E’ sempre difficile tenere un discorso per l’evento celebrativo del 25 aprile, perché si avverte ogni volta il timore di cadere nella ritualità, da un lato, e la sfida di tenere viva una memoria che rischia di apparire sempre più lontana e flebile.
Tuttavia il nostro sforzo deve trovare ogni anno nuovo vigore. Dobbiamo partire dal ricordo, dalla memoria e subito dopo dobbiamo sapere tramutare questi in nuova linfa per il futuro.
Il ricordo dunque. In un giorno come questo torniamo con il pensiero alla grande festa lungo le strade e le piazze di tutto il Paese il 25 aprile 1945, 64 anni fa. Un momento che molti ancora ricordano perché quella giornata segnò una svolta profonda nel Paese e nel mondo.
Le folle di gente che inondavano le strade e le piazze, le bandiere che sventolavano, i carri militari degli anglo – americani, i partigiani e il rinnovato esercito italiano, l’espressione di una gioia ritrovata e che si immaginava persa per sempre sui volti di chi sapeva di aver conosciuto e attraversato la più grande atrocità collettiva mai vissuta. Tutti abbiamo visto le immagini di film e documentari dell’epoca, abbiamo sentito i  racconti di coloro che vissero di persona quegli eventi, le loro descrizioni dell’attesa che precedette quel momento, l’amarezza per gli ultimi morti prima della Liberazione! Nei comuni senesi la Liberazione avvenne tra giugno e luglio del ’44. A Siena il 3 luglio 1944.
Perché ricordare? Perché farlo con questa caparbietà ogni anno in questa data? Non è, come ho detto, l’esercizio stanco di un rito, ma un atto di ricordo e di rinascita allo stesso tempo, ogni volta, come lasciavano intendere le parole di Pietro Scoppola, quando ricordava che: “I popoli come le famiglie, hanno bisogno di date simbolo in cui riconoscersi e trovarsi uniti”.
Il 25 aprile è una data che rappresenta per noi un punto di riferimento per ritrovarci tutti intorno ai nostri valori comuni. E’ la festa di tutti gli italiani.
Nessuno deve chiamarsene fuori o sentirsi escluso, sarebbe un errore imperdonabile. Un errore storico, etico e politico che per troppo tempo ha reso l’Italia diversa da altri paesi europei. La ricorrenza della Liberazione è la festa che rafforza in noi il sentimento di essere a casa nel nostro Paese e il senso di appartenenza all’Europa, alla libertà, alla democrazia.
Il 25 aprile 1945 l’Italia usciva stremata da venti anni di dittatura che aveva portato guerra, miseria e oppressione al nostro popolo. Usciva devastata dall’occupazione nazifascista con il suo carico pesante di morti, deportazioni e stragi. Quella data poneva termine, per noi Italiani, alla II guerra mondiale, una guerra, combattuta anche sul nostro suolo, che raggiunse livelli di atrocità che mai l’umanità aveva conosciuto prima, con i campi di sterminio, la tragedia della Shoah, le città completamente distrutte dai bombardamenti, i vagoni piombati che attraversavano l’Europa.
Il nostro Paese veniva fuori da tutti questi eventi drammatici, devastato materialmente ma non moralmente piegato. La Resistenza ridiede speranza e dignità al popolo italiano. Da quelle vicende storiche, da quei fatti drammatici, sono nate la Repubblica e la Costituzione. Ed è grazie alla nostra Costituzione che l’Italia è stata e può continuare ad essere protagonista della costruzione dell’ Unione Europea.
La conoscenza del nostro Paese e di noi stessi passa attraverso la storia di quegli anni.
“Ogni vero ricordo è ancora un richiamo, una verità che ci lavora nelle ossa, un febbrile atto di sfida al buio di domani…” amava dire lo scrittore Giovanni Arpino. Il ricordo è un investimento sul futuro, ci permette di guardare ad esso senza paura. Attraverso il ricordo gli eventi assumono significati nuovi e offrono nuove letture per il presente. Il ricordo, come memoria storica di un popolo, è un lavoro costante di costruzione e rafforzamento della nostra identità, della nostra memoria storica condivisa, senza la quale non c’è futuro. Perchè un popolo senza valori comuni, senza radici e dunque senza identità non esiste.
