I valori religiosi non interessano solo i Dl. Ma in politica non ci sono verità di fede 
Il dibattito su cattolici e partito democratico, un tema che il vostro giornale segue da tempo, è (e sarà) al centro della più generale riflessione sul futuro dell’Ulivo. E’ indispensabile parlarne con serenità, e credo ne debbano parlare tutti. Perché quando verrà – e io sono convinto debba essere entro le elezioni europee – il partito democratico dovrà fare a meno di vecchi recinti e distinzioni. Il dibattito sulla questione cattolica, sul contributo del cattolicesimo democratico e sociale alla costruzione di una nuova forza progressista, non può infatti riguardare solo chi viene dall’esperienza politica della Dc e dai filoni culturali del popolarismo. Non tanto perché i credenti non si trovano tutti da quella parte, ma perché è fondamentale che anche chi è partecipe della variegata storia del socialismo in Italia si misuri più di ieri con i temi della questione religiosa e con i valori che animano il cattolicesimo democratico.
Questo confronto non è una novità. Tra i soggetti che alla fine degli anni Novanta danno vita ai Ds vi è una componente che fonda il suo impegno politico sulla ispirazione cattolica. Non importa la dimensione dei cristiano sociali: conta la qualità di una presenza, nella più grande forza della sinistra italiana, che, a differenza di quanto era avvenuto negli altri paesi europei, da noi era inedita. Nella sinistra, nel Pci e nel Psi, vi erano molti credenti, forse anche una maggioranza, ma in quanto singoli cittadini, senza un esplicito riferimento collettivo alle impostazioni sociali e culturali della Chiesa.
Perché questa presenza non ha saputo o potuto esprimere tutte le sue potenzialità? Perché erano culture inconciliabili, come qualcuno sostiene? Questa spiegazione non mi convince. Tanto per fare un esempio, ben altro esito ha avuto un’analoga esperienza tra i laburisti inglesi o gli stessi socialisti francesi. Penso piuttosto che qui da noi la radice abbia germogliato poco perché tutti quanti noi dei Ds non abbiamo saputo costruire una nuova forma partito. In Italia l’offerta politica vede da una parte il partito del leader, poco democratico e costruito con l’ottica della propaganda elettorale, dall’altra il persistere di forme politico-organizzative tipiche della prima fase di vita della Repubblica. E’ necessario andare oltre. Servono partiti nuovi che ridefiniscano valori e progetti di società, articolazione sul territorio, modalità di partecipazione, selezione delle candidature per la guida delle istituzioni attraverso primarie. Senza imboccare questa strada, il partito democratico sarebbe poco più di una sigla, non – come è la nostra ambizione – la forza progressista del ventunesimo secolo.
Per lunghi anni la sinistra si era misurata con la questione cattolica distinguendola da quella democristiana, sostenendo per i credenti quel pluralismo nelle scelte di ordine politico che era uscito rafforzato dal Concilio Vaticano II. Quell’idea ha contribuito a definire il limite della politica stessa, ap profondendone la laicità: ha fatto capire che non è compito di un partito dare risposte riguardo al senso della vita, all’esistenza o meno di Dio. E che i valori ideali sui quali associare le persone sono altri, e si riferiscono alla società, al suo futuro, alla pace, al rapporto uomo-pianeta. Questo è il confine della politica. Paradossalmente, una volta che il pluralismo dei cattolici in politica è diventato realtà concreta anche in Italia, la sinistra è sembrata esserne per ciò stesso appagata. Quasi che pluralismo significasse meccanicamente consenso alla sinistra. Vi è qui in parte il riflesso di una nostra presunzione intellettuale, non nuova nella storia dei progressisti, che ci porta talora ad auto-convincerci che essendo le nostre idee indiscutibilmente le migliori, orientate da giustizia e libertà, non possono non affermarsi e non suscitare il sostegno anche dei credenti. Per altro verso vi è un ritardo e una insufficienza a comprendere che la politica torna a parlare il linguaggio forte dei valori e che dunque con quelli di ispirazione religiosa non possiamo non misurarci.
Nel partito democratico, se sarà davvero la casa dei riformisti, è ovvio che la cultura cattolico-democratica sarà co-fondatrice e protagonista con le altre. Il problema è che tutto ciò non è sufficiente. Nella costruzione di valori di riferimento comuni dobbiamo tutti fare i conti con il pensiero religioso. Senza questa capacità la persona, la sua dignità, che noi vogliamo difendere e promuovere, non potrebbe essere il centro di riferimento del partito nuovo. Siamo oggi di fronte a domande, un tempo collocate nella sfera privata, che con forza si pongono alla politica: le questioni della vita, nel suo nascere e nel suo giungere alla fine. Vanno evitati due atteggiamenti; quello che non si misura con le posizioni cristiane sulla vita, liquidandole sbrigativamente come arcaiche e l’altro che ritiene di risolvere le sfide del presente, imponendo per via legislativa alla società o alla scienza
valori coincidenti con i dogmi della religione.
Non mi scandalizzo quando la Chiesa interviene in modo diretto sui temi etici o sociali: la fede e l’istituzione religiosa non possono essere confinate in un recinto privato. Né è giusto rimpiangere il tempo in cui i cattolici avevano un partito politico di riferimento. Solo deve essere chiaro che quando si sceglie legittimamente di intervenire nella sfera politica, non esistono piì verità di fede, che in quanto tali possano pretendere di affermarsi.
Mi preoccupa piuttosto il ridursi del protagonismo dei laici cattolici nella vita della Chiesa: nessun vescovo può sollevare i laici cattolici dall’onere di trovare, nella politica o nel sociale, le mediazioni necessarie tra convinzioni di fede e concrete dinamiche della nostra convivenza, l’agire con gli altri uomini per realizzare il bene comune. In ogni caso sui
temi della vita non esistono oggi risposte laiche e di sinistra soddisfacenti, ma inconciliabili con quelle del cattolicesimo democratico. Né viceversa. Perché non esistono due certezze o soluzioni opposte, inavvicinabili, ma caso mai due insufficienze, due approcci che hanno bisogno di dialogare per costruire nuove, più avanzate sintesi. Per questo, forse, l’incontro promosso da Castagnetti a Chianciano sarebbe stato più opportuno non chiuderlo nel pur nobile recinto della componente popolare della Margherita, bensì aprirlo al confronto con le altre culture che concorreranno alla costruzione del partito democratico. E questo proprio perché misurarsi con le sollecitazioni del cattolicesimo è necessario, per tutti.

Vannino Chiti