Nel mondo di oggi il welfare deve essere molto di più che erogazione dei servizi di base, risarcimento del danno e del rischio. È indispensabile costruire un nuovo welfare europeo più giusto in cui lo Stato assicuri la qualità del servizio e, senza abdicare ai suoi compiti, valorizzi l’iniziativa dei cittadini che si impegnano nel sociale, verso un modello di welfare locale, radicato nella comunità, che sviluppi il contributo dell’economia sociale e di tutti i soggetti privati che hanno a cuore il bene comune.
Il nuovo welfare, nel nostro Paese, deve saper unire le persone a partire dall’infanzia, deve costituire la base da cui partire per creare una società più solidale, creare opportunità di vita per donne e uomini, indipendentemente dalla loro provenienza, dalle loro possibilità economiche. Un welfare moderno deve dare maggiore sostegno alla famiglia che oggi fatica ad andare avanti, deve offrire più opportunità ai giovani e alle donne che spesso sono marginalizzati. Il welfare, in una società moderna, deve essere lo strumento principale per consentire a ognuno di sviluppare la propria vita e realizzare il proprio progetto; deve porsi l’obiettivo della realizzazione di un’uguaglianza delle opportunità che possa consentire davvero l’affermazione del merito. Perché senza uguaglianza reale di opportunità qualsiasi politica che parli di merito finirebbe solo per ribadire le diseguaglianze esistenti.

Dobbiamo dare vita a uno sviluppo che abbia tra i suoi riferimenti principali la persona che è il primo valore intorno al quale ridisegnare il welfare del futuro. La persona nel contesto sociale e ambientale in cui essa abita e vive. Il riferimento all’ambiente è dunque indispensabile per costruire il welfare del domani.

La crisi finanziaria ed economica che ha investito il mondo ha coinvolto duramente anche il nostro Paese, toccando strati sempre più larghi di popolazione. Una crisi che ha accentuato ulteriormente i mali italiani: le diseguaglianze tra i ceti e tra le diverse zone del paese, la paura e il senso di insicurezza delle persone rispetto al futuro. La povertà che si è manifestata in forme che non conoscevamo da molto tempo.
Il rischio che corriamo è che questa crisi allontani ulteriormente il momento di una riforma complessiva del welfare e che, a fronte di una flessione della produzione, vengano contratte ulteriormente le risorse destinate ad esso.
E’ quello che purtroppo è accaduto. La riduzione degli stanziamenti per le politiche sociali tra la Finanziaria 2008 e la Finanziaria 2009 ammonta a 660 milioni di euro. Nella Finanziaria è stato pesantemente ridimensionato il Fondo per le politiche sociali, sostituito con provvedimenti come la social card e il Bonus, improntati a una visione filantropica e assistenziale che nulla hanno a che vedere con il nuovo modello di welfare moderno ed efficiente che vogliamo costruire.
Questa non è la strada giusta. Infatti, tanto più in un contesto di grave crisi come quella attuale, servono, al nostro welfare, interventi di riforma a carattere organico. E’ necessario dare a chi è colpito dalla crisi elementi di sicurezza per affrontare questo delicato passaggio economico, indicare soluzioni e prospettive da percorrere. L’innovazione del welfare deve essere considerata fattore decisivo per un superamento della crisi che non porti a un ripiegamento delle condizioni di vita delle persone, un welfare qualificato deve essere la leva di un nuovo sviluppo del Paese, perché non esiste ripresa economica che non sia legata alla soddisfazione dei bisogni  delle persone.

Possiamo uscire dalla crisi economica migliori di come ci siamo entrati se ridefiniamo la nostra strategia di valori, se investiamo sulla qualificazione del capitale umano.

Come ho già detto, il welfare italiano è universale solo nominalmente. Permangono grandi differenze tra regione e regione, tra nord e sud del Paese, i livelli di assistenza nel Sud non sono gli stessi che ci sono nel centro e nel nord.

L’Oms ha stabilito che la mortalità infantile misura il grado di civiltà di un popolo. La si può assumere come indicatore per misurare gli squilibri presenti nel nostro Paese.
L’Italia dagli anni ’50 ha fatto passi da gigante entrando tra le nazioni occidentali che si collocano in cima alla lista riguardo alla bassa mortalità infantile. Tra i paesi dell’Europa occidentale ha presentato uno dei miglioramenti più significativi, dal 29,2% nel 1970 al 3,7% nel 2005.

Tuttavia gli  squilibri a livello territoriale tra nord e sud sono ancora notevoli. Un neonato che dovesse nascere a Reggio Calabria oggi, ha una probabilità di morire molto superiore a quella di un neonato di Rimini o di Trieste. In Calabria infatti, secondo gli ultimi rilevamenti dell’Istat, il tasso di mortalità infantile è del 5,4%, in Emilia Romagna del 3,6% e in Friuli Venezia Giulia è dell’1,8%.

