Commemorazione ufficiale Vice Presidente Sen Vannino Chiti

L’Eccidio

Vorrei ricordare innanzitutto i fatti così come si sono svolti, ripercorrere la vicenda dell’eccidio dove persero la vita 159 detenuti del carcere di Malaspina. E’ questa una delle pagine più tragiche della storia dell’occupazione nazifascista in queste terre che hanno subito la violenza dei tedeschi in ritirata in modo particolarmente atroce. Per il numero delle stragi che hanno avuto luogo in tempi molto ravvicinati; delle rappresaglie ingiustificate che hanno colpito interi villaggi, popolazioni civili inermi, anziani, donne e bambini.
Nel carcere di Malaspina erano rinchiusi detenuti comuni provenienti dalla prigione penale sgombrata in precedenza, insieme a loro i prigionieri politici: rinchiusi per le ragioni più svariate, spesso futili, come non di rado accadeva in quei tempi.
Molti dei prigionieri di Malaspina si trovavano nel carcere per essersi sottratti al servizio nelle Rsi.

I tedeschi decisero di uccidere tutti i prigionieri di Malaspina che consideravano d’impaccio per la loro ritirata.

Un primo gruppo di detenuti fu prelevato il 10 settembre. Insieme a loro c’erano anche alcuni monaci della Certosa della Farneta di Lucca. A scaglioni furono trasportati in diverse località periferiche della città per poi essere fucilati.

L’obiettivo era quello di terrorizzare la popolazione, spingendola a lasciare la città entro il 15 settembre.

Nei giorni che seguirono i nazifascisti si accanirono contro la popolazione della zona, perpetrando numerosi atti di forza e di violenza. A Tenerano il 13 settembre, durante un rastrellamento, uccisero 10 persone, sterminarono due intere famiglie con i loro bambini, bruciando alla fine le loro case. I pochi superstiti hanno raccontato nelle loro memorie di aver sentito i soldati tedeschi cantare dopo il massacro. A Monzone, nella notte del 14 settembre, vennero uccisi 18 detenuti politici.
Il 16 settembre accadde la rappresaglia di Bergiola Foscalina con l’uccisione di 72 civili in gran parte donne e bambini.
E il 16 settembre con il massacro del Frigido si conclude la sequenza di stragi. La mattina i tedeschi prelevarono i restanti prigionieri del carcere di Malaspina. Si trattava di persone in gran parte malate e inferme, molte delle quali avevano bisogno dell’aiuto delle stampelle per camminare. Nel carcere le loro condizioni di vita erano assai difficili. Ai detenuti fu detto che sarebbero stati trasferiti in una prigione settentrionale. Furono quindi caricati sui camion per agevolarne meglio il trasporto, dato che molti di loro erano in barella. Probabilmente i camion vennero crudelmente usati anche per rendere più credibile la storia del trasferimento.
I detenuti vennero portati sulla riva del fiume Frigido, sui bordi di tre crateri scavati da un bombardamento alleato, là 159 persone vennero allineate e falciate dalle mitragliatrici. I crateri divennero le loro fosse comuni.
Si salvarono solo i tre inservienti del maresciallo delle SS.

I resti

Ai morti non fu data una sepoltura vera e propria. Furono appena ricoperti da uno strato di terra. Ci si accorse del massacro soltanto giorni dopo quando nella zona si cominciò a sentire il cattivo odore proveniente dai cadaveri.
Soltanto dopo la Liberazione, nel ‘47, le salme furono ricomposte e seppellite nel cimitero del Mirteto. Non fu però possibile riconoscere tutti i corpi delle vittime, quelli identificati furono soltanto 63. Gli altri vennero individuati grazie agli archivi del tribunale.

La brutalità

L’eccidio delle Fosse del Frigido fu compiuto nel totale disprezzo della vita umana. Senza nessuna pietà per le vittime che vennero uccise con l’inganno, i loro corpi disprezzati, le loro vite consegnate all’oblio.

