Renzi, Galli, le alleanze. Il vicepresidente del Senato Chiti: basta col tafazzismo dei progressisti

Vannino Chiti, Vicepresidente del Senato, tra i fondatori del Pd. A Firenze si va verso un ballottaggio in parte atteso, il vostro candidato, Matteo Renzi, sostenuto dal centrosinistra, è apparso deluso dal non aver raggiunto il 48 per cento dei consensi. Poi si è subito assunto la responsabilità del risultato. E così, Renzi ha sbagliato la campagna elettorale?
«No, penso che Matteo sia stato più severo su se stesso di quanto sia oggettivamente giusto. Lo ha detto, e ha fatto bene, per evitare astratti e negativi dibattiti su colpe e meriti: per dire “punto e capo”. Il problema è che c’erano tante liste e tanti candidati sindaci a sinistra. Non è facile in una grande città, dove la dimensione del confronto politico è più forte, che si chiuda la partita al primo turno. Poi, il primo turno è un mito: la legge prevede due turni, non è che chi vince al secondo è me no bravo. Conta vincere. Mi pare che da questo punto di vista ci siano tutte le condizioni per avere un successo importante e governare la città in modo positivo».

A Firenze è l’opposizione di sinistra che ha portato Renzi al ballottaggio: città atipica, in genere si va al secondo turno perché la destra aumenta.
«Ci sono diverse situazioni, città meno grandi, ma importanti, dove si è andati al ballottaggio per un soffio. Dovessi scegliere di andare al ballottaggio, preferirei andarci con 12 punti di distacco, che sul filo. Sono contro il tafazzismo delle forze progressiste».

Ma non è stata una scelta errata chiudere alla possibilità di accordo con Valdo Spini?
«No, sono del tutto d’accordo con la scelta che Renzi ha fatto prima del ballottaggio: è chiara. Nel centrosinistra fiorentino, o c’erano convergenza programmatiche per governare subito — allora è strano non aver partecipato alle primarie e non aver fatto subito l’intesa — oppure no. E se c’erano convergenze e non si è fatto l’accordo com’era possibile, allora vuol dire che si voleva soltanto cercare di condizionare gli assetti. Nella politica progressista occorre liberarsi da questi atteggiamenti. Ma se l’accordo non era possibile, perché ho troppo rispetto per Valdo Spini e Ornella De Zordo, se c’erano divergenze programmatiche, non è che si possono superare queste differenze solo perché si va al ballottaggio. Ora, quei cittadini che hanno votato per le due liste che si sono presentate a sinistra, sono indifferenti al fatto che vinca Galli o Renzi? Che Firenze abbia una amministrazione di destra? Non avere fatto accordi perché non c’erano le condizioni è un elemento di trasparenza e rispetto nei confronti dei cittadini. L’appello è che quei cittadini vadano a votare, e che sostengano il candidato che consenta di mantenere la città in mano ai progressisti. Chi è di sinistra, non rimanga indifferente».
Ma su alcuni aspetti del programma, come Tav e tramvia, ci sono punti di intesa tra Galli e Spini. Chi è contrario a questi progetti, difficilmente potrà votare Renzi.
«Credo che l’elettorato progressista non starà a casa e non voterà Galli».

Renzi, la novità delle primarie. Invece, adesso, sembra il candidato meno adatto a intercettare il voto di sinistra. Erano sbagliate le primarie come strumento?
«Due risposte diverse: la prima è no. Penso che, anche per quello che sono state le primarie, Renzi abbia rappresentato per la città un centrosinistra capace di rinnovare sé stesso, i suoi contenuti, i suoi metodi di governo. Anche Domenici andò al ballottaggio, con altre liste a sinistra: anche lui non era in grado di intercettare questo voto? Chi prende il 48 per cento non intercetta la sinistra? Noi abbiamo bisogno di candidati che nella chiarezza dei programmi, e in quello che vogliono fare nella città, sappiano raccogliere i voti del proprio schieramento, ma anche dei cittadini che alle elezioni possono votare per lo schieramento avverso. La possibilità di vincere a Milano, Venezia, Torino, passa dal conquistare voti che vanno all’altro schieramento. Per vincere nel 2013 alle elezioni politiche, per cercare un’alternativa di governo progressista e di centrosinistra, occorre che il Partito Democratico riesca a trovare il 33 per cento, e con i suoi alleati, a recuperare i consensi che sono andati al centrodestra nel 2008».