Se guardiamo il dislivello economico-sociale tra nord e sud ci accorgiamo che il dislivello della mortalità infantile è assolutamente correlato all’indicatore socio-economico che in Friuli Venezia Giulia viene stimato al 73,8%, mentre in Calabria è del 9,8% (dati CENSIS – ISTAT). Dati che trovano un’ulteriore corrispondenza nel cosiddetto indicatore sintetico di offerta sanitaria che in Emilia Romagna è del 67,6%, in Friuli del 53,4%, in Calabria del 9,8 % (dati CENSIS – ISTAT).

Vi è dunque una diretta corrispondenza tra mortalità infantile, povertà economica, minori investimenti in sanità che si profilano in tutto il Paese.

Quanto al tema dell’immigrazione, anche in questo caso l’analisi delle questioni legate alla tutela della maternità e della vita permette una chiave di lettura molto importante. Se vediamo infatti che al 1° gennaio 2008 in Italia gli stranieri con età pediatrica sono circa il 22,2% del totale, ci rendiamo conto di come cambierà molto presto il volto del nostro Paese. Secondo i rilevamenti, nell’arco di tempo che va dal 1993 al 2006, il tasso di mortalità infantile tra i cittadini italiani è del 4,7, mentre tra i cittadini stranieri è del 7,03% (dati  registro provinciale RE di mortalità).

Quali sono dunque le priorità urgenti da compiere per rinnovare il nostro welfare?

È indispensabile per noi oggi dare priorità concreta alla soluzione degli squilibri territoriali presenti anche nella sanità che ancora oggi attribuiscono alle regioni meridionali un triste e negativo primato nella mortalità di bimbi nel parto o appena nati.
Correggere gli squilibri e adeguare ai livelli europei la spesa destinata al welfare, oggi gravemente sottodimensionata e caratterizzata, tra l’altro, dall’assenza di strumenti e politiche di sostegno al reddito delle fasce più deboli e di contrasto delle situazioni di povertà, anche estrema.

Serve un effettivo controllo dell’incremento della spesa sanitaria, da perseguire attraverso azioni di contrasto delle ampie sacche di spreco ed inefficienza.

Servono incentivi per le aziende che assumono a tempo indeterminato. Progetti di formazione permanente per garantire continuità dell’occupazione. Misure di sostegno per chi perde il lavoro, tanto più necessarie adesso in questo periodo di crisi economica. E’ giusta la proposta del Pd di stanziare un assegno mensile di disoccupazione per quelli che perdono il posto di lavoro.

Occorrono misure per facilitare l’accesso a tutti alla scuola e all’istruzione, come la gratuità dei libri di testo per alcune fasce di popolazione, l’accesso alle borse di studio e ai programmi di studio all’estero come l’Erasmus.

Occorre definire i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), e i Livelli Essenziali di Assistenza Sociale (LIVEAS).
In particolare, per questi ultimi, la cui necessità è stata ripresa nello stesso testo di legge in materia di federalismo fiscale, la definizione, a nove anni dalla Legge 328/2000 che li istituiva, non è più rinviabile e si deve articolare in base a due diversi parametri:

● quello dell’arco esistenziale della vita della persona (infanzia, gioventù, età adulta, età anziana);
● quello delle condizioni specifiche (non autosufficienza, disabilità, ecc..)

Occorre attuare anche in Italia, come in tutta Europa, misure urgenti e programmi specifici di contrasto alla povertà.  Sono circa 2 milioni e mezzo gli italiani che oggi vivono in condizioni di povertà assoluta. Sono i poveri fra i poveri che non sempre sono in grado di comprare beni e servizi essenziali per vivere. Una problematica che in Italia è stata sottovalutata.

Occorre dare continuità a misure per la famiglia che deve essere valorizzata, sia perché possa far fronte a difficili condizioni materiali sia nel costruire un sostegno culturale e uno status giuridico adeguato. Servono asili nido, occorre dare sostegno alle famiglie numerose, attraverso detrazioni fiscali, aiuti alle spese per l’abitazione, incentivi per l’assunzione di personale femminile. Accanto e prima di queste azioni di governo, importanti per costruire le condizioni che consentano alle coppie giovani di formare una famiglia, di poter mettere al mondo dei figli, senza paure e sfiducia nel futuro, è necessario affermare nella società una cultura nuova.
Abbiamo già detto che il nuovo welfare deve essere costruito attorno alla persona, alla sua dignità. L’economia, la politica, la scienza devono essere per la persona e non il contrario. La via maestra per riuscirci è quella della formazione, della cultura da far divenire “vincente” nella nostra società, così da orientare il senso comune ed i comportamenti.

