è con grande piacere che ho accolto l’invito a partecipare, in rappresentanza del Senato, a questa iniziativa e ringrazio i colleghi Luigi Vitali e Deborah Bergamini per aver promosso questa particolare celebrazione del 60° anniversario della fondazione del Consiglio d’Europa dedicata al tema della violenza contro le donne.
A sessant’anni dalla sua fondazione, il Consiglio d’Europa si trova a operare in un ambiente politico ed economico profondamente mutato: il compito fondamentale di tutelare e promuovere i diritti umani si è arricchito negli ultimi anni di nuove sfide da affrontare per i rappresentanti dei 47 parlamenti coinvolti. Una particolare attenzione è stata rivolta alla evoluzione dei paesi dell’Europa centrale e orientale. Il Consiglio d’Europa ha sviluppato un impegno e acquistato nel campo dei diritti umani e della vita democratica una autorevolezza super partes rispetto agli schieramenti politici, che lo hanno reso in grado di orientare in maniera sempre più incisiva le scelte politiche e gli interventi legislativi di ciascun paese.
Alla base delle maggior parte delle Costituzioni e delle Carte internazionali dei diritti fondamentali c’è il richiamo al principio del rispetto della dignità della persona. La tutela di questo valore fondamentale e la difesa della centralità della persona guidano l’operato del Consiglio d’Europa dalla sua fondazione, e soprattutto oggi, di fronte a nuove prospettive di offese e attacchi in forme diverse dal passato.
Nel 1993 la Conferenza mondiale di Vienna sui diritti umani ha riconosciuto nella “Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne” i diritti delle donne come diritti fondamentali e definito violenza contro le donne “qualunque atto di violenza sessista che produca, o possa produrre danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche, ivi compresa la minaccia di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata”. Una definizione che nella sua ampiezza ha consentito per la prima volta di offrire una tutela alle donne contro atti che nel passato venivano nel migliore dei casi condannati solo moralmente. Bisogna ricordare, infatti, che solo a partire dagli anni ’70-’80 il fenomeno è divenuto visibile, nell’ambito della più generale opera di promozione della parità fra donne e uomini.
La violenza nei confronti delle donne è ancora oggi una delle più diffuse violazioni dei diritti fondamentali in Europa. Soprattutto la violenza domestica colpisce tutti i paesi membri e tutte le classi sociali e secondo le stime disponibili, in tutto il continente europeo, 80 milioni di donne ne sono colpite.
La conoscenza del fenomeno e le relative risposte non sono omogenee negli stati membri del Consiglio d’Europa: mentre in alcuni paesi si registra una certa esperienza e si valutano nuove prospettive di contrasto, in altri si è appena all’inizio del processo.
Negli ultimi anni il tema è stato al centro dell’azione del Consiglio d’Europa seguendo tre linee principali d’intervento: sensibilizzare i poteri pubblici e la popolazione, esortare gli Stati a adottare misure nazionali di prevenzione e di lotta nei confronti del fenomeno, proteggere le vittime e perseguire gli autori di tali reati.
Penso alla raccomandazione adottata il 30 aprile del 2002 “La protezione delle donne dalla violenza”, primo strumento internazionale a proporre una strategia globale per prevenire la violenza e proteggerne le vittime. O ancora alla campagna “Stop alla violenza domestica contro le donne”, condotta dal 2006 al 2008, che ha coinvolto tutte e tre le dimensioni politiche del Consiglio d’Europa (quella parlamentare, quella governativa, e quella delle Autonomie locali e regionali) e le ONG, volta a sollecitare gli Stati membri a introdurre e adottare misure di prevenzione, contrasto e assistenza adeguate e a rendere i cittadini maggiormente consapevoli.
L’Assemblea parlamentare, a partire dal 2000, con numerose raccomandazioni e risoluzioni, si è occupata della violenza contro le donne in Europa, dello stupro durante i conflitti armati, delle mutilazioni genitali femminili, della schiavitù domestica, dell’immagine della donna nei media, della violenza domestica, dei cosiddetti “crimini d’onore”, dei matrimoni forzati e di quelli in età minorile e del traffico di esseri umani per sfruttamento sessuale.
Negli anni più recenti si sono moltiplicate le azioni di sensibilizzazione nei confronti dei parlamentari in numerosi paesi esortandoli ad adottare, il più rapidamente possibile, degli standard legislativi minimi contro la violenza verso le  donne.
Purtroppo, nonostante i progressi compiuti in ambito legislativo, i provvedimenti volti a proteggere le donne e a punire i colpevoli delle violenze hanno dato risultati poco significativi e i servizi alle vittime restano insufficienti.