E sulle primarie?
«Per scegliere i candidati al ruolo primo nelle istituzioni, a sindaco, a presidente di Provincia, Regione, a presidente del consiglio, le primarie di coalizione, magari regolamentate meglio, sono una giusta via. Certo, bisogna che scatti, oltre a regole, un comportamento di moralità politica senza il quale parlare di rinnovamento è impossibile. Non si può partecipare alle primarie e, se il risultato non piace, andarsene».

Parla dei Verdi?
«Guardi, in alcune città della Toscana, l’hanno fatto anche esponenti del Partito Democratico».
A Prato, dove l’esito del ballottaggio sembra tutt’altro che scontato, oltre a riprendere i voti di chi vi ha votati al primo turno, dovrete recuperare anche i voti di chi si è astenuto.
«Questo è il problema vero. Recuperare l’astensionismo è il primo passa da fare. Perché anche dove abbiamo vinto al primo turno, c’è stata astensione. Ci deve preoccupare. L’astensione non è uguale in tutta Italia, non è uguale all’interno della società. ma ci manda un segnale di protesta e di speranza. Ci parla di una delusione che c’è nel nostro popolo, per come sappiamo affrontare i problemi concreti di vita dei cittadini, lo stare tra la gente, come partito e come istituzioni. La speranza, è chi si è astenuto, non ha poi votato per altri partiti».

Preoccupato per Prato?
«Richiede l’impegno massimo, del candidato, del Pd, della coalizione. Dobbiamo mettere insieme tutti quelli che guardano al centrosinistra, per far sentire ai cittadini che abbiamo intenzione di mettercela tutta, per una grande città industriale, per un distretto che attraversa momenti di crisi e rispetto a cui il governo nazionale è stato prodigo di discorsi ma non di interesse concreto. Dobbiamo dimostrare che siamo i più autorevoli e in grado, a livello locale, in collaborazione con la Regione, di rilanciare un’area fondamentale della Toscana».

Capitolo Pd. In autunno, c’è il congresso: ce la farete ad arrivarci senza ulteriori divisioni o, addirittura, scissioni?
«Il risultato del Partito Democratico, anche se in Europa le forze pr gressiste hanno vinto solo in Svezia e Grecia, non è certo soddisfacente: l’ambizione non è arrivare al 26 per cento. Ma questo risultato dimostra che il Partito Democratico non è una chimera. Ed ha tenuto. Il progetto del Pd ha un fondamento, e ha un futuro. Siamo l’unico Paese in cui la destra non è andata avanti, è stata fermata, e questo ci dice che c’è una insoddisfazione nei confronti dell’azione del governo, anche da parte di settori del mondo cattolico che lo aveva votato».

E sulle alleanze? Credete ancora nell’autosufficienza del Pd?
«No, niente autosufficienza. Il progetto mostra validità, ora c’è da rimboccarsi le maniche, e fare un salto in avanti. Nel congresso, vanno individuati i temi su cui il partito deve avere una fisionomia e un’impostazione programmatica chiara: sull’Europa e la collocazione delle forze progressiste, sulle risposte alla crisi economica, sullo sviluppo, sull’ecologia, su un nuovo welfare, su come rinnovare la democrazia italiana, su che tipo di partito vogliamo essere. Prima parliamo delle scelte, poi delle persone che le pos sono meglio interpretare. Sulle alleanze: Pd e Pdl hanno un ruolo di riferimento, nella politica italiana, ma le elezioni ci dicono che c’è bipolarismo, non bipartitismo. E i partiti non si fanno e sciolgono a tavolino. Né Pdl né Pd sono autosufficienti, hanno bisogno di alleanze. Dobbiamo, come Pd, costruire un nuovo centrosinistra, con metodi di governo chiari, senza frammentazione e litigiosità. Il campo delle alleanze riguarda quella sinistra che non vuole fare testimonianza ideologica, che si voglia spendere in esperienza e azioni di governo, mantenendo la sua radicalità; l’Idv, che spero diventi da partito-persona un partito vero; e l’Udc. Questo secondo me è il campo del nuovo centrosinistra. E conteranno le intese sulle unità programmatiche: a volte ci ritroveremo tutti, altre volte no».

Marzio Fatucchi