Chiti: la nuova Legge Elettorale dovrà avere circoscrizioni elettorali più piccole, almeno il 30% di rappresentanti donne, uno sbarramento vero, senza recuperi o premi di consolazione per i primi esclusi ed un premio di maggioranza che assicuri la governabilità.

Il Ministro per i Rapporti con il Parlamento e le riforme istituzionali, Vannino Chiti, illustra il suo lavoro al suo dicastero ed il percorso per la nuova legge elettorale e le necessarie correzioni alla costituzione.

Sig. Ministro, innanzitutto vogliamo ringraziarla per averci concesso questa intervista “on line” che dimostra come internet sia uno strumento di accrescimento della comunicazione tra governanti e cittadini, che permette un dialogo diretto con gli eletti anche senza spostarsi dalla propria casa o dal proprio ufficio. Vista la natura del nostro portale, la prima domanda verte proprio su questo tema. Lei quale ritiene che sia, oggi, il rapporto tra internet e la politica?
La politica è lo specchio della società e come tale non può ignorare la presenza di Internet, strumento protagonista e simbolo di una comunicazione democratica che offre a milioni di persone l’opportunità di esprimere il proprio pensiero, di raccogliere informazioni, risorse e di confrontarsi. Sempre più persone, soprattutto tra i giovani, fanno grande uso di questo strumento. Tramite la rete, l’informazione è diffusa rapidamente ed è di facile accesso: su internet sono presenti tutte le principali Istituzioni pubbliche, Senato, Camera, ministeri. Credo sia un mezzo per rendere la politica vitale, in grado di intessere un più esteso e forte dialogo con i cittadini, facendo sempre attenzione, però, alla correttezza dell’informazione.

Lei usa internet per il suo lavoro?
Internet è sicuramente uno strumento di supporto importante per il mio lavoro, mi permette di essere costantemente aggiornato attraverso l’informazione on line, controllare la mia posta elettronica ecc… Cerco di interessarmi alle mille sfaccettature di questo mondo virtuale, anche se sono un navigatore più curioso che esperto.

Naviga nei siti dei partiti? Che giudizio da alla loro chiarezza ed alla completezza di informazioni?
Raramente visito siti dei partiti, ma ho osservato che ce ne sono alcuni ben strutturati. Nel tempo libero, quando sono a casa, mi piace navigare sui siti delle istituzioni parlamentari o governative di altri paesi. Spesso preferisco guardare brani video musicali o comici.

Nel dialogo tra i Ministri del Governo Prodi, internet e posta elettronica sono strumenti utilizzati o prevalgono ancora carta e penna? Dialogate via mail? Quali sono i Ministri più “al passo con i tempi” in questo senso (non le chiediamo quali lo sono meno…)?
L’avanzare della tecnologia naturalmente non è sfuggito alle istituzioni. Sicuramente internet e la posta elettronica sono diventati strumenti indispensabili per rendere la comunicazione più veloce e meno burocratica. Quando le comunicazioni sono ufficiali ed anche legali vi è ancora bisogno di carta e penna. Ma questo vale per la comunicazione interna, mentre internet è lo strumento giusto per comunicare direttamente e tempestivamente con i cittadini.

Ora passiamo alle sue difficili deleghe: rapporti con il parlamento e riforme istituzionali. Partiamo dalla prima: che clima esiste tra il governo ed il parlamento? Prevale il dialogo o lo scontro?
L’impegno del Governo è di far prevalere dialogo e confronto, ma troppe volte non è possibile. Nelle opposizioni prevale spesso la scelta di praticare l’ostruzionismo: dalla Finanziaria ai provvedimenti per le liberalizzazioni, che hanno al centro il ruolo dei cittadini, la tutela dei loro diritti. Quando prevale la ricerca del confronto, come è avvenuto per le missioni militari all’estero, la riforma dei servizi segreti, quella dell’ordinamento giudiziario, le misure contro la violenza negli stadi il risultato è molto positivo. Il dialogo sulle riforme e sui grandi temi politici del nostro paese è non soltanto auspicabile ma necessario. Il governo Prodi si muove su questa strada, con questo impegno consapevole che questa non è solo la via più giusta, ma anche l’unica in grado di portare a compimento un percorso di riforma. Le riforme non possono e non devono essere fatte a colpi di maggioranza, bensì devono nascere dal confronto, da una paziente costruzione di posizioni condivise, così come ha sottolineato ripetutamente il Presidente Napolitano. È solo con il dialogo che si compiono passi avanti duraturi e significativi.

Se dovesse trarre un bilancio di questa delega, quale è stata la sua maggior soddisfazione finora? Ed in cosa, invece, ancora non è riuscito a raggiungere l’obiettivo che si era prefissato?
Le soddisfazioni sono legate ai provvedimenti – ne ho citati alcuni – che registrano un confronto alto in Parlamento. La modifica dei regolamenti parlamentari – che spetta alle Camere fare, ma che il Governo ha il dovere di sollecitare – è ancora in alto mare. In particolare è urgente modificare struttura della legge finanziaria e sessione di bilancio. In alcuni paesi dura meno di due mesi, in Italia sei!

