Questa legislatura si apre con una speranza, che anche l’impostazione del suo discorso conferma come possibile: quella che in Italia ad un quindicennio di democrazia dell’alternanza, fondata però sulla contrapposizione continua segua – non come una parentesi dettata per voi dalla felicità per i risultati elettorali, ma come una fase irreversibile – un bipolarismo maturo, basato su di un confronto tra maggioranza ed opposizione, forte, trasparente, rispettoso. Un confronto capace di individuare, e non di temere, motivi di intesa ad esempio sulla riforma delle istituzioni; sugli interessi e i doveri dell’Italia in campo internazionale.
Un confronto in cui l’opposizione – come in ogni Paese dell’Europa – svolgerà il suo compito di controllo, condurrà le sue battaglie, sfiderà la maggioranza ed il governo su un progetto alternativo.
Saranno i fatti a dirci se questa fase è davvero iniziata. I fatti chiamano in causa per prima la responsabilità di chi governa. Valuteremo a partire dalle scadenze di fronte a noi: la nomina del nuovo commissario italiano nell’Unione Europea; la Rai; le emergenze sociali; lo statuto dell’opposizione.
Noi saremo una opposizione che non si lascia trascinare sul terreno di contrapposizioni pregiudiziali. Questi terreni danno forse qualche rendita di posizione minoritaria, non rappresentano l’orizzonte di chi si candida a governare l’Italia.
Non abbiamo lasciato le nostre case di appartenenza, affrontato una sfida di innovazione politica, costruendo il Partito Democratico, con la ambizione di farne un protagonista di questo secolo, per confinarci in un ruolo di testimonianza.
A quanti temono e vedono ovunque delle trappole diciamo con pacata fermezza: il Partito Democratico con la sua nascita, con le sue scelte ha contribuito a superare la frammentazione politica; ha determinato una svolta perché il bipolarismo non viva come contrapposizione continua.
Non abbiamo fatto questa scelta per compiacere Lei, signor Presidente, ma perché è ciò di cui il nostro Paese ha bisogno.
Il suo discorso muove da una esigenza giusta, quella di dare serenità al Paese.
Questa serenità deve servire a dare all’Italia  fiducia nei suoi mezzi, per un grande progetto di cambiamento. L’Italia ha bisogno di innovazione, non di conservazione, di vivacchiare.
Questa necessità emerge dalla diagnosi dei gravi problemi del paese fatta ieri anche da Lei: le risposte non ci sembrano all’altezza.
Nonostante un rientro del deficit nei parametri europei, e il riformarsi di un avanzo primario, da noi realizzato, siamo il Paese in Europa con il più grande debito strutturale: ogni anno 70 mld di euro sono destinati non a politiche per l’istruzione, la formazione, l’occupazione, uno sviluppo moderno, ma per gli interessi sul debito pubblico. E’ un dovere uscirne.
Dobbiamo liberare risorse per dare priorità alla competitività del sistema produttivo, ai redditi dei lavoratori dipendenti, e di quel ceto medio, persone e famiglie colpite dalla globalizzazione.
L’Italia ha bisogno di superare corporativismi ed una situazione di blocco sociale, che dà alle ragazze ed ai ragazzi un futuro condizionato dalle famiglie nelle quali nascono, un destino già scritto: occorrono liberalizzazioni, a partire dai servizi pubblici locali; un progetto per coinvolgere i lavoratori, i tecnici nella vita produttiva delle aziende; semplificazione ed efficienza nella Pubblica Amministrazione; risorse per la formazione. Ancora una volta giudicheremo dai fatti. In passato non vi sono stati. Vedremo ora.
L’Italia ha bisogno dell’Europa. Lo hanno tutte le nazioni del continente, destinate altrimenti alla irrilevanza. Non ha speso molte parole, signor Presidente, attorno a questo tema. Eppure è questione centrale. La costruzione della dimensione politica e sociale dell’Europa è decisiva per dotarci di politiche e regole nuove di fronte ai processi di globalizzazione; per affrontare le sfide della immigrazione; per dare coerenza ad un impegno – non certo armato – ma civile, culturale, collegato alla cooperazione, però forte e intransigente sul tema dei diritti umani.