Siamo grati ai familiari delle vittime, alle associazioni della Resistenza per  l’impegno che hanno messo nel diffondere la memoria della  Lotta di Liberazione. Per la vigilanza morale e critica che hanno prestato nella difesa di quei valori, non negoziabili, che sono alla base della Repubblica.
Siamo grati agli storici, alle istituzioni locali, a tutte quelle organizzazioni e persone che negli anni hanno scelto di raccontare, consentendo alla memoria di non disperdersi, di assumere la forza di una memoria nazionale. Siamo anche grati alle popolazioni toscane e alle istituzioni che le hanno rappresentate e le rappresentano per il lavoro di tutela e valorizzazione della memoria che hanno portato avanti con tenacia. Voglio citare a questo proposito l’opera dell’Istituto della Resistenza senese per la raccolta di documenti e testimonianze, la promozione di iniziative e progetti per divulgare la storia di quegli anni. Apprezzo molto l’iniziativa del Treno della memoria, un lavoro accurato, che propone un percorso educativo non convenzionale, rivolto ai giovani. La Toscana è terra di memoria perché è stata teatro della guerra di Resistenza e della Liberazione. Su questo suolo l’umanità ha assistito ad alcuni tra i più barbari e crudeli episodi di violenza. La nostra è una terra che porta le cicatrici delle ferite inferte dall’occupazione dei nazifascisti, dagli eccidi perpetrati dai soldati della Wehrmacht e dalle formazioni italiane della Repubblica sociale.
Erano stragi, quelle, che avevano l’obiettivo di diffondere il terrore, di costringere le persone a rinunciare alla loro dignità, alle loro convinzioni. Erano stragi nelle quali le vittime venivano umiliate e straziate, prima di essere uccise, e veniva fatto scempio dei loro corpi.
La memoria deve saper attraversare gli anni, è per noi un dovere morale e civico preservarla, perché per quanto è nelle nostre responsabilità mai più la storia debba ripetersi.
Ricordiamo oggi i martiri di Montemaggio, l’eccidio di Scalvaia nel comune di Monticiano, la cattura e la deportazione di 15 ebrei senesi il 6 novembre 1943 ad opera delle milizie della Rsi, la battaglia di Monticchiello nel Comune di Pienza, ricordiamo tutti quei partigiani che persero la vita nella Resistenza, i volontari che, dopo la Liberazione, partirono dalla provincia di Siena per raggiungere l’esercito alleato.
Siamo grati a quanti hanno testimoniato nei processi celebrati per le stragi di civili, per far emergere la verità, individuare e condannare i responsabili.
Purtroppo – come mi capita di ricordare spesso in occasioni come questa – sono ancora troppi i casi rimasti aperti che attendono un giudizio. Il nostro Paese è in debito con le vittime delle stragi. Per saldare almeno in parte questo debito occorre impegnarsi a che tutti i processi ancora in corso possano concludersi velocemente e che nulla ancora rimanga intentato sotto il profilo giudiziario. Quanto alla storia, il giudizio è già dato. Quegli atti criminali di assoluta ferocia non sono riconducibili ai rapporti tra singole persone nei quali qualcuno ha  patito violenza. Si è trattato di crimini contro l’umanità e i crimini contro l’umanità non possono essere né prescritti né archiviati. La condanna inappellabile verso i responsabili di misfatti orrendi è anch’essa un nostro dovere imprescindibile.
Il perdono, che tutti hanno diritto di chiedere e che è nobiltà d’animo concedere, non può essere scambiato con la cancellazione o, peggio, la mistificazione del giudizio storico. Questo sì, è inaccettabile. Noi abbiamo bisogno di una memoria collettiva, di valori condivisi e, per questo, di una pacificazione del Paese, ma non al prezzo di cancellare il passato, di falsificare la verità.