Mettere la persona al centro delle politiche di welfare implica considerarla come individuo portatore di responsabilità sociale e di diritti. Libertà e responsabilità; diritti e doveri devono essere tra loro inseparabili. Lo Stato deve essere dalla parte della vita umana, della tutela e promozione della dignità di ognuno, della dimensione sociale e solidale della persona. Deve aiutare a costruire e diffondere quel senso di responsabilità che è coscienza dei doveri derivanti dall’essere parte di una comunità.
Questa è la sussidiarietà che, insieme al federalismo, rappresenta l’asse per una riforma delle istituzioni e della democrazia in Italia e in Europa.

Dobbiamo ripensare il ruolo del pubblico, tenendo conto che la sussidiarietà, come giustamente intesa dalla Costituzione, non diminuisce lo spazio del pubblico, ma anzi lo amplia.

Bisogna dare concretamente autonomia e responsabilità alle amministrazioni locali, altrimenti non si crea un nuovo welfare e non si costruisce una collaborazione positiva tra istituzioni, associazioni di cittadini e imprese sociali. In concreto si tratta di avviare, partendo dai Livelli essenziali, un percorso che dalla centralità dei sussidi passi ad uno sviluppo della rete complessiva di servizi concretamente disponibili per persone e famiglie fondata sul territorio, sulla partecipazione dei soggetti che lo abitano che devono essere coinvolti nella  programmazione e nella progettazione, oltre che alla gestione dei servizi.  Perché anche il privato può svolgere un ruolo che ha valore pubblico e quindi sociale senza sostituirsi ad esso.

La concezione della Compagnia delle Opere che mette al centro l’azione sociale al servizio del bene comune valorizza la persona. E’ per noi oggi importante riscoprire quell’aspetto del welfare che affonda le sue radici nella dottrina sociale della Chiesa e che ha una lunga tradizione nel nostro Paese, si tratta della nozione del welfare society. Un’idea che presuppone una concezione di mercato e di società che parta dal basso, dall’iniziativa di persone singole, associazioni, imprese che si mettono insieme per costruire opere sociali. E’ proprio in un momento di crisi come quello che stiamo vivendo che dobbiamo saper valorizzare la capacità e l’esperienza che abbiamo in Italia di fare impresa sociale: è una nostra caratteristica che ci rende unici nel mondo.

E’ necessario che lo Stato riconosca il ruolo dei corpi intermedi applicando il principio di sussidiarietà, che è il riconoscimento della possibilità di poter fornire le risposte ai bisogni sociali prima che lo Stato intervenga.

A partire da qui dobbiamo costruire nuovi valori per le nuove generazioni. A partire dalle centinaia e centinaia di giovani che si impegnano con passione nel sociale, che dedicano la loro vita professionale e non per il bene comune e che svolgono un’azione educativa nella società.

A questo proposito vorrei citare queste parole di Tony Blair, uno statista che, a mio avviso, è stato uno dei primi a cogliere il senso dell’inadeguatezza del modello sociale europeo e la necessità di una sua profonda riforma per adeguarlo ai tempi.

E’ questo è a mio avviso il senso del nuovo welfare che dobbiamo costruire.

A questo proposito vorrei ricordare la proposta di legge bipartisan sul cinque per mille che abbiamo presentato in Parlamento, per rendere il cinque per mille un provvedimento strutturale. Può essere questo uno straordinario strumento di sussidiarietà, una forma di democrazia fiscale che permette ai contribuenti di esercitare la libertà di scelta sulla  destinazione di una quota delle proprie imposte.

Un esempio concreto di impegno comune che ha unito trasversalmente diverse forze politiche su un tema cruciale per il nostro Paese.
E’ quindi possibile lavorare insieme, come dimostra il funzionamento dell’Intergruppo parlamentare per la sussidiarità cui aderiscono deputati e senatori di varie forze politiche.

La mia convinzione è che un impegno positivo per l’ampliamento del welfare richieda oggi la capacità di lavorare insieme – nella società e all’interno delle istituzioni – sui punti che trovano un’ampia convergenza, non sacrificando altri aspetti di differente valutazione, sui quali è giusto continui un dibattito ed un confronto.
Costruire ponti, ovunque possibile, non rappresenta un cedimento ideale o sui valori: serve ad affrontare i problemi concreti, forse con umiltà, certo al servizio delle persone.
E’ possibile impegnarsi per costruire un Paese moderno, competitivo in Europa e nel mondo, che offra prospettive ai nostri figli.