Ricostruire la storia di quegli anni

Ricostruire le loro storie non è solo un compito degli storici, è un dovere per tutti noi cittadini. E’ giusto riconsegnare la memoria di queste persone ai loro parenti, alla collettività alla quale appartenevano e appartengono, a tutti noi.
Grazie allo sforzo di molti ricercatori e storici, all’impegno di gente comune, di molti familiari delle vittime, all’impegno di amministratori locali che si sono interessati, perché avevano a cuore la storia delle loro terre, grazie allo sforzo di una parlamentare come Elena Cordoni che ha messo sempre tutto il suo impegno per tramandare la memoria, presentando una proposta di legge in Parlamento per l’istituzione del Parco della Memoria alle Fosse del Frigido e di tanti altri ancora, qui in Toscana e in altre parti d’Italia, molte di queste storie stanno venendo alla luce.
Le recenti ricerche d’archivio hanno portato alla ricostruzione quasi completa delle vite di quelle persone. Al riconoscimento delle loro provenienze e nazionalità.
I detenuti del carcere di Malaspina venivano da 61 province, c’erano tra loro soldati di nazionalità albanese, libica e svizzera.
La storia di uno di loro, Carlo Ferrari, è stata ricostruita di recente. Ferrari era stato dato per disperso, nessuno sapeva che fine avesse fatto. Era stato ucciso a 19 anni, sul fiume Frigido, arrestato come disertore rispetto al bando della Repubblica di Salò.
Ricordare queste vite è una cosa che ha grande valore. Come è importante avere ridato dignità umana a queste persone dopo tanti anni. E’ importante trasmettere la memoria ai giovani e mantenere il dialogo tra le generazioni. Un filo rosso che non deve spezzarsi mai.

La storia appartiene a tutti

Anche se le storie di quegli anni sono storie terribili non bisogna aver paura di raccontarle ai giovani. Né pensare che sia inutile e che non abbia significato; che i giovani non siano interessati perché invece essi vogliono sapere. La storia appartiene a tutti, senza una storia comune una nazione non esiste.

L’occupazione nazifascista anche in Italia ebbe caratteristiche particolarmente crudeli. Le stragi compiute in tutta la Toscana e in particolare qui sulla linea gotica, la linea dove i tedeschi si assestarono per resistere agli alleati, ne rappresentano una tragica testimonianza. I tedeschi adottarono il criterio della distruzione totale, della terra bruciata, seminando distruzione e morte dappertutto.
Le stragi nazifasciste ebbero come obiettivo l’annientamento totale dell’altro, la distruzione della persona, attraverso lo sterminio di paesi, villaggi, la distruzione fisica dei corpi. L’odio razziale era una delle ragioni alla base di questi comportamenti.

I responsabili

E’ motivo di grande amarezza per tutti noi che per molti di questi eccidi i responsabili non siano stati puniti, in alcuni casi neppure individuati. E’ ora di riprendere questi processi, mandarli avanti per dare nome e cognome ai responsabili, che sono criminali dell’umanità, che la storia ha già giudicato. E’ un atto di giustizia dovuto alla memoria delle vittime e ai loro parenti. L’individuazione di tutti i responsabili delle stragi sarebbe un momento importante per la nostra democrazia.

La violenza nazifascista

La furia nazista si scatenò in Italia e in Europa con caratteristiche di violenza e di odio tali che non avevano precedenti. La dittatura fascista, le leggi razziali, l’occupazione nazifascista furono esperienze inedite per tutta la nostra popolazione.

La nostra storia

Questa è la nostra storia. E’ quello che è accaduto in Italia e che è giusto ricordare.
Così come è giusto ricordare la Lotta di Liberazione e tutti quelli che che si ribellarono al nazifascimo.

Tutti quelli che dopo lo sbandamento dell’8 settembre scelsero di difendere la Patria combattendo contro i tedeschi.
Difesero la patria di tutti noi, colpita, umiliata e venduta ai nazisti dalla dittatura fascista e dalle leggi razziali.
Quelli che scelsero la Resistenza fecero la scelta giusta.
Una scelta compiuta da un’intera generazione di giovani che guardava al futuro. Giovani che seppero non fuggire di fronte al disastro della patria, non essere indifferenti ma assumersi in pieno la loro responsabilità, agire.
Vorrei ricordare le parole di Bruno Trentin, che da giovane a soli 17 anni prese parte attiva alla Resistenza. Ci ha lasciato una testimonianza con le momerie di quei giorni. Un diario di cui non aveva parlato prima a nessuno. Un diario scritto in francese, nel quale spicca una frase in italiano: tempo perduto, e ora all’opra.
E’ tempo di agire di lottare per la patria. La lotta era qualla della Liberazione. La Resistenza i cui valori sono nella nostra Costituzione, alla base della nostra Repubblica democratica.

Ma la Resistenza italiana, è bene dirlo, fu anche un fatto di popolo. Non fu solo quella combattuta dai partigiani sulle montagne e nelle grandi città, ma anche quella combattuta da un’intera popolazione che partecipò in vario modo alla lotta di Liberazione, con atti di coraggio e solidarietà. Come la storia di queste terre dimostra.
Fu la Resistenza di una popolazione che subì l’orrore delle stragi e delle rappresaglie nazifasciste e che ha saputo resistere tenendo alta la dignità umana e morale, difendendo il valore della persona.

