1)    Alcune considerazioni di carattere generale, e necessariamente schematiche.
a)    La democrazia rappresentativa – che ha nella separazione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) i suoi fondamenti – è pienamente valida.
È in grado di funzionare, di realizzare un giusto equilibrio tra governo e rappresentanza, tra decisione e partecipazione, nella società contemporanea, nel mondo globale.
Il ruolo del parlamento è decisivo e centrale nella democrazia rappresentativa.
b)    Basta dare uno sguardo nei paesi a democrazia avanzata per rendersi conto di questa realtà. Nazioni con diverse forme di Stato e di Governo (monarchico o repubblicano, presidenzialista o con governi parlamentari), dalla Gran Bretagna alla Germania, dagli USA alla Spagna hanno non sulla carta ma in modo effettivo ed efficace una funzione centrale dei rispettivi Parlamenti.
Le difficoltà della situazione italiana, nella quale il Parlamento è centrale nella Costituzione ma non nella reale vita politica e istituzionale, vanno dunque approfondite e verificate qui, non con semplici rinvii ai processi di globalizzazione.
Naturalmente non si può – parlo dell’Europa – rimanere chiusi all’interno degli Stati nazionali.
c)    L’Unione Europea ha compiuto con il Trattato di Lisbona una precisa scelta per il suo futuro, per l’ordinamento democratico che dovrà consentirle più capacità di governo nelle materie di sua competenza (es.: sicurezza e politica internazionale), più partecipazione e vicinanza dei cittadini: la scelta è quella della democrazia rappresentativa, con un ruolo forte dei Parlamenti.
Parlamenti al “plurale”: viene rafforzato in modo considerevole il ruolo del Parlamento europeo; il Consiglio europeo (la sede dei capi di governo) assumerà di fatto il ruolo di Camera alta; viene prevista una funzione significativa degli stessi Parlamenti nazionali, sia nella cosiddetta fase ascendente delle decisioni dell’Unione sia – e ancor più – nel controllo del rispetto del principio di sussidiarietà.
Potere di intervento dei Parlamenti.
d)    Un’ultima questione di carattere generale: nelle società moderne diviene essenziale il rapporto tra territori e centro. È lungo questa filiera che passa in concreto il rapporto tra cittadini e istituzioni democratiche. Nei paesi europei vi sono diverse soluzioni riguardo al ruolo di Comuni, Province, Regioni: mi riferisco alle competenze amministrative; per le Regioni anche a quelle legislative.
È così non ovunque: in Germania, nella stessa Italia.
Nei paesi europei – a differenza che in Italia – vi è anche una differenziazione di competenza tra Senato e Camera; esistono modi differenti per la elezione della Camera alta.
Si sta determinando, nelle esperienze dei paesi europei, una linea di tendenza che fa sì che i Senati siano principalmente caratterizzati da una funzione di raccordo verso le istituzioni regionali e locali; i territori; siano impegnati verso l’Unione Europea; svolgano su questa base più un ruolo di garanzia verso i cittadini, che il compito politico della fiducia e del controllo dei Governi. Naturalmente, pur essendo vari i modi di elezione dei Senati, non si ha l’elezione diretta a suffragio universale:
la Camera dei Lords addirittura non è elettiva;
il Senato francese viene eletto in II grado dai consiglieri comunali, provinciali e regionali;
quello tedesco – il Bündesrat – è formato dai governi.
Quello spagnolo è misto, cioè vede, accanto a parlamentari eletti a suffragio universale dai cittadini, rappresentanza di Regioni e Comunità autonome.
Si tocca qui un aspetto decisivo, che è bene sottolineare: se si vuole escludere il Senato dal voto di fiducia al governo (e dalla eventuale sfiducia costruttiva) è necessario non determinarne l’elezione a suffragio universale. In caso contrario, occorre per questi compiti di natura prevalentemente politica, pensare a sedute congiunte, al Congresso del Parlamento, così come avviene per la elezione del Presidente della Repubblica.

2)    La situazione in Italia.
a) Nel nostro paese Camera e Senato hanno le medesime funzioni.
È stato importante nella prima fase di vita della Repubblica: oggi rappresenta un appesantimento decisionale.
b) E’ troppo alto il numero dei parlamentari, anche in riferimento alle competenze assunte dalle Regioni.
Esistono solo al Senato sei proposte di legge per la riduzione del numero dei parlamentari.
A mio giudizio, quello giusto, sarebbe di 400 Deputati e 200 senatori.
c) E’ confuso e non completo l’ordinamento, la responsabilità finanziaria di Regioni e Autonomie Locali.
Esistono problemi di competenza (grandi reti di energia, infrastrutture etc.); problemi di attuazione a cominciare dall’art. 119 della Costituzione, il cosiddetto federalismo fiscale.
Approvato in Parlamento: ora 2 anni per i decreti delegati e 5 per la sperimentazione.
Non è ancora venuta alle Camere la Carta delle Autonomie, in linea con il nuovo Titolo V della Costituzione e necessaria prima che vengano approvati i decreti delegati sul federalismo fiscale.