Non possiamo restituire la vita alle tante vittime del nazifascismo e della Resistenza, ma possiamo impegnarci affinché le loro scelte siano sentite da tutti, come quelle che hanno salvato e reso l’onore all’Italia. Questa è la verità consegnata alla storia del nostro paese e dell’ Europa.
La Resistenza italiana rappresentò uno dei momenti di unità più alti mai vissuti nel nostro Paese. Presero parte ad essa i partigiani che, in questi luoghi, come in molte altre parti d’Italia, scelsero consapevolmente di combattere i nazifascisti tra i boschi e sulle colline. Insieme a loro ci furono tanti militari, che, dopo lo sbandamento dell’esercito italiano dell’8 settembre, scelsero la difesa della Patria, prendendo parte alla Resistenza.
La Resistenza ha coinvolto le popolazioni civili che, da Napoli fino al Nord del Paese, hanno prestato aiuto ai partigiani e hanno saputo sostenerli, dare loro rifugio. E’ questo un dato reale che non va smarrito. Così come non va smarrita la memoria e l’insegnamento rappresentati da quella vasta area grigia di indifferenti, di disimpegnati che permise al fascismo, con la sua violenza contro gli avversari, di impadronirsi del potere e costruire la dittatura. L’indagine del comportamento della società italiana negli anni immediatamente precedenti al manifestarsi chiaro della dittatura fascista richiede probabilmente uno sforzo aggiuntivo. Non dobbiamo dimenticare che il fascismo, come del resto il nazionalsocialismo tedesco, giunsero al potere senza un formale sovvertimento degli ordinamenti giuridici. Mussolini non dovette stravolgere lo Statuto Albertino per salire al potere, perché riuscì a plagiare inizialmente con argomenti politici e ideologici ampi strati delle popolazioni italiane, facendo leva sulla sfiducia, sulle sacche di profonda povertà, su un bisogno quasi antropologico di un popolo che cerca una guida salda, sicura e rassicurante; che vuole delegare ad un capo la responsabilità di decidere il suo futuro. Tutti questi sono elementi di fragilità, di passività, che ebbero un peso grande nel facilitare l’avvento della dittatura.
Per questo, a maggior ragione, la grande partecipazione alla Lotta di Liberazione rappresentò anzitutto un risveglio delle coscienze, il segno di un cambiamento storico nel Paese.
Alla Resistenza parteciparono anche molte donne, sacerdoti e uomini di chiesa che ebbero un ruolo attivo nel sostegno delle popolazioni e nella salvaguardia della dignità della persona umana che l’orrore dell’occupazione mirava a distruggere.
Alla Liberazione del Paese parteciparono persone di diversa età, cultura, provenienza sociale e politica. Tanti uomini e donne si ritrovarono intorno ai valori di libertà, giustizia sociale, democrazia che unirono tradizioni politiche diverse, come quella comunista, socialista, cattolica, liberale. Storie personali confluirono in un movimento di massa comune, la microstoria si fuse con la storia collettiva.
La varietà di componenti che caratterizzarono la Lotta di Liberazione, la partecipazione dei partigiani, insieme a quella dei militari e del popolo, la condivisione profonda dei valori, il carattere di guerra di Liberazione: sono queste le caratteristiche che permettono il riconoscimento unitario nella Resistenza e rendono possibile quella memoria condivisa che continuo a ritenere irrinunciabile.
La Lotta di Liberazione ha avuto anche sue debolezze, errori e tragedie. Abbiamo il dovere di non tacerle. Come la vita degli uomini, la Resistenza non è fatta solo di luci. Fu lotta armata, dura e difficile, guerra e guerriglia contro eserciti e anche lotta di italiani contro altri italiani. Così del resto fu in tutta l’Europa: basti pensare in Francia al governo collaborazionista con i nazisti del Maresciallo Petain. Spetta agli storici mettere a nudo, con rigore e serietà, anche gli errori. Il problema è il significato, il ruolo che vogliamo riconoscere alla Resistenza ed alla Liberazione nel dibattito politico e culturale di oggi, nell’Italia moderna. Per questo riconoscere gli errori della Resistenza non può significare cedimento a tentazioni di revisionismo, che sarebbe mortale per l’unità del Paese ed una falsificazione, un tradimento della verità e della storia. La Resistenza è la radice forte e ineliminabile della Repubblica e della Costituzione.