Parliamo ora della sua seconda delega: le riforme istituzionali. Questa è certamente l’argomento del giorno, specie per ciò che riguarda la riforma della legge elettorale. Il nostro portale è da sempre sensibile all’argomento ed i nostri utenti, in un recente sondaggio, hanno indicato che il 32,9% vorrebbe che si votasse con la stessa legge con cui si eleggono i sindaci. Il 25% preferisce il sistema proporzionale alla tedesca con sbarramento al 5%; il 20,9% preferisce il modello francese; il 9,8% preferisce l’uninominale a turno unico; il 5,7% il proporzionale puro; il 5,1% il vecchio “Mattarellum” e solo lo 0,6% l’attuale legge elettorale. La sorprendono questi risultati?
I dati di questo sondaggio non mi sorprendono. Confermano la necessità di modificare l’attuale legge elettorale, ormai apertamente sconfessata da quelle stesse forze politiche del centrodestra che l’hanno voluta. Naturalmente i sondaggi ci consegnano un sentimento dei cittadini – evitare la frammentazione dei partiti; fare decidere dai cittadini con il voto anche le maggioranze di governo – non possono fare una nuova legge elettorale: è compito del Parlamento. Una legge elettorale può essere frutto solo di una triangolazione governo-maggioranza-opposizione. In questo quadro ho avviato nei mesi scorsi una serie di incontri con le forze politiche allo scopo di gettare le basi per una ampia riflessione sulla necessità di una nuova legge elettorale e di singoli e mirati aggiornamenti della Costituzione. Questi colloqui si sono svolti all’insegna del dialogo, dell’ ascolto, del rispetto reciproco e questo ha fatto emergere una serie di elementi sui quali è possibile costruire una convergenza.

Lei ha già iniziato un giro di consultazioni dei partiti, prima della crisi di governo, per l’individuazione di una nuova legge elettorale che possa essere condivisa dal maggior numero di partiti possibile: quale modello sta riscontrando i maggiori consensi? E quale, se ce ne è una, lei sta proponendo?
Voglio fare una considerazione preliminare. Per una nuova legge elettorale le linee guida della bozza elaborata sulla base delle consultazioni da me svolte vanno nella direzione di un modello che tiene insieme sia le esigenze di rappresentatività, sia quelle di stabilità dei governi. In questo quadro le linee guida per una nuova legge elettorale prevedono un ventaglio di possibilità su cui lavorare: circoscrizioni elettorali più piccole per ristabilire un rapporto forte tra cittadini e candidati; una presenza equilibrata nelle liste e tra gli eletti di entrambi i sessi, il che vuol dire avere almeno il 30% di rappresentanti donne; uno sbarramento vero, senza recuperi o premi di consolazione per i primi esclusi; un premio di maggioranza che assicuri la governabilità. Quale che sia la legge elettorale, essa non funzionerà senza singoli e specifici ammodernamenti della Costituzione. Mi riferisco alla riduzione del numero dei deputati e dei senatori; al superamento del bicameralismo perfetto, facendo del Senato una camera ancorata alle autonomie locali e regionali; all’abbassamento a 18 anni dell’età per votare per il Senato; a maggiori poteri per il Presidente del Consiglio (nomina e revoca dei ministri, sfiducia costruttiva.

I due referendum sulla parziale abrogazione della legge attuale sono stati la molla scatenante di questo processo o non hanno influenzato un lavoro che sarebbe comunque iniziato?
Nelle mie consultazioni ho trovato in entrambi gli schieramenti la consapevolezza della necessità di cambiare la legge elettorale, ma certamente il referendum è stato uno stimolo ulteriore.

Recentemente, due autorevoli esponenti delle due principali coalizioni, Veltroni e Fini, si sono espressi allo stesso modo degli utenti del nostro sito, indicando “il sindaco d’Italia” quale nuova legge possibile. Se si attuasse tale riforma, lei crede sia opportuno effettuare dei “ritocchi” alla costituzione italiana, ad esempio nella norma che non prevede l’elezione diretta del premier e di quella che non prevede l’automatica caduta del governo in caso di dimissioni del premier?
Una legge elettorale che indichi e faccia votare anche per il candidato alla Presidenza del Consiglio richiederebbe, senza alcun dubbio, innovazioni alla Costituzione. Un problema molto serio è poi quello che per gran parte del centrosinistra una tale scelta è inseparabile dal doppio turno, mentre il centrodestra non vuole rinunciare al turno unico.

Questa legislatura ha come evidente difetto la differente composizione tra Camera dei Deputati dove esiste una maggioranza netta, e il Senato dove c’è a stento una maggioranza. Lei ritiene che si possa varare una legge elettorale che elimini questo rischio o è possibile pensare alla fine del bicameralismo perfetto?
Un diverso criterio di assegnazione del premio di maggioranza al Senato potrebbe attenuare il rischio di differenti equilibri tra schieramenti tra le due camere, ma non eliminarlo del tutto. Per questo per me oggi la via maestra è quella del superamento del bicameralismo perfetto, attraverso la trasformazione del Senato in un Bundesrat italiano, cioè in una camera nella quale siedano i delegati delle Regioni, i sindaci delle città capoluogo di regione, i presidenti delle province più popolose di ogni regione oppure attraverso, la scelta di un Senato misto, come in Spagna, in parte elettivo, in parte rappresentativo delle autonomie.