La conseguenza di questo insieme di scelte, fatte o da fare, è che oggi l’Italia non è né carne né pesce: non ancora un moderno Stato delle Autonomie, non più uno Stato centralistico.
Il Parlamento non è in grado di svolgere la funzione che gli affida la Costituzione: questa funzione è necessaria, può e deve svolgerla come gli altri Parlamenti, così da far vivere in modo efficace la democrazia.
Quali sono le scelte necessarie e urgenti?
In fondo le ho già indicate.
Per prima una riforma del Parlamento che differenzi i compiti di Camera e Senato, riducendo anche il numero dei parlamentari.
Nella scorsa legislatura si era realizzata un’intesa su di una proposta che la Commissione Affari Costituzionali della Camera approvò senza voti contrari.
Da lì secondo me si dovrebbe ripartire.
Camera e Senato manterrebbero competenze uguali in TRE campi di intervento: modifiche alla Costituzione; leggi elettorali; ratifica dei trattati internazionali.
Il Senato svolgerebbe una funzione prioritaria sui temi relativi al rapporto tra Unione Europea, Stato nazionale, Regioni e Autonomie locali.
Dovrebbe poi sviluppare rapporti di collaborazione con gli altri Parlamenti, non solo europei, ma del bacino del Mediterraneo.
La sua elezione dovrebbe essere di II grado, operata dai Consigli Regionali (oppure secondo il modello francese).
Nel caso che resti l’elezione diretta a suffragio universale – ma questo potrebbe avere una ricaduta sulle competenze -, collegarla alle elezioni regionali.
Sulle altre materie legislative, l’ultima parola spetterebbe alla Camera: il Senato dovrebbe avere un arco di tempo entro il quale votare le leggi; la Camera, in caso di modifiche apportate delle quali non si tenga conto, dovrebbe procedere a maggioranza qualificata.
In secondo luogo, complementare alla riforma del parlamento, quella dei regolamenti parlamentari.
–    a costituzione vigente
–    strumenti di garanzia per le opposizioni (leggi di tipo maggioritario)
–    Lavoro Commissioni Aula
–    Spazi dell’opposizione per i Disegni di Legge (30% del tempo). Provvedimenti legislativi del Governo: strumento della richiesta d’urgenza. Alla votazione finale entro 45 giorni.

3)    Infine, la questione della riforma del governo.
Prima una considerazione.
È vero che nelle democrazie moderne i Parlamenti perdono alcune funzioni normative e di iniziativa legislativa: devono impegnarsi su una legislazione quadro; su leggi delega; devono rafforzare gli strumenti di indirizzo e di controllo.
In Italia manca ancora una cultura del controllo.
Gli strumenti del sindacato ispettivo di Camera e Senato vengono svuotati: si tratta di interrogazioni; interpellanze.
Non efficace come potrebbe il question time (c’è solo alla Camera!).
Le mozioni e gli ordini del giorno approvati, scarsamente rispettati.
Conclusione: è seriamente negativo il rapporto esistente tra Governo e Parlamento; tra Giunte e Consigli Regionali e in buona parte anche Comunali (almeno nelle città più grandi, più che nei piccoli centri).
A livello nazionale crescono i decreti legge e i voti di fiducia.
In generale sta venendo meno – e occorre ricostruirlo – quell’equilibrio essenziale tra i vari poteri che è l’anima di una democrazia rappresentativa.
Equilibrio, regole rispettate per i rapporti tra i poteri (le istituzioni) dello Stato; non concentrazione dei poteri, più o meno confusa; non democrazia delegata, senza controlli dopo il voto.
Il voto dei cittadini è il momento decisivo, più importante in una democrazia: ma non annulla il resto.
Le responsabilità personali; l’autonomia e indipendenza dei poteri; i diversi ruoli delle istituzioni; i compiti – diversi ma entrambi fondamentali – di maggioranza e opposizione.
In Italia è confuso il rapporto e il controllo tra Parlamento e Governo; tra Corte Costituzionale e altre istituzioni dello Stato.
È anche carente, con l’attuale legge elettorale, un rapporto di scelta e poi di relazione corretta tra cittadini elettori ed eletti.
L’attuale legge presenta tre gravi squilibri:
a)    premio di maggioranza addirittura svincolato da livelli di consenso nel voto (diverso la legge del 1953 ad esempio)
b)    liste bloccate, con una pletora di candidati
c)    possibilità di candidarsi nei vari collegi
Questa legge sta ancor più logorando il rapporto tra cittadini e istituzioni, oltre che a impoverire la tensione e l’impegno dell’attività dei (singoli) parlamentari.
All’interno di questo scenario, colloco la riforma del governo, da affiancare a quella del Parlamento:
1)    Elezione da parte della Camera del Presidente del Consiglio (come in Spagna e Germania).
2)    Non solo proposta di nomina dei ministri ma anche di revoca da parte del Presidente del Consiglio.
3)    Sfiducia costruttiva.
È questa la via per rilanciare la democrazia nel nostro paese: come è possibile, giusto, necessario.
È così che l’Italia ha progredito in questi 60 anni, è così che continuerà a progredire.