La situazione italiana è stata fotografata nel 2007 da un’indagine svolta dall’Istat su un campione complessivo di 25.000 donne dai 16 ai 70 anni, campione rappresentativo di tutta la popolazione femminile italiana. Oggetto la violenza fisica, sessuale e psicologica, dentro la famiglia (da partner o ex partner) e fuori dalla famiglia.
Dai risultati è emerso che 6 milioni e 743 mila sono le donne – solo in Italia – vittime di violenza fisica o sessuale nel corso della vita; nel solo 2006 il numero delle donne vittime di violenza ammontava a 1 milione e 150 mila e sono stati registrati 900 mila ricatti sessuali sul lavoro.
Il 14,3% delle donne ha subito almeno una violenza fisica o sessuale all’interno della relazione di coppia (da un partner o da un ex partner). Le violenze domestiche sono in maggioranza gravi, al punto da richiedere il ricorso a cure mediche.
Nella quasi totalità dei casi le violenze non sono denunciate. Il sommerso è elevatissimo e raggiunge circa il 96% delle violenze da un non partner e il 93% di quelle da partner. Anche nel caso degli stupri, la quasi totalità non è denunciata (91,6%).
Inoltre sono 2 milioni e 77 mila le donne che hanno subito comportamenti persecutori dai partner al momento della separazione o in seguito, reato definito  stalking e recentemente introdotto in Italia.
Il quadro delineatosi dalla lettura di questi dati è inquietante. Nonostante i passi avanti che si sono registrati negli ultimi anni sul piano della presa di coscienza e della denuncia, il nostro Paese deve concentrare tutte le forze per combattere ogni sorta di pratiche lesive della dignità della donna.
Contano le leggi. Contano i comportamenti, gli esempi da parte di quanti svolgono un ruolo – nella politica, nella cultura, nell’informazione – in grado di influenzare la società. In questo campo è ancor più negativo – per citare un proverbio –  “predicar bene e razzolar male”.
Perché la situazione cambi, perché cessino sfruttamenti e violenze, è necessario un impegno collettivo di educazione al rispetto della donna e alla cultura della non violenza a partire dalle scuole e in ogni contesto sociale e lavorativo. Sono indispensabili campagne di comunicazione efficaci per combattere schemi e pregiudizi sociali e culturali e le immagini stereotipate del ruolo di ciascun sesso.
È lo schema della “donna oggetto” che deve essere rimosso non solo dalle leggi, ma dalle menti di ciascuno.
Il grande passo da compiere è il cambiamento dei comportamenti e delle norme culturali discriminanti. È indispensabile un orientamento costante dell’opinione pubblica affinché la società diventi consapevole del fenomeno e degli effetti devastanti sulle vittime e affinché questo dramma possa essere affrontato senza pregiudizi.
Operando con serietà e continuità sono dunque necessari diversi anni prima che si possa assistere a una diminuzione effettiva e tangibile del tasso di violenza. In questo senso, il confronto tra paesi diversi diventa prezioso: l’apporto dei principali organismi europei può risultare fondamentale per assicurare da una parte un’analisi e un monitoraggio costanti delle situazioni di ciascun paese e per creare, dall’altra, un terreno comune di scambio di informazioni, proposte, soluzioni.
In un contesto europeo, inoltre, si possono affrontare con maggiore incisività le sfide sempre più complesse che le nostre società si trovano di fronte: penso alla necessità di sviluppo di programmi e ricerche destinati a donne appartenenti a comunità con specificità culturali o a gruppi etnici minoritari, allo scopo di conoscere le forme particolari di violenza che subiscono tali donne, prevedendo metodi adeguati di intervento.
Un approccio europeo attraverso l’adozione di un programma specifico per la lotta alla violenza può contribuire in maniera forte e decisa ad arginare il problema.
L’iniziativa di oggi della delegazione parlamentare italiana a Strasburgo va in questa direzione e la presenza del Presidente De Puig testimonia quanto sia centrale questo tema nell’ambito dell’attività dell’assemblea parlamentare.
Vorrei concludere ricordando le parole pronunciate dal segretario generale dell’ONU Ban Ki Moon nel marzo scorso: “la violenza sessuale contro le donne è un crimine contro l’umanità. Viola tutto quello per cui si battono le Nazioni Unite. Provoca conseguenze che vanno ben al di là del visibile e dell’immediato. L’impatto sulle donne e sulle ragazze, sulle loro famiglie, sulle loro comunità e sulle loro società in termini di vite e di focolai spezzati, va oltre ogni possibile calcolo”.