La Costituzione della Repubblica è l’elemento unificante e identitario della nostra collettività, pur essendo oramai scomparsi i partiti protagonisti del patto costituente.
Da circa un decennio il nostro ordinamento si è caratterizzato con quella esplosione del pluralismo che assume, come valore e principio supremo, la convivenza pacifica e armonica delle diversità (politiche, territoriali, sociali , religiose, etniche, etc).
La sfida che oggi accomuna gli Stati democratici contemporanei si fonda sul presupposto che i princìpi e i valori che hanno contraddistinto il patto costituente possano assumere una funzione diversa e più pregnante di quella svolta in passato: si tratta di rendere possibile la pacifica convivenza del pluralismo, alimentando quel tratto unificante e identitario che consente a noi cittadini di pensarci ancora come una collettività organizzata in ordinamento.
Non è un caso che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel messaggio letto davanti alle Camere in occasione del suo insediamento, abbia parlato di « memoria condivisa, come premessa di una comune identità nazionale, che abbia il suo fondamento nei valori della Costituzione ».
La salvaguardia di questi valori sembra infrangersi in quella che ormai comunemente si definisce “crisi” della Costituzione, nella quale spesso confluiscono, confondendosi, le naturali esigenze di aggiornamento dei meccanismi di funzionamento del sistema istituzionale e la perdita di attualità ed effettività dei principi e dei valori fondamentali che ne connotano l’essenza.
È dunque necessario distinguere tra i due piani, indagando con attenzione sui fattori reali di questa “crisi”.
Un allarmante fattore di delegittimazione della Costituzione è innanzitutto rappresentato dal pericolo della progressiva perdita della cultura che ne ha sorretto la nascita e guidato l’attuazione. Questa cultura costituzionale si sta indebolendo per l’erodersi dei confini tra diritto costituzionale e diritto politico: il principale pericolo per la Costituzione non proviene dall’affievolimento di taluni suoi valori, che invece continuano a rispecchiare il credo etico-politico in cui si riconosce l’identità collettiva del popolo italiano, ma dal convincimento, sempre più diffuso, che del diritto costituzionale possano disporre le maggioranze politiche del momento.
Il diritto costituzionale è, invece, il campo dell’agire sinergico, il luogo in cui la logica maggioritaria, che è ineliminabile per il funzionamento concreto di ogni democrazia, deve cedere il passo alla condivisione e alla difesa di princìpi e valori che della lotta politica devono rappresentare quello che Habermas ha chiamato lo sfondo permanente comunicativo.
La perdita del confine tra diritto costituzionale e diritto politico porta infatti con sé il concreto rischio che si compiano riforme costituzionali con le sole maggioranze politiche.
Per questo occorre non dimenticare come il referendum del 2006 abbia rappresentato una risposta forte a questo genere di tentativi, grazie al rifiuto ampiamente condiviso del tentativo di stravolgimento della II Parte della Costituzione. La portata straordinaria di quel risultato costituisce il recupero da parte dei cittadini della consapevolezza dell’attualità dei valori costituzionali e della volontà di preservarli da ogni iniziativa di riforma e da ogni contrapposizione politica ad essa collegata. In quel voto referendario ha preso corpo nuovamente e con forza quella cultura costituzionale di cui il Paese ha sempre più bisogno.
Per continuare a percorrere questa strada occorre un grande sforzo collettivo. Si tratta di agire sul piano dei comportamenti istituzionali, attraverso un deciso recupero della “sacralità” dei ruoli e delle funzioni che ciascuno dei diversi enti (Stato, Regioni, Province e Comuni) sono chiamati ad esercitare, nel rispetto di ciò che la Costituzione loro attribuisce; al tempo stesso si tratta di recuperare uno stile di sobrietà, di rigore, di senso delle istituzioni da parte di coloro che ricevono un mandato elettorale. In tal modo il cittadino potrà recuperare quella considerazione per le istituzioni della Repubblica che oggi sembra in crisi.
La condizione perché ciò possa realizzarsi è che le forze politiche riacquistino piena coscienza della netta distinzione tra ciò che appartiene a tutti (generazioni future comprese) – e dunque non può essere oggetto di competizione elettorale – e ciò che, invece, appartiene all’area della fisiologica contrapposizione democratica, alimentando conseguentemente il dialogo e la riflessione comune sul terreno delle riforme istituzionali.
L’Italia ha bisogno di rafforzare il valore di riferimento unitario della nostra costituzione, prima delle legittime divisioni politiche. E ha bisogno di alcuni aggiornamenti costituzionali. Mi riferisco al superamento del bicameralismo paritario, con la nascita di una camera delle autonomie; alla riduzione del numero dei parlamentari; al consolidamento del ruolo del presidente del consiglio come guida dei governi parlamentari. Il 2008, sessantesimo anniversario della Costituzione, deve essere l’anno delle riforme.
Vannino Chiti