I valori di quei giovani sono nella nostra Costituzione. La Resistenza ha rappresentato il momento fondante della nuova Italia Repubblicana. Una Costituzione ancora attuale e densa di significato, Un albero rigoglioso di cui la Resistenza rappresenta la sua radice irrinunciabile.
Alla fine della guerra fecero parte dell’Assemblea Costituente tutte le componenti politiche e culturali che avevano preso parte alla Resistenza. La nostra Costituzione esprime, nei suoi principi fondamentali i valori del popolo italiano, maturati durante le terribili esperienze di quegli anni: il fascismo, la seconda guerra mondiale, l’occupazione tedesca.
Rappresenta un momento di profonda unità nazionale.

I principi della nostra Costituzione riguardano i diritti dell’uomo, i doveri di solidarietà politica e sociale, le pari dignità tra uomo e donna, la libertà di religione, il ripudio della guerra. Sono principi alti che si fondano su quelle esperienze. Sono i valori che appartengono a tutto il popolo italiano.

L’Antifascismo

Pochi giorni fa l’Unità ha pubblicato una lettera di una donna, le cui parole mi hanno profondamento colpito. Una lettera che descrive una pagina di storia del nostro Paese. “Avevo circa cinque anni, quando chiesi a mia nonna per quale motivo si definisse antifascista – scrive Valentina Rinaldi – Lei mi prese sulle ginocchia e mi raccontò la sua storia. Quinta di cinque figli, genitori contadini, lavoravano la terra del padrone dall’alba al tramonto, non andò mai a scuola perché a casa c’erano solo un paio di scarpe e lei si vergognava di andare a scuola scalza. …. Un giorno – mi disse – diventai antifascista anch’io». Un giorno suo fratello camminava nel centro del paese. Aveva diciotto anni, era bello, almeno così diceva mia nonna. Incontrò dei vecchi conoscenti, un gruppo di paesani che indossavano le camicie nere e i baschi col pennacchio. Non erano mai stati amici ma neanche particolarmente nemici. Ma loro sapevano le idee socialiste che giravano nella casa paterna di mia nonna. Questo bastò. Gli diedero una coltellata alla pancia. Ansimante cercò di arrivare a casa tenendo le viscere premute sulla pancia con le mani, mentre loro lo seguivano deridendolo. Non vi arrivò mai. Morì così, a diciotto anni, ucciso da un gruppo di fascisti, quelli con cui prima dell’avvento della dittatura spesso si era incontrato nei giochi dei bambini.
Da allora mia nonna capì l’orrore del fascismo, l’aberrazione dell’uomo di fronte alla dittatura, la precarietà della vita e l’importanza delle idee”.

L’antifascismo è un valore di tutta la popolazione, un bene comune, per tutti noi, raggiunto attraverso i sacrifici di tanti.
Non dovrebbe entrare nelle polemiche politiche. E’ un valore del nostro popolo che è alla base della nostra democrazia. Un valore che ci ha unito e che continua ad unirci. Nel ricordo di chi ha combattuto per la libertà e la democrazia, e contro la dittatura.

La polemica attuale

Si è aperto in questi giorni un dibattito sull’antifascismo e la Repubblica di Salò.
Qualche commentatore politico ha sottolineato l’assurdità di questo dibattito dopo 60 anni.
Ma l’assurdità è data dal fatto che in Italia una parte della destra fa i conti solo ora con queste scelte. Altrove, in Europa, in paesi come la Francia e la Germania, le destre si sono riconosciute sin dall’inizio nei valori dell’antifascismo che ha permesso loro di acquistare un’ identità liberale che hanno mantenuto nel corso degli anni fino ai giorni nostri. In Italia questo non è accaduto.

Di recente ci sono state su questo tema affermazioni importanti e nette da parte di Gianfranco Fini. Il Presidente della Camera, davanti ai giovani di An, ha dichiarato con chiarezza che chi ha combattuto nella Repubblica sociale stava dalla parte sbagliata, mentre chi ha combattuto nella Resistenza era dalla parte giusta e che l’antifascismo è un valore della nostra Repubblica.
Destano però preoccupazione le reazioni successive di altri esponenti di An e dei giovani che non si sono riconosciuti nelle parole di Fini. Restano in Alleanza Nazionale grosse ambiguità sulla questione dell’antifascismo, frutto del fatto che è mancata su questi temi una riflessione profonda.

Occorre onorare la memoria di chi perse la vita per affermare i valori dell’antifascismo. Trasmettere la memoria ai giovani di chi lottò per la libertà e per i diritti.

La lettera è di Valentina Rinaldi, pubblicata sull’Unità dell’11 – 9 – 2008