Roma – Meglio procedere con calma, nel cammino verso il Partito democratico. Troppi strappi minacciati, troppe condizioni dettate. La scadenza? Il congresso fondativo nel 2008, fra due anni, suggerisce il ministro per le Riforme Vannino Chiti. E’ vero, tre giorni fa il premier Prodi aveva detto «avanti veloce». «Ma la velocità in politica è un concetto relativo», chiosa l’esponente ds.

Ministro Chiti, adesso anche dai popolari della Margherita arriva un nuovo invito alla prudenza. Non teme che il progetto si areni?
«I popolari sono essenziali per il processo di costruzione del Partito democratico, come lo è la nostra sinistra interna, nella Quercia. Hanno ragione gli alleati quando sostengono che la costruzione di un partito nuovo necessita di tempo, va fatta per bene. E per fortuna non siamo costretti a chiudere entro due mesi».

E quando, dunque? La base ve lo chiede con insistenza.
«Saremo pronti per le elezioni europee del 2009, l’esperienza elettorale più vicina. Il nostro obiettivo dovrà essere il congresso fondativo nel 2008, l’atto finale di un percorso che è già iniziato. Nei prossimi mesi, in autunno, un manifesto che metta a fuoco i valori a cui dovrà ispirarsi il nuovo partito, il progetto di società da lanciare, la collocazione internazionale e le regole interne. Un documento da discutere dentro i partiti. Poi, entro l’estate 2007, i congressi di Ds e Margherita».

Il Correntone e la sinistra vi chiedono il congresso subito.
«Hanno ragione nel dire che solo il congresso può avviare il processo costituente. Senza l’autorizzazione degli iscritti, siano essi di Ds o della Margherita, non si va da nessuna parte. Ma un congresso ravvicinato sarebbe un referendum sul Partito democratico e sarebbe sbagliato. Molto meglio confrontarci su una proposta concreta».

Nel frattempo Mussi, Salvi e gli altri minacciano di lasciare la Quercia.
«Non vogliamo correre il rischio di una scissione. A loro lancio un appello: siamo stati insieme in trincea tante volte, adesso costruiamo insieme la nuova forza, restate dentro e date il vostro contributo, anche critico. Poi decideranno gli iscritti al congresso. Una rottura sarebbe drammatica per le sorti del riformismo in Italia».

Ammetterà che ci sono delicati nodi irrisolti. A cominciare dalla collocazione internazionale. Il nuovo partito dovrà confluire nel Pse?
«Questo è il vero nodo. Capisco che la Margherita abbia difficoltà a identificarsi con la famiglia socialdemocratica europea. Il gruppo del Pse dovrà rinnovarsi, aprirsi alle altre componenti riformiste, magari chiamarsi gruppo dei socialisti e dei democratici. Ma una nuova, grande forza politica che vuole contare in Italia e in Europa, il Partito democratico, non potrà non fare riferimento al raggruppamento in cui convivono tutte le componenti progressiste: il Pse, appunto».

Ma Rosy Bindi non vuole «morire socialista».
«Speriamo di morire il più tardi possibile, ma se proprio dobbiamo morire, facciamolo laddove sono i progressisti europei, che è meglio».

Non teme che il braccio di ferro sul Partito democratico possa indebolire il governo Prodi?
«La tenuta del governo Prodi non motiva da sola la costruzione del nuovo soggetto, a questo scopo abbiamo già realizzato con successo i gruppi unici dell’Ulivo. Le tensioni sono fisiologiche e non turberanno il governo».

Capitolo riforme. Il presidente Napolitano ha suggerito di puntare su poche priorità. Come riprenderà il cammino dopo il referendum sulla Costituzione?
«Abbiamo già ripreso i fili del dialogo con la Cdl. Sto incontrando i rappresentanti di An, Lega, Udc. La Costituzione ha bisogno di ammodernamenti nella seconda parte, ma andranno realizzati col consenso più ampio. Cominceremo dalla riforma del titolo V della Costituzione. Il messaggio del referendum lo abbiamo recepito: mai più modifiche alla Costituzione realizzate dalla sola maggioranza».

Carmelo Lopapa