Per questo ritengo che la scelta di chi, seppure in buona fede, dopo lo sbandamento dell’8 settembre, entrò a far parte della Repubblica sociale non può essere messa sullo stesso piano della scelta di entrare nella Resistenza. I soldati della Repubblica sociale italiana combatterono a fianco dei nazisti e si macchiarono di crimini orrendi contro l’umanità. I giudizi storici confermano che in molti di essi vi era la piena consapevolezza delle proprie azioni. La pietà verso i morti, doverosa in tutti noi, non è, né potrà mai essere indifferenza o neutralità nei confronti delle cause per le quali si combatteva. Libertà e dittatura; democrazia e totalitarismo; aggressione e difesa della patria; dignità della persona e suo disprezzo non sono termini tra loro scambiabili.
I giovani che parteciparono alla Resistenza misero in quella lotta una grande carica ideale e una forte speranza per il futuro. Questi giovani ridiedero senso a valori e principi che il fascismo aveva svuotato di significato e riempito di retorica, concetti come quello di patria acquistarono nuovi significati. La patria non era più un’idea astratta, il simbolo di una potenza aggressiva, che esaltava guerra e distruzioni, ma la terra dove i propri connazionali pativano la fame e morivano per mano dei nazifascisti. Il sacrificio per essa acquistava quindi un nuovo valore. Queste persone, giovani e meno giovani, lottarono e morirono per un rinnovamento della società italiana sulla base di nuovi valori intellettuali e morali.
Purtroppo, dopo la caduta del fascismo, la nascita della Repubblica non seppe accompagnarsi ad una piena rinascita culturale e sociale capace di unire il nostro popolo attorno a principi solidi di legalità, dovere civico, sentimenti di libertà non scambiabili con niente.
Nonostante ciò i Padri Costituenti diedero vita ad un’opera mirabile che è quella della Costituzione. Il senso della lotta di Liberazione, i valori per i quali molti di essi combatterono in prima persona, sono i valori e i principi alla base della nostra Costituzione repubblicana. Dobbiamo impegnarci con continuità perché quelle idee, quelle ragioni si affermino definitivamente nella nostra società.
Un nesso profondo lega la Resistenza alla nostra Costituzione.
“Non è una Carta morta è un testamento, un testamento di centomila morti”.
Piero Calamandrei, che fu tra quanti si batterono per dare un futuro diverso all’Italia, raccontò agli studenti con parole straordinariamente chiare, il nesso che lega la Resistenza alla Costituzione
“Dietro a ogni articolo di questa costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione”.
La Resistenza – e con essa la Liberazione –  rappresenta una radice essenziale, ineliminabile, dalla quale è nata la Costituzione.
Non è solo una verità storica ma qualcosa di più: un nesso di natura ideale, culturale, d’ispirazione.
Dopo la guerra per la prima volta tutti gli italiani, uomini e donne, scelsero con il voto la Repubblica ed elessero l’Assemblea Costituente.
Senza alcuna retorica dobbiamo sentire per loro una profonda gratitudine quali che fossero il partito di appartenenza e le loro convinzioni ideali.
In anni di duri scontri politici, di forti contrapposizioni per le concezioni che si avevano del mondo e della società, essi seppero trovare le ragioni e le strade di una intesa, seppero trovare una sintesi alta, guardando all’Italia, al suo interesse generale, al suo futuro, alle generazioni che sarebbero venute dopo, come le nostre.
La grandezza della Costituzione sta proprio nel fatto che non nasce dalla trattativa di gruppi di potere ma da una forte spinta politica e ideale.
La Costituzione è antifascista e lo scrive in modo indelebile. Il fascismo è stato la dittatura che ha conosciuto l’Italia. La Costituzione e la Repubblica segnano una discontinuità netta, radicale con il fascismo.
La Costituzione è contro ogni totalitarismo: al suo centro è la persona, la sua dignità, la sua libertà, la sua responsabilità. La Costituzione assume come suoi valori guida la democrazia, la giustizia e la pace.
