Il governo continua ad affrontare la crisi economica in modo insufficiente, all’insegna della propaganda. Venerdì scorso l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ha diffuso dei dati relativi alla ripresa dell’ economia italiana e pochi minuti dopo il Presidente del Consiglio ha parlato di crisi alle spalle e forti segnali di ripresa. Non è così, ci sono importanti rilievi da fare sui dati diffusi dall’Ocse e sulle previsioni di uscita dalla recessione economica.
Il cosiddetto ‘superindice’ elaborato dall’ organismo continentale non è uno strumento per valutare lo stato di salute complessivo dell’economia, bensì un indice che segnala il livello di espansione rispetto alle potenzialità massime di un paese. Quindi il + 1,3% su base mensile e il +10% su base annua ci dicono che in Italia l’indice di produzione della ricchezza cresce, ma in relazione al potenziale massimo. Purtroppo però questo potenziale produttivo di beni e servizi del nostro Paese si sta riducendo pesantemente: le aziende che chiudono o che denunciano pesanti difficoltà sono migliaia; i licenziamenti che ne conseguono sono un altro aspetto drammatico per chi perde il lavoro e per il livello dei consumi. Le previsioni non sono quelle contenute nella propaganda del governo: per il 2010 si prevede una ulteriore crescita della disoccupazione fino al 10% e il Pil dovrebbe chiudere l’anno 2009 con una riduzione tra il 4 e il 5%.
L’Italia, come è noto, è un’economia fondata sulle piccole e medie imprese; se questo tessuto produttivo si riduce fortemente le conseguenze sono estremamente negative e l’indice dell’Ocse non può dare forti speranze di ripresa.
A questo quadro il governo ha risposto con provvedimenti che non hanno immesso nel sistema denaro fresco, ma solamente operato spostamenti di risorse già stanziate, aumentando nello stesso tempo il deficit e il debito pubblico – 100 miliardi in più nell’ultimo anno –, un fardello che limita sempre di più la possibilità di investimenti. Del resto questo governo ha sprecato risorse per motivi elettorali a proposito di Alitalia: non dimentichiamolo mai.
Dall’Europa arrivano altre informazioni interessanti: l’Unione Europea ha calcolato che entro il 2015 lo sviluppo della banda larga porterà 1 milione di posti di lavoro e una crescita di 850 miliardi di euro. Tanti paesi hanno colto le potenzialità dello sviluppo della rete, formidabili non solo per la diffusione dell’informazione e della comunicazione, ma anche per l’efficienza dei servizi, innanzi tutto della pubblica amministrazione. Francia e Germania investiranno miliardi di euro nei prossimi anni. Un volano di sviluppo su cui puntare per uscire dalla crisi. L’Italia invece taglia e rimanda gli investimenti nel settore: il governo, infatti, ha annunciato – per bocca del sottosegretario Letta –  un taglio di 800.000 euro dal piano di diffusione della banda larga a tutti gli italiani, rimandandoli «a quando usciremo dalla crisi». L’Italia, peraltro, si trova già in forte ritardo rispetto: solo il 20% degli italiani dispone oggi della banda larga, molto meno che nei principali paesi europei.
Quello che il governo di destra non capisce è che la banda larga è indispensabile non “domani” ma oggi, per uscire dalla crisi, avviare uno sviluppo di più alta qualità, dare una risposta positiva alla domanda di occupazione, specie dei giovani.