Intervista a Vannino Chiti apparsa sul numero di ottobre del periodico le Province
Signor ministro anche recentemente Lei ha ribadito che le riforme istituzionali sono urgenti e necessarie, ma possono essere realizzate solo con il consenso di tutto il Parlamento.
Non proprio di tutto, altrimenti nascerebbe un potere di veto, ma certamente sulle riforme occorre ricercare intese ampie, che abbraccino buona parte del Parlamento. Del resto anche il Presidente della Repubblica Napolitano ha ribadito più volte sia l’urgenza delle riforme, sia la necessità che esse vengano condivise da un ampio schieramento. Quando si modificano aspetti della Costituzione o della legge elettorale, ovvero le leggi che costituiscono le regole del gioco democratico, non si possono fare riforme a colpi di maggioranza contro una parte del Paese, come ha tentato di fare il centrodestra con la devolution. Con il voto al referendum del 25 e 26 giugno gli italiani hanno dimostrato di non volere né stravolgimenti della Carta, né riforme fatte senza un vero dialogo tra le parti, e noi intendiamo rispettare queste due indicazioni che i cittadini ci hanno voluto dare.
Sul federalismo, invece, il confronto innanzitutto con le Autonomie: Province, Comuni e Regioni è necessario per definire meglio la distribuzione delle competenze e delle risorse. Quali sono le sue linee guida?
Certamente sul federalismo ci dovranno essere reali occasioni di ascolto, dialogo e confronto tra le autonomie locali e lo Stato centrale. Ma non solo. Sarà importante ascoltare anche le università, le associazioni, le imprese che operano sul territorio, i cittadini che lo vivono. Senza la capacità e la volontà di confronto non si va da nessuna parte. Il federalismo non può essere qualcosa calato dall’alto, altrimenti rischierebbe di contraddire la sua stessa missione, che è quella di valorizzare le potenzialità di un territorio, aiutandolo a crescere e prosperare nel rispetto dell’armonia generale del Paese. L’Italia ha bisogno di un federalismo solidale ed efficiente, che migliori e semplifichi la vita dei cittadini. Per far sì che questo accada sono necessarie una forte sinergia tra governo centrale e governi locali e una chiara divisione dei ruoli e delle competenze.
La crescita del Paese passa anche attraverso la crescita dei territori. E’ necessario dunque dare a tutti le stesse opportunità e le stesse risorse. Una scelta per offrire più risposte e servizi ai cittadini?
Mi spingo a dire di più: la crescita del Paese è la crescita dei territori. Valorizzando le potenzialità intrinseche in ogni territorio si mettono in circolo energie nuove e inespresse che contribuiscono in maniera decisiva alla crescita sociale ed economica di una nazione. Ogni territorio ha un suo talento e una sua vocazione. Il compito dello Stato centrale è quello di creare le condizioni affinché ciascun territorio possa coltivare quel suo specifico talento e seguire la sua specifica vocazione in maniera autonoma. A mio parere ciò si può ottenere solo attraverso un federalismo cooperativo e solidale. La riforma del Titolo V introdotta dal centrosinistra nel 2001 è stato un primo tentativo per la realizzazione di questo obiettivo. A cinque anni dalla sua entrata in vigore oggi sappiamo che necessita di alcune correzioni e aggiustamenti mirati e, soprattutto, ha bisogno di essere ampliata e pienamente attuata. Da qui, da una messa appunto e da un arricchimento della riforma del Titolo V, si può ripartire, dialogando con tutti e ascoltando il contributo e le idee di ciascuno. Ma un altro importante capitolo per la crescita dei territori e il miglioramento dei servizi offerti ai cittadini sarà la riforma dei servizi pubblici locali, che introdurrà una maggiore concorrenza nel settore e consentirà di avere tariffe più basse e offerte di migliore qualità.
Tenere insieme risanamento e sviluppo, mettere nel comparto pubblico elementi di controllo, di razionalità e di rigore – lei afferma- non vuol dire tagliare. Passa da qui il federalismo fiscale?
Il rigore non è un fine ma un mezzo. Se dal tubo esce poca acqua, prima di tutto è meglio assicurarsi che non ci siano falle da qualche parte, e, se ci sono, tapparle. Detto questo, credo che un federalismo fiscale equilibrato potrebbe veramente essere un modo intelligente per responsabilizzare tutti e aiutare così a ottimizzare (e quindi contenere) la spesa generale. Una risorsa che rimane anche nella zona in cui è stata raccolta, per forza di cose, subisce una minore erosione. È un principio molto semplice e naturale che ognuno di noi può sperimentare nella vita di tutti i giorni: più è lungo il cavo dell’antenna, minore il segnale e la qualità dell’immagine. Ma un federalismo fiscale che, solo per fare un esempio, si limitasse a far sì che quanto versato dai cittadini lombardi rimanesse in Lombardia e quanto versato dai calabresi rimanesse in Calabria, non funzionerebbe e, in breve, risulterebbe devastante sia per la Calabria che per la Lombardia. L’economia di una comunità ha interconnessioni simili a quelle di un organismo vivente. Se il nostro sistema circolatorio smettesse di portare nutrimento a una gamba con la pretesa assurda che questa si deve procurare le risorse vitali da sola, per risultato otterrebbe la cancrena dell’arto e, alla fine, la mutilazione o la morte dell’intero organismo. Quello di cui invece ha bisogno l’Italia è un sistema che consenta alle istituzioni, a ogni livello – nazionale, regionale, locale – di razionalizzare ed essere responsabili dell’utilizzazione, della distribuzione e della destinazione delle risorse. Allo stesso tempo – e in perfetta sinergia – ci vuole un governo centrale capace di una forte politica orientata allo sviluppo, di un programma per l’energia che sappia guardare contemporaneamente all’innovazione e all’ambiente (che, soprattutto nel nostro Paese, è anche un bene economico primario) e che investa sulle infrastrutture veramente utili all’economia della nazione. Soprattutto, tutti quanti dobbiamo sapere che non si tratta solo di spostare competenze dal centro alla periferia. Si tratta di cambiare i rapporti tra istituzioni e cittadini. Ed è necessario cambiare profondamente le istituzioni: lo Stato centrale, le Regioni, le Provincie, i Comuni. Il federalismo non è un vino che può stare negli otri vecchi.