La Carta Fondamentale della Repubblica contiene obiettivi di fondo ineliminabili: diritto alla istruzione, alla cultura, alla salute, al lavoro, un lavoro nel quale non si muoia, come purtroppo continua ad accadere.
Essa contiene il principio della giustizia sociale, il diritto di tutti alla partecipazione alla vita democratica. Diritti che non sono mai  definitivamente acquisiti, ma debbono costantemente, generazione dopo generazione, rappresentare obiettivi da raggiungere, stelle polari della navigazione del nostro paese.
La Costituzione indica i grandi riferimenti per il governo del Paese: non può sostituire la politica, le sue scelte, le sue responsabilità. I confini della Costituzione segnano il discrimine tra ciò che nel confronto politico è negoziabile e ciò che non lo è.
Dovremmo tenere sempre a mente l’articolo 3 dove è scritto: “E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono il pieno sviluppo della persona umana”.
Come ho detto, la Costituzione lega indissolubilmente diritti e doveri: afferma il dovere della solidarietà; dell’impegno nello studio e nel lavoro; della partecipazione alla vita delle istituzioni; la responsabilità sociale delle imprese.
La Costituzione è contro la guerra e impegna  l’Italia a “consentire, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni…”.
Come è scritto nell’Articolo 11, sul quale si fonda la nostra scelta di costruire l’Unione Europea e sul quale si fonda la nostra collaborazione, sotto l’egida dell’Onu, alla lotta contro il terrorismo e all’affermazione ovunque dei diritti umani.
Con questa Costituzione l’Italia è progredita come non era mai accaduto prima. Non scordiamolo!
Oggi, rispetto a quando la Costituzione è stata approvata, le problematiche con le quali dobbiamo confrontarci sono in parte quelle di prima ma in parte e inevitabilmente sono anche totalmente diverse. I paesi, anche l’Italia, sono attraversati da tante diversità: politiche, territoriali, sociali, personali, religiose, etniche, linguistiche. Di fronte alle paure, alle difficoltà che incontriamo, la Costituzione è ancora valida, è un punto di riferimento per la pacifica convivenza del pluralismo, per rendere unito e coeso il paese.
La Carta della Repubblica, con i suoi principi, è ancora attuale, attualissima.
Essa ci invita a non abbassare la guardia di fronte agli episodi di razzismo, a non tapparci gli occhi, quando vengono aggrediti cittadini stranieri come nel caso di un giovane padre bengalese pestato a sangue da un gruppo di minorenni nella periferia romana. Di fronte agli episodi di razzismo che non risparmiano neanche il mondo dello sport, dove gli atleti neri vengono insultati e dileggiati nei nostri stadi.
La nostra Costituzione ci esorta a non restare indifferenti di fronte ad episodi come quello avvenuto a Parma dove un ragazzo nero venne insultato e picchiato dai vigili urbani di recente rinviati a giudizio.
La Costituzione è attuale quando ci sollecita a prestare attenzione di fronte al riarmo di tanti paesi, ai tanti conflitti che ancora insanguinano il mondo, allo spreco ingiusto di risorse che servirebbero per combattere la fame, la povertà, per difendere il pianeta dai cambiamenti climatici e dai danni ambientali.
Essa deve essere per noi un punto di riferimento per combattere la criminalità organizzata: la mafia, la camorra, la ‘ndrangheta. Affinché il rispetto della legalità, all’interno della nostra convivenza civile, anzi da far entrare nel DNA di ogni cittadino che vive in Italia, prenda il sopravvento contro gli abusi e i comportamenti individuali che vogliono calpestare le regole.
Oggi, in un momento difficile come questo, a causa della crisi economica che investe tutto il mondo, è importante riferirsi ai principi della Costituzione che affermano il primato della persona, della sua dignità, della sua promozione rispetto all’economia e al mercato. In questa difficile situazione è ancor più un nostro dovere assicurare uguali opportunità a tutti i cittadini.
La Costituzione è attuale quando ci parla di democrazia, di centralità del Parlamento, cuore del sistema della rappresentanza, del ruolo delle istituzioni regionali e locali.
