“Il significato più profondo di questo voto è che sulla Costituzione e su tutte le questioni che riguardano le istituzioni deve finire l’epoca delle contrapposizioni e dei veleni”. Vannino Chiti sorride guardando alla “doppia festa”: festa per l’Italia ai quarti di finale e per la “grande maturità di questo popolo”. “Dopo dieci anni si supera il quorum in un referendum, per di più votando a fine giugno. E i no hanno vinto sia al nord che al centro che al sud. Il nostro è un paese unito”. Il ministro delle Riforme e per i Rapporti con il Parlamento annuncia che il confronto con l’opposizione potrà partire in tempi brevi. Ma prima di tutto, sottolinea, sarà necessario già dopo la pausa estiva dei lavori parlamentari mettere mano all’articolo 138 della Costituzione per evitare che si possa ancora verificare una modifica della Carta a colpi di maggioranza.

Ministro Chiti, in molti dentro al fronte del no si erano preoccupati vedendo la diversa affluenza tra nord e sud. Anche lei ha avuto qualche timore?
“Sì, ma non per la sconfitta del no, quanto per una vittoria sul filo. Noi volevamo che l’affermazione del no fosse netta e anche che fosse omogenea in tutte le aree del paese. E così è stato. Ora nessuno potrà dire che c’è stata scarsa partecipazione, o che qualche pezzo del paese è alternativo al centrosinistra o magari all’Italia”.

Berlusconi e altri esponenti dell’opposizione speravano nella spallata.
“Questo voto spazza via tutto”.

Chiude anche l’epoca Berlusconi, o quella dell’asse Fi-Lega?
“Con questo voto si può sperare di chiudere l’epoca che ha visto la Costituzione, e in questo Berlusconi è stato sicuramente il protagonista, come qualcosa da asservire alle logiche di una maggioranza”.

E per quanto riguarda la Lega?
“Mi auguro che le parti migliori della Lega, se ci sono, battano un colpo. Come fanno ad esempio le forze autonomiste in Spagna, non scelgano un’appartenenza di schieramento e si confrontino nel merito del federalismo. In questi anni sono stati i pletoriani delle peggiori leggi berlusconiane ad personam, pensando che attraverso questa scorciatoia si potesse raggiungere l’obiettivo. In realtà così hanno soltanto partorito un pasticcio sgangherato, che gli italiani hanno rifiutato”.

Pensa che sia possibile giungere a convergenze con la Lega sul federalismo?
“Quel che è certo è che ci si può e ci si deve misurare, sapendo che per noi il federalismo deve essere solidale e cooperativo: solidale tra i territori e cooperativo tra le istituzioni. Ma non dobbiamo sottovalutare il significato più profondo di questo voto”.

Che sarebbe?
“Che gli italiani non vogliono più veleni e divisioni sulla Costituzione: è un terreno su cui si deve procedere insieme, perché prima di essere di centrosinistra o di centrodestra ci devono avere dei riferimenti comuni, e la Carta è il primo di questi”.

Il luogo in cui cercare le convergenze con l’opposizione?
“Intanto, un momento di dialogo e di ascolto lo avremo non soltanto con le forze di opposizione ma anche con le forze sociali e culturali. Per quanto riguarda il confronto, dovrà avvenire in Parlamento. Prima di tutto, chiederò ai presidenti della commissione Affari costituzionali di Camera e Senato Violante e Mancino di avviare nelle prossime settimane una prima valutazione. Se questa fase, che penso si debba concludere entro la fine di settembre, registrerà elementi di convergenza e volontà costruttive, proporrò una modifica dell’articolo 138 della Costituzione che innalzi il quorum dei parlamentari necessario ad approvare le modifiche. Questo per evitare che in futuro le maggioranze del momento possano modificare da sole la Costituzione”.

A partire da quali posizioni il centrosinistra andrà al confronto?
“Esclusa la scelta presidenzialista, dobbiamo dare maggiore autorevolezza e forza al governo di tipo parlamentare. Sono possibili varie misure, per esempio dare al presidente del Consiglio, come condizione per determinare l’indirizzo unitario del governo, non solo la facoltà di scegliere i ministri, ma anche di revocarli. Inoltre dovremmo valutare lo strumento della sfiducia costruttiva, che in Germania e Spagna ha funzionato”.

Prodi ha parlato di un taglio del numero dei parlamentari.
“La questione riguarda la riforma del sistema parlamentare. Noi dobbiamo garantire un maggior ruolo dei comuni, delle province e delle regioni e arrivare a superare il bicameralismo perfetto. In questo quadro, che ci dovrà dare una Camera che sia espressione di questi soggetti, si inserisce la riduzione del numero dei parlamentari. Non si tratta di una sirena qualunquistica”.

Previsioni su cosa ci sarà al posto del bicameralismo perfetto?
“Personalmente sono per una sola Camera politica, eletta direttamente dai cittadini, e una seconda Camera in cui si siede per funzioni: presidenti di regioni, di province, sindaci”.

Prodi ha annunciato che lei avvierà un confronto anche per una modifica della legge elettorale.
“Sì, è una legge ordinaria, che si può votare a maggioranza, ma noi riteniamo che sia necessaria una larghissima convergenza. La legge elettorale deve servire a mantenere nelle mani dei cittadini la scelta delle maggioranze di governo”.

Anche qui: previsioni?
“Ci sono diverse opzioni, la mia preferenza va al maggioritario a doppio turno. Quel che è certo è che la “porcata” di Calderoli sarà tolta dimezzo”.

Bocciata questa riforma, rimane il Titolo V, da voi modificato e su cui sono state espresse perplessità anche all’interno dell’Unione.
“Studieremo quali sono gli aspetti validi e quali quelli non funzionanti, quali gli aggiustamenti o le correzioni che dobbiamo costruire”.

E’ possibile prevedere un’attuazione del federalismo fiscale?
“Deve esserci. Si tratta di una misura indispensabile, che deve dare alle regioni e alle città insieme responsabilità e autonomia”.

Fin qui si è parlato di larghe convergenze, ma già all’interno dell’Unione c’è chi, come Prc, Pdci e Verdi, non ritiene necessarie modifiche e confronti.
“E’ tutto scritto nel programma, che non può valere solo a fasi alterne”.

Simone Collini