ROMA – Senatore Chiti, la proposta di legge che ha firmato con Rutelli e molti altri, propone di abolire il premio di maggioranza e quindi va in direzione opposta alla posizione del Pd, favorevole al Sì sui referendum. Volete mettere in difficoltà il partito?
«Semmai il contrario. Vogliamo togliere il Pd dai guai in cui si è messo decidendo di stare accanto ai referendari. I quesiti in fatti non risolvono i due difetti più grandi dell’attuale legge elettorale, anzi li amplificano: premio di maggioranza e liste bloccate».

Franceschini però sostiene che dopo il referendum si farà una nuova legge elettorale.
«Io non vedo le condizioni per costruire un altro sistema di voto una volta passato il referendum. Per questo ci vuole un minimo di saggezza: eliminiamo il premio alla Camera e al Senato prima del 21 giugno. Da lì si può ripartire per votare una legge diversa con molte strade aperte: il sistema tedesco o un sistema a doppio turno o anche il Mattarellum».

Perché allora non ha firmato la proposta di legge di Parisi che chiede proprio il ritorno al maggioritario?
«Perché quella proposta non ha i voti dentro il centrosinistra, non ha i consensi dell’Udc e ha pochi favori anche nel centrodestra. Il disegno di legge che ho promosso invece è firmato dai rappresentanti di tutte le opposizioni e può trovare adesioni anche nella maggioranza».

Non avete cercato le firme dei leghisti, contrari ai referendum?
«No. Io ho parlato con Maroni e con Calderoli. Ma non vogliamo fare giochetti, maramaldeggiare con il centrodestra, Questo disegno di legge è un punto di partenza».

Quando se ne discuterà in Senato, dopo il 21 giugno?
«L’obiettivo è discuterlo prima di quella data. Per me il referendum è un pericolo, destinato ad accentuare la crisi democratica. Utilizzando l’alibi della governabilità e della semplificazione politico-partitica giustifica una pesantissima limitazione della rappresentanza parlamentare. E con il successo dei quesiti, al Senato, il combinato premio di maggioranza-sbarramento all’8 per cento creerebbe una deriva veramente rischiosa perché le tensioni della società, quando non trovano uno sbocco istituzionale, possono sfociare nell’estremismo se non addirittura nell’eversione».

(g.d.m.)