Roma – «Ho registrato un clima costruttivo, di disponibilità al dialogo. Non era scontato dopo la dura contrapposizione sul referendum. Ed è da questa apertura di credito che il governo intende partire per un’intesa bipartisan sulle riforme costituzionali. A cominciare dal Titolo V, per proseguire con la legge elettorale e la ridefinizione dei poteri del premier. Vannino Chiti, ministro per i Rapporti con il Parlamento e le Riforme è reduce da un giro di incontri con i gruppi parlamentari dell’opposizione. Dopo An, Udc e Lega, ieri è stata la volta di un faccia a faccia con una delegazione di Forza Italia.

Ministro Chiti, l’opposizione non ha chiuso le porte al dialogo. Ma quali sono le priorità da cui ripartire?
«Siamo d’accordo sulla necessità di ammodernare la seconda parte della Costituzione e di ripartire dal federalismo. Ci sono aspetti del Titolo V da attuare e altri da correggere. E’ una materia complessa, ma convergiamo ad esempio sulla restituzione allo Stato della competenza esclusiva in materia di grandi infrastrutture e reti energetiche. E mi sembra ci sia un’intesa sul fatto che la priorità delle priorità nell’ambito della rivisitazione del Titolo V sia la realizzazione del federalismo fiscale ossia l’attuazione dell’articolo 119 della Costituzione, con relativa definizione delle risorse, delle competenze e del fondo di solidarietà».

Niente devolution insomma?
«Non siamo entrati nello specifico di tutti i settori da riformare. E’ evidente però che se ognuno ripropone le posizioni per cui si è fatto il referendum non si fanno passi avanti».

Si entrerà nel merito delle riforme dopo la pausa estiva?
«Il governo non ha intenzione di sovrapporsi al lavoro parlamentare. E mi sembra che l’orientamento delle commissioni affari costituzionali sia quello di avviare prima un’indagine conoscitiva, da concludere entro fine anno, per esaminare tra l’altro il contenzioso Stato-Regioni alla luce delle sentenze della Consulta e gli esiti del trasferimento delle competenze dallo Stato centrale alle autonomie locali».

Se c’è l’intesa sul federalismo quali saranno i passi successivi?
«A quel punto si potrebbe tentare l’intesa, difficile, su come superare il bicameralismo perfetto. E continuare con la riduzione del numero dei parlamentari, la ridefinizione del ruolo del presidente del consiglio, fermo restando il nostro rifiuto del modello presidenziale, e la nuova legge elettorale».

La riforma della legge elettorale non avrà una corsia preferenziale?
«Non si tratta di un tema da avvio della legislatura, ma certamente la nostra intenzione è di non tornare a votare nel 2011 con la vecchia legge voluta dai centrodestra. Nel merito io preferirei un maggioritario a doppio turno ma mi pare ci siano maggiori chances per un impianto di riforma elettorale proporzionale con sbarramento alla tedesca».

E sul presidente del Consiglio ci sono intese a portata di mano?
«Ho registrato ampie convergenze sulla possibilità di conferire al presidente del Consiglio il potere di revoca dei ministri. E c’è una disponibilità nel centrodestra attorno alla sfiducia costruttiva, ma permangono interpretazioni diverse sulla possibilità che il nuovo governo possa fare riferimento o no alla stessa maggioranza parlamentare».

Ministro lei parla di clima di dialogo, eppure secondo Calderoli a sinistra non tutti sono d’accordo con questa strada bipartisan.
«Al primo punto del programma dell’Unione sulle riforme costituzionali si parla della necessità di coinvolgimento dell’opposizione. Non vedo dove sia il problema. E comunque il dibattito sulle riforme dovrebbe restare fuori dalla polemica politica di tutti i giorni.

Andrea Gagliardi