Chiti: Il vicepresidente del Senato tra i “dissidenti” Pd

Roma – «S’illude chi pensa che se vince il “sì” al referendum è più facile cambiare la legge elettorale. E prende un abbaglio chi crede che su questa strada si può arrivare a un sistema spagnolo o tedesco. Chi invece dice che così si arriva al presidenzialismo e al bipartitismo ha un’idea che non condivido e che non è coerente con la nostra realtà. Una posizione velleitaria oltre che una forzatura».

Vannino Chiti, vicepresidente del Senato ed esponente di spicco del Pd non condivide la posizione del suo segretario e di ragioni per sostenere l’astensione ai referendum elettorali ne ha da vendere. Nel suo ufficio al terzo piano di Palazzo Madama, Chiti in oltre due ore non ripete mai lo stesso ragionamento, è un fiume in piena e spiega con dovizia di particolari le ragioni che lo hanno portato, insieme a un gruppo di altri parlamentari, a scrivere a Dario Franceschini per spiegare la loro posizione sul referendum.

Presidente Chiti ma Franceschini le ha risposto?
Ci siamo incontrati prima e dopo e non solo con lui. Devo dare atto a Franceschini che ha dato un indirizzo, un’indicazione di voto al partito ma si è limitato a questo senza imporre nulla. Comunque ha tenuto, e non solo lui, un comportamento corretto rispetto a quello che avevamo scritto in quella lettera. Devo anche dire che durante la campagna elettorale mi e’ capitato che gran parte dei cittadini ha dato un giudizio negativo sul referendum. Credo che abbiano colto un elemento di rischiosità».

Un elemento però che non sembra aver colto Franceschini, secondo lei perché?
«Penso che lui, ma anche Bersani o D’Alema che sono sulle stesse posizioni e altri amici del partito siano convinti che la vittorià del “sì” al referendum possa dare una spinta determinante a rivedere quella legge elettorale che vede la nostra contrarietà. Credo che sia stato fatto un calcolo sbagliato e un errore. Secondo me, infatti, se vince il “sì” la legge elettorale potrà solo peggiorare se invece vince il “no” la legge invece si rafforza e diventa intoccabile. Per questo l’unica posizione è quella dell’astensione con l’obiettivo del mancato raggiungimento del quorum».

Ma lei perché è contrario a questo referendum?
«Nel merito ho la convinzione che i quesiti non siano nostri, intendo del Pd nel senso del merito politico. E comunque questo referendum lo considero una trappola perché se si realizza il quorum e vince il “no” viene confermata questa legge sbagliata e se vince il sì gli errori e le distorsioni peggiorano».

Quali sono queste distorsioni ed errori?
«In primo luogo la questione del premio di maggioranza con il “sì” al referendum scatterebbe il premio di maggioranza alla lista che arriva prima alle elezioni. Dunque prendendo le ultime europee al Pdl verrebbe attribuito il 54% mentre i consensi reali si fermano al 35,2. Non credo che esista al mondo un solo paese democratico che dà un premio di maggioranza del 19,8 per cento. La seconda distorsione è lo sbarramento all’8 per cento su base regionale per il Senato. È un’asticella assurda che produrrebbe un distacco ancor più ampio tra cittadini e istituzioni con la possibilità di creare forze estremiste extraparlamentari. Insomma un sistema antidemocratico. Quand’ero ministro feci fare una simulazione e così, per farla breve, venne fuori che lo sbarramento n realtà non era dell’8 ma, in alcune regioni, persino del 15 per cento. E non è democratico che forze politiche che superano il 10% rischiano di trovarsi fuori da una delle due Camere».

Contro questo referendum si esprime anche Di Pietro che però ha contribuito attivamente a raccogliere anche le firme: qual è la sua valutazione?
«Voglio essere ottimista e dunque dico meno male che oggi ci ritroviamo insieme ma questo non mi impedisce di considerare spregiudicato e contraddittorio il suo comportamento. Ritengo che dovrebbe esserci meno improvvisazione».

Presidente Chiti il giorno dopo questo referendum che succede?
«Non credo che ci sarà il quorum però bisogna che non si smetta di dire fino all’ultimo secondo che nei casi in cui ci sono i ballottaggi gli elettori non devono ritirare la scheda del referendum. Non credo che in tv questo tipo d’informazione venga diffusa. Poi ci sono le riforme… ».

A proposito di riforme, lei come valuta il dialogo portato avanti dalla Lega Nord per l’approvazione del Federalismo fiscale?
«Credo che sia l’unico modo per fare le riforme in Italia. E il metodo giusto quando si cambiano le regole della casa comune: la legge elettorale, la riforma costituzionale, l’artIcolo 119. Sono cose che bisogna fare insieme. Se sono il frutto di una parte sola, una parte del Paese non le sente come proprie. E dunque mi auguro che si prosegua su questa strada. Condivido la posizione di Calderoli che ha detto che prima vengono le riforme istituzionali e poi quelle elettorali. Questa d’altra parte è sempre stata la posizione sostenuta da me e da Violante. E’ chiaro che prima si devono scrivere le regole del Parlamento e del Governo e poi quelle per la legge elettorale. Non ha senso procedere in una maniera diversa».

Iva Garibaldi