Articolo del Ministro Chiti pubblicato su L’informatore delle autonomie locali
Un vecchio adagio popolare recita: «per litigare basta una parola, per fare la pace ne occorrono migliaia». Questo detto, molto semplicemente, mette in evidenza la grande differenza che passa tra la contrapposizione e il dialogo.
La contrapposizione è facile, non richiede grossi sforzi, né particolari provviste di buona volontà e nemmeno speciali energie intellettuali. Per il dialogo, diversamente, è necessario un impegno considerevole, un lungo percorso fatto di parole spese (o meglio: investite) alla ricerca di una base comune su cui costruire concordia e condivisione. Che sia sempre preferibile quest’ultima strada, è qualcosa su cui possiamo facilmente convenire. Eppure, nel caso dell’Italia, la via del dialogo appare non solo la più giusta ma anche la sola in grado di portare a compimento un serio percorso di riforma e ammodernamento del Paese.
Da noi infatti, ogni volta che la sola parte politica al governo si è risolta ad avviare una riforma, approvandola a semplice maggioranza, i risultati ottenuti, nel migliore dei casi, sono stati parziali e discontinui, se non addirittura nulli (come nel caso della devolution). Anche la riforma del Titolo V, attuata sei anni fa dal precedente governo di centrosinistra è di fatto rimasta inattuata per tutti i cinque anni di legislatura del governo Berlusconi, nonostante la pressante richiesta da parte delle Regioni e dei Comuni. In quell’arco di tempo, si è semplicemente fatto finta che la riforma del 2001 non esistesse, mentre la Cdl si concentrava su una contraddittoria ed effimera devolution, non hanno avuto alcuna definizione i meccanismi di finanziamento di Regioni e Autonomie locali, previste dal nuovo Titolo V, così come i livelli delle prestazioni legati ai diritti sociali e civili.
La lezione che dobbiamo trarne è che non si possono fare riforme delle istituzioni a colpi di maggioranza. Al contrario, se vogliamo finalmente dare ai cittadini gli strumenti di cui il Paese ha bisogno per affrontare il futuro, dobbiamo costruire una base d’appoggio condivisa sulla quale edificare. E, come ha più volte sottolineato lo stesso Presidente della Repubblica Napolitano, è solo col dialogo che questa base comune può essere realizzata. Il governo, in tema di riforme, si muove appunto lungo questa linea.
L’Italia ha bisogno, innanzitutto, che sia attuato il Titolo V della Costituzione, approvato con i precedenti governi dell’Ulivo, di una nuova azione di ammodernamento e razionalizzazione, che consenta al Paese di affrontare e vincere le sfide del terzo millennio.
Sul federalismo ci sono state e continueranno a esserci occasioni di ascolto, dialogo e confronto tra le Autonomie locali e lo Stato centrale. Ma non solo. È importante ascoltare anche le università, le associazioni, le imprese che operano sul territorio, i cittadini che lo vivono. Il federalismo non può essere qualcosa di preconfezionato e calato dall’alto, altrimenti rischierebbe di contraddire la sua stessa natura, la sua stessa missione, che è quella di valorizzare le potenzialità di un territorio, aiutandolo a crescere e prosperare nel rispetto dell’armonia generale del Paese.L’Italia ha bisogno di un federalismo
solidale ed efficiente, che migliori e semplifichi la vita dei cittadini.
All’avvio dell’attività di governo, il Presidente Prodi mi affidò il compito di incontrare tutti i rappresentanti dei gruppi parlamentari di maggioranza e opposizione per raccogliere le opinioni di tutti e individuare i possibili punti di convergenza, circa le riforme istituzionali. Nel corso di quegli incontri, ho avuto modo di riscontrare che tutti gli schieramenti considerano prioritaria la rivisitazione
ed, al tempo stesso l’attuazione, del Titolo V della II parte della Costituzione. Buona parte del Titolo
V non ha ancora ricevuto attuazione, più precisamente le parti che riguardano il federalismo fiscale (art. 119 Cost.), il cosiddetto regionalismo differenziato (art. 116 Cost.) e alcuni aspetti dell’art. 118 in materia di assetto delle competenze amministrative (oltre che di rilancio delle Città Metropolitane previste con l’art. 114 ed istituitecon una legge praticamente non attuata del 1990).
Il nuovo Codice delle Autonomie Locali, segna un traguardo importante nel processo di ammodernamento del Paese e di attuazione di un federalismo efficiente ed equilibrato.Avrà il compito di attuare gli articoli 114,117 e 118 della Costituzione, che riguardano l’individuazione, l’allocazione e il conferimento delle funzioni amministrative spettanti a Comuni, Province,Città metropolitane e Stato. Si tratta di una vera e propria Carta fondativi dei rapporti tra diversi livelli di governo, attraverso la ridefinizione delle loro funzioni fondamentali per semplificare, ridurre i costi delle prestazioni, aumentare l’efficienza e consentire il controllo da parte dei cittadini.
In fatto di servizi, per esempio, tra le principali novità si avrà la possibilità per le persone di parlare con un solo interlocutore integralmente responsabile del servizio da fornire. Sarà più semplice ottenere ciò che si chiede e verificare eventuali disfunzioni. In altre parole, con il nuovo Codice delle Autonomie si definisce chi fa cosa, prevedendo per ogni Ente compiti precisi e non sovrapponibili: non ci saranno più due soggetti che svolgeranno la stessa mansione. Una volta concluso il percorso, che prevede una concreta concertazione con le Autonomie locali, il disegno di legge arriverà in Parlamento per un ampio confronto con tutti i gruppi parlamentari. Nel solco del dialogo, in fatto di riforme istituzionali e costituzionali, l’iniziativa del Parlamento è centrale per la realizzazione delle più ampie convergenze politiche. A tal fine, il governo intende concorrere con il Parlamento alla definizione del percorso riformatore, dal federalismo fiscale alla riforma elettorale, all’aggiornamento di singoli aspetti della Costituzione, quelli che riguardano la forma governo, il sistema parlamentare, la riduzione del numero di deputati e senatori. Anche per la legge elettorale ho avviato nei mesi scorsi un intenso percorso di consultazioni con tutte le forze politiche e i gruppi parlamentari, di maggioranza e opposizione.Da quel giro di consultazioni e dalle idee emerse abbiamo elaborato una «bozza» che verrà inviata entro febbraio a tutti i gruppi parlamentari e sulla quale,mi auguro, si potrà trovare una intesa che conduca le forze politiche a impegnarsi formalmente in questo percorso. Si tratta di avere il coraggio di rinunciare a posizioni di parte per dare priorità alle riforme concretamente praticabili, individuando un punto di equilibrio tra le esigenze di rappresentanza e quelle di governabilità e stabilità. Se manterremo questa impostazione e con coerenza guarderemo al bene dell’Italia, questa legislatura potrà portare a compimento un tragitto, già troppo lungo, di transizione. Potremo avere una legge elettorale condivisa; potremo avere singoli aggiornamenti della Costituzione votati insieme da maggioranza ed opposizione; potremo vedere funzionare il federalismo.
L’Italia sarà così un Paese moderno e unito, attorno a valori comuni, che precedono le legittime differenze di schieramento politico.
La Costituzione, confermata con il referendum del giugno 2006, è sentita dagli Italiani come valida e attuale non solo nei principi cardini ma anche nella struttura portante. Rappresenta il nostro riferimento comune. Condividerne i singoli aggiornamenti necessari, la porrà a fondamento non solo del presente, ma anche del futuro dell’Italia.
Vannino Chiti