Alla luce della sua esperienza politica personale, e del lavoro che sta effettuando in questi mesi, se lei avesse il potere di legiferare da solo, quale legge elettorale scriverebbe?
Se dovessi scegliere ciò che piace a me e avendo prima superato il bicameralismo perfetto, farei per la camera una legge con il sistema maggioritario a doppio turno alla francese, per il Senato – che non avrebbe più la fiducia e il controllo dei governi – una legge di tipo proporzionale. Ma dobbiamo fare leggi condivise e costruite da maggioranza e opposizione.

Quali tempi occorreranno, a suo giudizio, per approvare la nuova legge elettorale?
Se c’è una intesa è possibile ipotizzare un percorso di riforma che parta dalle singole e mirate modifiche costituzionali e approdi alla riforma elettorale vera e propria. Il tutto potrebbe giungere a compimento entro la fine del 2008.

In passato, l’approvazione di una nuova legge elettorale ha sempre coinciso con la fine della legislatura e l’indizione dei comizi elettorali. Lei crede che una approvazione molto prima del 2011 possa portare allo scioglimento delle camere ed al voto anticipato?
Se nella pienezza delle sue funzioni e della sua sovranità è il Parlamento a darsi una nuova legge elettorale, a mio avviso la questione non si pone. Fatte le riforme, solo i rapporti politici, i programmi e il consenso del Parlamento determinano lo svolgimento della legislatura.

Sempre a proposito di riforme istituzionali, c’è in cantiere anche la riduzione del numero dei parlamentari? Se si, di che ordine di grandezza si parla?
La riduzione del numero dei parlamentari è una necessità. Le istituzioni devono essere più snelle per funzionare meglio. Per me dovrebbero esserci 400 deputati e 200 senatori.

Nel 2005 lei è stato il Presidente dell’Ufficio delle elezioni primarie dell’Unione. Le primarie furono indubbiamente un successo oltre ogni aspettativa. Lei crede che si possa ipotizzare di “istituzionalizzarle” come negli Stati Uniti, o in Italia ciò è impossibile?
Quella delle primarie del 2005 è stata una grande esperienza democratica con una risposta sorprendente da parte degli elettori di centrosinistra, oltre 4 milioni di cittadini si sono messi in fila per votare il proprio candidato alla presidenza del Consiglio. L’Unione ha fatto propria quella esperienza e le primarie stanno diventando sempre più uno strumento con cui scegliere i candidati per tutte le elezioni a sindaco, presidente di provincia e di regione. Senza dubbio il centrosinistra non potrà scegliere senza primarie il candidato alla Presidenza del Consiglio. Ipotizzare un qualche tipo di istituzionalizzazione legislativa è collegato tuttavia al modello di legge elettorale che verrà scelto. In ogni caso le primarie rappresentano un momento importante di partecipazione. Noi non lo abbandoneremo.

Un’ ultima domanda: le chiediamo di togliersi la veste istituzionale ed infilarsi quella di esponente politico dei DS. Nel 2000 lei ha scritto il libro “ La Sinistra che vorrei”. A sette anni di distanza, quella sinistra ora esiste? E se dovesse scriverlo oggi, che sinistra si immagina tra sette anni?
In parte esiste, ma non in modo compiuto. Non sono sufficienti le idee, la cultura. C’è bisogno di un nuovo soggetto politico. Credo che la prospettiva del partito democratico possa essere un passo decisivo verso la realizzazione di quella “sinistra che vorrei”. Una forza politica che unisca le tradizioni riformiste del nostro paese: quelle che vengono dalla sinistra che si ispirava al socialismo, quelle del cattolicesimo democratico e sociale, quelle del filone liberaldemocratico progressista. Un partito che sia la casa delle grandi culture riformiste di questi anni: quelle dei diritti umani, dell’emancipazione della donna, dell’ecologismo. Se sapremo coinvolgere tutte queste forze, avremo vinto la sfida di costruire un moderno partito della sinistra europea, radicato nella società, basato su un modello partecipativo di cui il paese ha estremo bisogno. Incontro tante persone che mi dicono: «quando alle elezioni c’è l’Ulivo so per chi votare, quando non c’è non so più chi scegliere». Io sono per dare a questi cittadini – e sono tanti – un partito nuovo, aperto, democratico, al quale possano dare il loro contributo e nel quale possano trovare una ragione di impegno.
Tra sette anni spero vi sia in Italia una grande forza riformista e progressista, impegnata su pace, non violenza, sviluppo ambientalmente e socialmente sostenibile, promozione della dignità della persona. Una forza partecipe – in Europa e nel mondo – del rinnovamento delle forze progressiste.

Antonio D’Agostino