In occasione del Vertice Mondiale sulla Sicurezza Alimentare, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha sottolineato che nel 2009 circa 1 miliardo di persone ha sofferto la fame. E’ una realtà contro cui l’umanità ha il dovere di ribellarsi. Non si possono tollerare simili ingiustizie.
La riduzione del numero di persone che soffrono la fame è uno degli Obiettivi di Sviluppo più ambiziosi del Millennio, che i 191 membri delle Nazioni Unite si sono impegnati a raggiungere entro il 2015. Invece oggi la tendenza è diversa: dopo alcuni buoni risultati ottenuti negli anni 90 – tra il 1990 e il 2005 il numero di persone che viveva con meno di 1,25 dollari si era ridotto dal 42% al 25% –, adesso la lotta alla fame segna il passo.
Più di un quarto dei bambini nelle aree in via di sviluppo è sottopeso. E si stima che il numero delle persone che vivono in condizione di povertà estrema sin dai prossimi mesi possa crescere di un numero che oscilla tra i 55 e i 90 milioni.
E’ uno dei tanti effetti negativi della crisi economica attuale.
Per questo è indispensabile che gli impegni presi vengano rispettati.
Il vertice G8 de L’Aquila del luglio scorso si è concluso con la decisione di stanziare 20 miliardi di dollari in tre anni per combattere la fame nel mondo. Questa assunzione di responsabilità è importante: deve tradursi in fatti concreti. E’ una promessa che i grandi del mondo hanno fatto a milioni di persone che ogni giorno sono tra la vita e la morte.
Troppe volte, anche da parte dell’Italia, alle promesse non sono seguiti i fatti. Come ha ammonito Papa Benedetto XVI, dobbiamo scongiurare il rischio che la fame sia considerata una condizione strutturale, oggetto di rassegnato sconforto o di insofferenza. L’alimentazione è un diritto fondamentale per ogni uomo sulla Terra.
Il Papa ha anche sottolineato un altro elemento essenziale, affinché il mondo possa incamminarsi verso un futuro sostenibile: basta con gli sprechi e l’opulenza. Serve che i paesi più ricchi maturino una vera coscienza solidale e si impegnino perché le risorse siano equamente disponibili per tutti. Nessuno deve più farne uso indiscriminato.
Il problema della scarsa disponibilità di cibo e acqua per una grossa fetta di popolazione mondiale si è intrecciato, negli ultimi anni, con le conseguenze negative della globalizzazione. Si era pensato che la creazione di un grande “mercato” comune, a livello mondiale, avrebbe velocizzato la crescita e realizzato società più giuste e civili. Non ci si è confrontati con un altro aspetto: la globalizzazione, mettendo in comunicazione fra loro territori e mercati, diffonde a grande velocità gli scompensi che colpiscono alcune zone o alcuni sistemi economici. Da due anni ci troviamo a subire una “pandemia” finanziaria che è scoppiata a New York e in poco tempo ha travolto le economie di tutto il mondo.
La globalizzazione ci costringe a pensare ai problemi in termini mondiali,
a definire regole per il suo governo, a costruire un sistema in cui i grandi temi siano governati da organizzazioni sovranazionali. Solo così si potranno avere regole forti, condivise, rispettate.
Per noi ciò significa costruire la dimensione politica dell’Unione Europea, attuando il trattato di Lisbona – alla fine ratificato e che sta entrando in vigore – e andando ben oltre.
E’ questa la strada da seguire per avere uno sviluppo più giusto e sostenibile, una globalizzazione non solo dell’economia e della finanza, ma anche dei diritti umani e della democrazia.