INTERVISTA a REPUBBLICA sede di FIRENZE (Simona Poli)
“Votare significa schierarsi dalla parte della vita e non il contrario. Chi andrà ai seggi lo farà soprattutto per affermare la laicità dello Stato, che impone di distinguere tra convincimenti privati e libertà di scelta collettiva”. Vannino Chiti non parla solo come dirigente nazionale dei Ds ma anche come cattolico. Il suo appello contro l’astensione è rivolto in ogni direzione: ai credenti, ai parlamentari, agli uomini delle istituzioni, ai rappresentanti della Chiesa.
Crede che il quorum sarà raggiunto?
“Credo che sia possibile raggiungerlo, anche se sono stati messi per la prima volta in campo ostacoli inusitati. Questa campagna per l’astensione costituisce un precedente grave, a partire dalla scelta del governo di fissare la data il 12 e 13 giugno. C’è poi la questione dell’elenco degli italiani all’estero, mai ripulito, e dell’impedimento della facoltà di voto per i 40.000 soldati impegnati tra Iraq e missioni di pace all’estero”.
E c’è l’invito esplicito all’astensione da parte della Cei.
“E non solo. Considero legittima, anche se per me errata, non l’indicazione dei valori ma quella di voto da parte della CEI. Grave, sottolineo molto grave è l’invito che arriva dai presidenti di Camera e Senato e anche da vertici di istituzioni locali. È un fatto inedito e molto serio. La non partecipazione al voto in un referendum è una scelta legittima ma è cosa ben diversa fare una campagna massiccia perché la non partecipazione non sia più una scelta individuale. Soprattutto, lo ribadisco, non può esserne protagonista chi rappresenta una istituzione. Su questa valutazione sono d’accordo con Fini. Ho apprezzato il suo contributo. Del resto il referendum è una scelta di civiltà, non una battaglia laici-cattolici o destra-sinistra”.
Non è la prima volta che succede, sull’articolo 18 i Ds fecero altrettanto.
“Sull’articolo 18 fu data un’indicazione ma non venne messa in piedi una campagna. I politici, i parlamentari, chi rappresenta le istituzioni non dovrebbe mai invitare i cittadini a rinunciare a un diritto”.
Che cosa rappresenta per lei, cattolico, il veto di Ruini?
“Prima di tutto rappresenta un errore. Non rimpiango i tempi in cui la Chiesa aveva un partito politico di riferimento, la Dc. Preferisco il pluralismo per i cattolici nelle scelte politiche. Nessuno può chiedere alla Chiesa il silenzio. L’errore per me è aver dato un’indicazione specifica di comportamento elettorale. Come può la Chiesa difendere questa legge, per vari aspetti profondamente sbagliata ed ingiusta? Equivale nei fatti ad assumersene una paternità”.

Il dibattito sta assumendo i toni di una crociata ideologica. La gente andrà a votare davvero informata?
“La campagna astensionista diffusa ha impedito un vero confronto di merito e anche chi vuol difendere questa legge rischia di essere messo fuori gioco. Se vincessero i “no” il Parlamento non potrebbe toccare questa legge, se invece fallisse il quorum non ci sarebbe nessuna ragione in teoria per non modificarla. Giocare sul quorum ha reso un cattivo servizio. Penso comunque che chi andrà a votare lo farà per difendere il principio che nessuno può impedire agli altri di fare una scelta che personalmente non farebbe”.
Lei voterà quattro sì?
“Sì, per tutelare la salute della donna e del bambino; per favorire, anche in Italia come nel resto del mondo, la ricerca scientifica che può sconfiggere malattie gravi; per facilitare le coppie sterili che ricorrono a una scelta così difficile come la fecondazione eterologa. Non è giusto che per far questo si debba andare all’estero e oggi, se non si hanno molti soldi da spendere, in nazioni come l’Ucraina che non garantiscono sicurezza”.
Anche lei teme che possa essere rimessa in discussione la legge sull’aborto?
“Questo è inevitabile, sarebbe pura ipocrisia non dirlo. La questione dell’embrione e dei suoi diritti è tema di dibattito e non si decide certo in un articolo di legge. Perché si è voluto inserirla nella 40? Nessuno nega che l’embrione sia un progetto di vita e come tale abbia una sua dignità. Ma può svilupparsi e diventare vita reale solo nel corpo della donna, non è indipendente. Una volta equiparato lo status giuridico dell’embrione a quello della donna, invece, la ricaduta non può che essere prima o poi la modifica della 194. Il feto, da tutti i punti di vista, è ben più di un embrione. Su questo è bene riflettere”.
Perché in Italia sulle questioni etiche il Vaticano compie invasioni di campo nel territorio di competenza dello Stato?
“La Chiesa rischia di riacuire le distanze con la comunità scientifica che Giovanni Paolo II aveva cercato di recuperare, basti pensare alla riabilitazione di Galileo. Adesso assistiamo a una nuova divaricazione, con gli scienziati, con le donne, con i giovani. E non se ne sentiva il bisogno. Ho visto che il cardinale Tettamanzi teme divisioni tra i cattolici. Ed è grave che i cittadini non siano considerati in grado di correggere quattro punti di una legge su cui il Parlamento si è già espresso. Secondo me invece gli italiani hanno tutti gli strumenti per poter decidere su questioni che riguardano la loro vita. Così funziona la democrazia”.

9 giugno 2005