uno e la confusione per tutti. Io credo che per fare una riforma della giustizia prima occorra abbassare i toni di una polemica che da troppi anni contrappone politica e magistratura con reciproche responsabilità».

Quindi è giusto prevedere uno scudo per chi governa?
«In alcune situazioni si può anche pensare. Quando si è discusso per la prima volta dei lodi dissi che una via costituzionale poteva essere opportuna. Ma oggi non credo ci siano le condizioni per discutere questo tema. Io credo che occorra abbassare i toni, recuperare un rispetto reciproco, fare una vera riforma della giustizia e poi, si potrà parlare di un problema che non è certo inventato».

Ammetterà che, su questo tema, la vostra posizione è molto più vicina all’Udc che all’Idv. Cos’è un segnale in vista delle prossime Regionali?
«Le Regionali sono il fatto politico più rilevante in termini di alleanze future in vista del 2013. Per quanto riguarda l’Idv io mi auguro che, con il congresso, smetta di essere un partito personale e diventi un partito vero con una linea politica e non legato agli umori della quotidianità. Quanto all’Udc credo che occorra mettere in campo un confronto a tutto campo alla ricerca di un’intesa generale. Personalmente non riesco a vedere un’alternativa a Pdl e Lega che non si fondi su un asse, che non esclude altri, ma che si basi sull’alleanza Pd-Udc. La nostra strada deve essere quella: un’alleanza riformatrice rigorosamente non influenzabile dal populismo».

Nicola Imberti