Caro direttore,
l’intervento di Salvatore Vassallo sul Corriere di ieri evidenzia elementi di convergenza su aspetti fondamentali della proposta che ho elaborato anche sulla base degli incontri con i gruppi parlamentari. Da questi vorrei iniziare per rispondere poi alla questione apparentemente di maggiore disaccordo che riguarda il referendum. Vi è accordo sulla necessità di partire da alcune leggi di aggiornamento della Costituzione: riduzione del numero dei parlamentari; superamento del bicameralismo perfetto attraverso una differenziazione di competenze tra Camera e Senato che si fondi anche sulle differenti modalità della loro elezione. Sembra invece esserci una qualche diversità di impostazione rispetto alla terza legge di riforma costituzionale relativa ai poteri del presidente del Consiglio. Continuo a ritenere che non sia un fatto puramente formale che il presidente del Consiglio, oltre a nominare, possa revocare i membri del suo governo, così come può farlo ogni sindaco, presidente di Provincia e di Regione. Allo stesso modo non considero irrilevante che sia il presidente del Consiglio, anziché l’intero governo, a ricevere la fiducia dal Parlamento come del resto avviene in Germania e in Spagna.
Sono d’accordo con Vassallo che queste misure hanno una loro maggiore incisività e coerenza se i governi potranno richiedere alla Camera la fine della legislatura ed ottenerla qualora non vi sia un volo favorevole ad un nuovo candidato alla presidenza del Consiglio. Questo esito può inscriversi nei meccanismo della sfiducia costruttiva, tipica delle esperienze tedesca o svedese. Non ho invece obiezioni riguardo alle riflessioni sviluppate da Vassallo sulla legge elettorale in riferimento al rapporto tra soglia di sbarramento per la ripartizione dei seggi e il premio di maggioranza. Anche per me premio e soglia non sono in contraddizione.
E’ realismo politico affermare che un’intesa tra maggioranza e opposizione possa aversi attorno ad un rapporto equilibrato tra questi due momenti. Anche io, come Vassallo, ritengo che uno sbarramento attorno al 2/3 per cento esiga un innalzamento del premio di maggioranza. Anche su questo nodo, come sulla regolazione della sfiducia costruttiva, sono necessari ulteriori approfondimenti. Mi auguro che i prossimi incontri, che faremo insieme al presidente del Consiglio, servano a scioglierli.
Infine la questione del referendum. Attorno ad esso sembra manifestarsi la più rilevante divergenza tra me e Vassallo.
Sarei, a suo dire, in contraddizione perché da un lato giudico il referendum una possibile sollecitazione, dall’altro ne chiedo il rinvio. In realtà non c’è contraddizione. Se si registrerà un’intesa tra maggioranza e opposizione sui punti che ho indicato, sarebbe lungimirante e serio rinviare il referendum al 2009. Non criminalizzo uno strumento di partecipazione, né chiedo abiure o annullamenti, mi limito a chiedere, in caso di intesa, la disponibilità al differimento di un anno. Così il referendum manterrebbe un carattere di sollecitazione: di fronte ad un accordo tra maggioranza e opposizione, mettere alla prova il Parlamento su ima conclusione di questo percorso entro fine 2008. Non bisogna nfatti sottovalutare che alcuni settori politici che non vogliono una piattaforma riformista – al cui interno non possono non essere contenuti alcuni aggiornamenti della Costituzione prendono a pretesto la scadenza referendaria per invocare la mancanza dei tempi necessari all’approvazione. Ecco ciò che chiedo: che il referendum sia una robusta sollecitazione al Parlamento e non carezzi invece l’idea di scrivere con il suo esito la nuova legge elettorale. So che Vassallo ed altri nel comitato concordano con questa impostazione, ma altri la pensano diversamente.
Questa è la differenza di fondo. In via di principio ritengo che in una materia tanto delicata debba essere il Parlamento, con una convergenza tra maggioranza e opposizione, a scrivere le nuove regole, ma sono persuaso, anche nel merito, che il referendum non produrrebbe un avanzamento. Se si scrivesse la legge elettorale con l’esito dei quesiti referendari, di fronte a noi avremmo per la Camera la prospettiva di due listoni indistinti del centrosinistra e del centrodestra o in alternativa il controllo da parte di una lista, magari con il 25% dei consensi, dell’assemblea elettiva. Per i Senato con uno sbarramento deIl’8% e un premio di maggioranza su base regionale avremmo un’assemblea composta, probabilmente, dai rappresentanti di due o tre partiti. Non è questa la via per fare funzionare la nostra democrazia. Occorre che i cittadini siano sovrani nelle scelte, anche rispetto alle maggioranze di governo, ma realizzando un corretto equilibrio tra rappresentanza e governabilità.
Vannino Chiti