Il Vice Presidente del Senato e le elezioni, la sconfitta di Prato, l’Udc, la Chiesa
Chiti: il ricambio serve alla democrazia. Sì a primarie di coalizione

Il Vice Presidente del Senato Vannino Chiti risponde al telefono mentre è in viaggio verso Genova, destinazione Festa nazionale del Pd. Il 10 settembre presenterà a Firenze il documento «Salviamo il Pd», in vista del congresso di ottobre, intanto boccia l’ipotesi di un terzo mandato di Claudio Martini alla guida della Toscana.

Senatore, Martini ha detto che se c’è convergenza del partito su un nome si possono anche non fare le primarie per la presidenza della Regione. Che ne pensa?
«Prima di tutto il Pd deve indicare il nome per la candidatura con una consultazione tra gli organismi dirigenti e poi valutare con gli alleati il modo di svolgere le primarie di coalizione. Concordo con Martini, dobbiamo evitare di avere, come Pd, una miriade di candidati. Si deve fare uno sforzo per trovare una convergenza sulla proposta che il Pd fa alle forze della coalizione. Dopodiché, penso che sulla base di questa scelta le primarie di coalizione siano la via giusta. Anche a Firenze del resto sono state fatte».

Però del Pd si erano presentati in quattro.
«Infatti, la scelta giusta di Firenze erano le primarie di coalizione, ma il modo in cui ci siamo arrivati è stato un po’ confuso e sperimentale e ci siamo trovati con una pluralità di candidature».

Vorrebbe un terzo mandato di Martini o preferirebbe un ricambio (magari anche generazionale)?
«Due mandati alla guida della presidenza della Regione sono sufficienti. Ho praticato su me stesso questa regola. Erano in tanti a insistere per ché facessi un terzo mandato – come immagino sia per Claudio – ma io ritenni giusto passare la mano. Il ricambio, quando uno ha fatto per due legislature il presidente, serve alla democrazia e serve anche all’efficacia dell’azione di governo. Del resto Martini ha voluto con forza, e io lo condivido, che ci fosse scritto nello statuto della Regione che il presidente non può fare più di due mandati consecutivi. E stata una grande scelta che la Toscana ha voluto non soltanto praticare per via politica ma scrivere nelle sue regole fondamentali».

L’alleanza con l’Ude è praticabile?
«Nelle prossime elezioni si deve cercare un confronto con l’Udc a partire dalle priorità sui programmi, poi se ci saranno le condizioni per un’intesa si vedrà strada facendo».

La Lega inizia a spaventare anche il Pdl perché ruba voti. Ma il Pd può dirsi esente dal rischio? In fondo i leghisti stanno facendo quello che faceva il Pci: «militarizzano» il territorio.
«In questo momento la Lega sembra un partito leninista di destra: compatto, fatto di soldatini e posizioni prese e attuate. Su questo, però, ho fiducia: se il Pd sa darsi gambe robuste, e il congresso serve non a dividersi sulle persone ma a confrontarsi sulle scelte e sul partito da costruire, allora in Toscana può avere una grande forza; perché l’incontro tra la grande tradizione del cattolicesimo democratico e della Chiesa cattolica con la sinistra riformista ha plasmato la nostra regione. E non credo che la Toscana vorrà regredire».

Per il 10 settembre ha convocato a Firenze i cosiddetti «non allineati». Qualcuno vi definisce «furbi».
«Non è che sono non allineati, sono diversamente allineati. Alcuni hanno già fatto la scelta per Bersani, altri per Franceschini, altri per Marino, altri non hanno fatto una scelta. Tutte queste persone sono tenute insieme da una critica alle regole con cui si fa il congresso; lo statuto che è venuto fuori non dà gambe robuste al partito. Un primo obiettivo è cambiare le regole che presiedono allo svolgimento dei congressi del Pd, perché queste regole fanno essere il Pd né carne né pesce: un po’ il partito del leader e un po’ il partito dei cittadini e del popolo. E tutte e due le cose insieme è difficile farle stare. Il secondo elemento che ci accomuna è quello di voler dare importanza forte ai contenuti; il rischio è che si discuta poco di scelte e programmi e che ci si misuri poco fra le diverse mozioni. Non c’è nessuna furbizia, ma la coerenza di una battaglia politica e culturale».

Caso Boffo-Feltri. Monsignor Betori ha definito quei fogli anonimi «spazzatura». Concorda con l’arcivescovo?
«Sì, assolutamente. Quello che è stato fatto è grave e non va sottovalutato. In modo deliberato, il direttore del Giornale, di proprietà della famiglia Berlusconi, ha colpito il direttore di Avvenire con un’operazione di intimidazione che fa parte del la volontà di alzare il livello dello scontro. E un’operazione non solo tanto grave perché rivolta al direttore dell’Avvenire, ma rappresenta un altro scalino che si sale nel tentativo di normalizzare l’informazione in Italia. Questa è la posta in gioco e per questo bisogna che ci sia una reazione all’altezza di questa sfida: non solo di solidarietà a Boffo, all’Avvenire, ma con una posizione forte nei confronti della libertà d’informazione».

Senta Chiti, il sindaco di Calenzano ha creato un registro per il testamento biologico. Nei giorni scorsi l’ha firmato anche lui. Non le sembra un modo per approfondire il solco che vi divide dalla Chiesa?
«Su questi temi non ci possono essere soluzioni comunali. Al di là della buona fede, è evidente che sul testamento biologico c’è una competenza a predisporre le regole che è del Parlamento e non mi pare si risolvano le questioni con soluzioni che non hanno fondamento giuridico e legislativo. Eviterei di dare testimonianze che, al di là delle intenzioni, poi dividono, anche perché se non si rispetta le competenze che hanno i diversi livelli delle istituzioni, l’Italia rischia di diventare una giungla, dal punto di vista sociale e istituzionale».

Come interpreta la sconfitta del Pd a Prato?
«Abbiamo perso per più motivi. In primo luogo davanti a una crisi che ha toccato il tessuto esistenziale della città non c’è stata la forza per indicare una prospettiva, un futuro. Poi non si è sufficientemente affrontato il problema di come si fanno rispettare agli immigrati cinesi le regole di vita e di concorrenza, come si creano elementi di legalità e integrazione. Infine, ci sono state scelte di candidature che non sono state percepite dalla città con convinzione».

David Allegranti