In questo campo, tuttavia, è indispensabile quell’ aggiornamento della Carta che resti però rigorosamente coerente con i suoi principi fondamentali. Occorrono riforme per rispondere alle domande di partecipazione e di efficienza delle istituzioni, che la maggioranza dei cittadini richiede con forza. Sono urgenti. Devono essere realizzate con uno schieramento ampio, non dalla sola maggioranza del momento.
Si devono differenziare i compiti di Camera e Senato; si deve ridurre il numero dei parlamentari; rafforzare insieme il ruolo dei governi, che devono però restare di tipo parlamentare.
Comuni, Province e Regioni devono assolvere funzioni accresciute, avere una più ampia autonomia e responsabilità finanziaria. Ma il federalismo deve essere solidale per rafforzare la coesione del Paese. Del resto la parola federalismo deriva dal latino foedus, indica la capacità di unire, di unirsi, non certo quella di dividersi, di separarsi dietro ad egoismi di territori o di gruppi sociali.
Anche i sistemi elettorali devono essere migliorati attraverso un’ampia convergenza politica: si tratta delle regole per il governo della nostra Casa comune; esse devono garantire che i cittadini scelgano con il voto le maggioranze di governo e al tempo stesso le donne e gli uomini che li rappresenteranno in Parlamento.
Alle elezioni amministrative, ritengo che i tempi siano ormai maturi per prevedere il diritto di voto anche per gli immigrati che da anni vivono legalmente in Italia e sono ancora privati della pienezza dei diritti di cittadinanza.
Queste innovazioni sono del tutto coerenti con la Costituzione: anzi sono possibili grazie ad essa e contribuiscono a renderla più efficace.
Oggi nel giorno di festa, nel quale ricordiamo quanti hanno messo tutto il loro entusiasmo, la loro giovinezza e hanno sacrificato il loro futuro per costruire quello di noi tutti, dobbiamo chiederci: noi cosa stiamo facendo per far vivere la Costituzione, perché i suoi valori siano fatti propri di generazione in generazione?  Non possiamo essere soddisfatti.
Diceva ancora Pietro Calamandrei “La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile. Bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica”.
Chi è nelle istituzioni, dai Comuni al Parlamento, deve avere senso della responsabilità, essere rigoroso e sobrio nei comportamenti. Ci si deve sempre ricordare che il compito fondamentale è quello del rapporto tra istituzioni e cittadini.
E’ giusto che i cittadini dedichino del tempo alle istituzioni, alla vita delle comunità, alla politica. Non è un impegno delegabile, portato avanti “a condizione…”: è un nostro dovere. I valori non sbocciano e non si coltivano casualmente: si trasmettono, si condividono, si insegnano. Nelle scuole si devono educare i giovani al rispetto della Costituzione e dei principi e spiegarne il valore. Dobbiamo insegnare nelle scuole il rispetto per l’altro e la solidarietà. Quella solidarietà di cui il nostro Paese è capace nei momenti di difficoltà, che stiamo vedendo in questi giorni in Abruzzo, tra le macerie del terremoto. Un sentimento della solidarietà, un senso civico, una voglia di ricostruire che annulla le divisioni politiche e che porta in primo piano il bene comune.
È quanto dobbiamo sempre saper mettere al centro della nostra convivenza, non solo nei momenti drammatici della vita del paese.
Voglio chiudere questo intervento con una lettera di un partigiano che vorrei condividere con voi. “Sono pienamente consapevole del rischio che corro e mi rendo perfettamente conto che ho un massimo del 50 % di probabilità di essere ancora in vita alla fine di questa orrenda guerra, ma il mio immenso desiderio di un mondo migliore e in pace non mi permette di restare inattivo…Zio io ho viva speranza che questa guerra debba terminare presto e tutti i miei voti sono perché tutti noi ci possiamo ritrovare per potere iniziare la creazione di una nuova Italia in cui veramente la giustizia e la fratellanza regnino sovrani..”
È il compito che dobbiamo sentire attuale per la nostra Italia e per la nostra Europa.