E’ urgente che il Parlamento affronti la ratifica del trattato di Lisbona – Le chiedo che il suo Governo dia priorità a questa scelta – e che questo adempimento sia vissuto non in chiave burocratica, ma come momento alto di confronto attorno all’Unione Europea ed alle sue prospettive.
Sul tema della sicurezza lei ha detto di accettare un confronto con quanti sollevino obiezioni di merito.
Contano anche gli strumenti: se procedete con un decreto legge, sarà assai difficile. Se date vita ad un disegno di legge, possiamo assumerci la responsabilità di una scadenza concordata per il suo approdo finale.
La sicurezza è un diritto di ogni cittadino che viva in questo Paese. Le istituzioni della democrazia devono saperla assicurare. E’ sbagliato fare della sicurezza un tema da campagne elettorali: dovrebbe essere un terreno di confronto responsabile, di ricerca di soluzioni condivise.
Nessuno può, senza grandi rischi, presumere l’autosufficienza.
Soprattutto occorre serietà e competenza, non improvvisazione. Così come per l’immigrazione.
Abbiamo ascoltato di tutto: da interventi nelle acque internazionali a deportazioni di rom e rumeni; dalla sospensione del trattato di Schengen, alla trasformazione dei cpt in luoghi di detenzione e al reato di immigrazione clandestina,
C’è stato risparmiato per ora solo l’arresto per complicità di anziani assistiti da badanti senza regolare permesso di soggiorno.
Occorrono misure forti di contrasto alle organizzazioni di trafficanti di persone ed alla immigrazione clandestina; accordi bilaterali più efficaci con i paesi di origine e di transito; misure severe per chi commette reati e certezza della pena; politiche di integrazione degli immigrati regolari.
La responsabilità penale è individuale: non chiama in causa popoli o etnie.
Guai a suscitare odi e divisioni. La storia del novecento ci parla di conseguenze tragiche di queste campagne di razzismo.
Per tutti valgono i diritti e i doveri sanciti dalla Costituzione.
Per tutti deve valere anche l’esercizio di una cittadinanza attiva, a partire dal voto nelle elezioni amministrative.
Cosa farà il suo Governo? Abbiamo sentito suoni  opposti, ma il successo di un indirizzo politico è legato alla capacità di tenere insieme legalità – rigore – integrazione.
Infine, un’ultima questione: le Istituzioni.
Nella passata legislatura si erano registrate importanti convergenze sulla differenziazione dei compiti tra Camera e Senato; la riduzione del numero dei parlamentari; il rafforzamento del ruolo del Presidente del Consiglio; la revisione dei regolamenti parlamentari; il cosiddetto federalismo fiscale, che se vuole essere davvero solidale, non può prescindere dal debito pubblico, da una gradualità di attuazione e da un equilibrio che né oggi né domani potrà far restare sul territorio il 90% delle risorse, dal momento che in nessun paese federale e neppure nella confederazione elvetica ne restano più del 40-45%.
Si era anche trovata una intesa sulla nuova legge elettorale.
Voi allora avete scelto di non procedere, preferendo la via delle elezioni subito.
Questa legislatura sarà dunque attraversata dal percorso di riforme, che potevano già esercitare un’influenza positiva.
Si apra subito il cantiere. Ma perché funzioni occorre chiarezza di impostazione fin dall’inizio: si riparta dal lavoro svolto; il governo si impegni e partecipi ma lasci l’iniziativa nella mani del Parlamento; il Senato – questo riguarda tutti noi colleghi – si faccia protagonista in prima persona di una proposta di autoriforma, mostrando con i fatti che qui non c’è una casta ma donne e uomini capaci di pensare all’Italia. Le proposte hanno naturalmente tempi e priorità differenti, ma l’accordo deve riguardare in modo esplicito un progetto complessivo.
Signor Presidente del Consiglio, noi non votiamo la fiducia al suo Governo, saremo una opposizione non chiusa in un fortino, ma capace di rappresentare un’alternativa di governo.