Mai come adesso, dopo il terremoto in Abruzzo e in piena crisi economica, sarebbe «meglio rinviare» la costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina. «Ci sono altre priorità, inutile far finta di niente». Vannino Chiti, senatore del Pd, componente della commissione Ambiente e Territorio, insiste da giorni su questo punto. Ma, nonostante qualche eccezione anche nel Pdl, il dibattito politico post-sisma ha aggirato la questione del ponte sullo Stretto, finanziata proprio quest’anno da fondi Cipe. Prevale il dictat berlusconiano secondo cui l’opera resta una priorità, nonostante l’elevato rischio sismico della zona dove verrebbe innalzato.

Perchè?
Mi chiedo anch’io come sia possibile che si continui a far finta di niente. La zona del ponte presenta dei problemi dal punto di vista sismico, andrebbero indagati a fondo. Secondo: un ponte dovrebbe collegare strade e ferrovie moderne. Tra Sicilia e Calabria rischia di collegare il nulla: le ferrovie per vari tratti sono a un binario, l’autostrada è la Salerno-Reggio Calabria, un cantiere da sempre. Già il governo Prodi aveva deciso di dislocare le risorse sulla modernizzazione delle infrastrutture di terra. Non si tratta di una posizione ideologica. La priorità oggi dovrebbe essere, da un lato, la ricostruzione in Abruzzo e, dall’altro, l’intervento sulla crisi economica. Si rinvii il progetto del ponte per accertarlo meglio e nel frattempo si dia risposta alle vere priorità.

Berlusconi non prende in considerazione la cosa. Piuttosto, per rimediare fondi per l’Abruzzo, sposta all’Aquila il G8 previsto alla Maddalena. Che ne pensa?
La scelta dell’Aquila ha due aspetti positivi. Uno è quello simbolico. L’altro aspetto è quello di utilizzare le risorse per il G8 per realizzare opere che rimangano nel tempo, insomma si fa di necessità virtù. Quindi, va bene a patto che non ci siano ritardi nella ricostruzione e che ci sia al contrario un colpo di accelerazione. Però mi pare che dietro la vicenda del terremoto si stia facendo molta propaganda, mentre lì le condizioni degli sfollati restano difficili, come si vede in tv seppure solo a stralci.

25 aprile. Il premier come al solito conquista la scena e dice: «La pietà deve andare anche a coloro che, credendosi nel giusto, hanno combattuto per una causa che era una causa persa», cioè i Repubblichini di Salò.
Bisogna tenere fermi due aspetti diversi tra loro: il primo è un sentimento umano, mentre il secondo è un giudizio storico politico. La pietà è doverosa nei confronti di tutti morti. Ma le cause per cui si combatte e si muore non possono essere confuse nè avvicinate. Erano dalla parte della ragione quelli che hanno combattuto contro il fascismo e il nazismo e su questo bisogna essere chiari e netti.

Pd. Dopo la tregua degli ultimi mesi, si sentono i malumori sulle liste elettorali. E’ resa dei conti ex Ds-ex Dl già prima del test di giugno?
La mia lettura non è questa. Quando si discutono le liste, ci sono sempre amarezze, in tutti i partiti. Ma la direzione le ha approvato quasi all’unanimità. In ogni caso i problemi del Pd non vanno affrontati scegliendo organigrammi con gli occhi rivolti al passato. Servono proposte precise. Nel corpo vivo del partito, le differenze non sono tagliate secondo targhette ex Ds ed ex Dl.

Rutelli dice che il Pd non è di sinistra. Gli ha già risposto Bersani. E’ utile questo tipo di dibattito?
Sì. Per me, il Pd è una forza progressista, di sinistra, del XXI secolo. Il punto sono i valori su cui si fonda. Ma questa è una discussione da fare al congresso, previsto per l’autunno.

C’è davvero chi pensa al rinvio di un anno?
Non è mai stato ipotizzato in nessuna riunione degli organismi dirigenti. In ogni caso se ne dovrà discutere dopo le elezioni.

Staino, vignettista dell’Unità, toscano come lei, si candida con Sinistra e Libertà. «Vado contro il Pd per aiutare il Pd», dice.
Gli voglio bene e questi sentimenti rimangono. Ma quando ci si iscrive a un partito per aiutarlo, si fanno le battaglie interne. Un partito non è un autobus da cui si sale e si scende a seconda del tempo e delle fermate. Lo invito vivamente a riflettere e a restare per migliorare il Pd.

Referendum, conferma le sue critiche alla scelta della direzione di votare sì come premessa per poi cambiare la legge elettorale?
Non ho cambiato opinione e intendo battermi contro il quesito referendario. Il Porcellum è un porcellum e va cambiato, ma il referendum non migliora il sistema, anzi ne estremizza i difetti. Il premio di coalizione è un’anomalia: andrebbe cancellata del tutto. Invece il referendum propone di assegnarlo alla lista che prende più voti senza nemmeno stabilire una soglia minima. Pensare la cosiddetta “legge truffa” del ’53 voleva assegnarlo a chi superava il 50 per cento! Oggi, se vincessero i sì, una lista con – per esempio – anche solo il 35 per cento arriverebbe automaticamente al 54 per cento che è la quota per avere la maggioranza dei seggi alla Camera. In nessuna democrazia al mondo è così. Il referendum è uno sfregio alla democrazia italiana e dire che dopo si fa la legge elettorale vuol dire prendersi in giro. Tutti sappiamo che con una vittoria dei sì, il Parlamento non avrebbe la forza di cambiare la legge.

Scusi, ma allora che calcolo si è fatto il Pd?
Ha preso un orientamento facendo piccola tattica su questioni che non lo consentono, su principi fondamentali. Chi ritiene che non si raggiungerà il quorum, fa dei conti che non hanno senso. Sarà difficile raggiungerlo, ma la cosa non è una traversata nel deserto visto che si voterà nel giorno dei ballottaggi.

Ultima questione: il Pd deve continuare ad allearsi con l’Idv anche dopo le ultime accuse di Di Pietro?
Non dimentico che Di Pietro alle politiche si era preso l’impegno di fare gruppo parlamentare insieme al Pd. Poi ne ha fatto carta straccia. Finora Di Pietro non ha cercato di costruire momenti di convergenza e unità dell’opposizione ma ha fatto il suo gioco pensando a sè e all’Idv, cercando di mettere in difficoltà il Pd per occupare uno spazio che in Parlamento è bene spetti alla sinistra radicale. Io sono favorevole a convergenze con l’Idv a livello locale, per le politiche c’è tempo, ma a tre condizioni: condivisione delle priorità di governo, dei metodi e affidabilità. Infine, non si possono fare alleanze se non si condivide il rifiuto di ogni natura di populismo che in questo momento è una sfida pericolosa in tutti i paesi avanzati.

Angela Mauro