In questi giorni le notizie che ci vengono dall’Inghilterra mi colpiscono, preoccupano, addolorano. Su un lettino di ospedale, Alfie viene fatto morire, contro la volontà dei suoi genitori. Si staccano le macchine che lo tenevano in vita. La morte seguirà per soffocamento. Lo hanno deciso i medici del Servizio sanitario e i giudici. È la seconda volta: prima era toccato ad un altro bambino, Isaiah. Io sono d’accordo con il testamento biologico: in parlamento, pur individuandovi alcune carenze e qualche punto di possibile modifica per me migliorativa, ho votato la legge. Nei casi di Isaiah e Alfie non si è di fronte a esperienze di testamento biologico: siamo oltre la stessa eutanasia, che io non condivido. Questi per me sono omicidi di Stato. I genitori ai quali è affidata la responsabilità dei bimbi, erano contrari a staccare le macchine: contro la loro volontà si è data la morte a degli innocenti. Ho apprezzato il governo italiano: si è mosso con responsabilità, coerenza, nel segno della giustizia. Aveva concesso a Alfie la cittadinanza del nostro paese per dargli una speranza di vita. Papa Francesco è intervenuto più volte. Tutto inutile. La macchina di morte non si è arrestata. Resto impressionato dal fatto che gran parte dei media affronta allo stesso modo la fine di Alfie e la nascita del terzo figlio della coppia reale inglese. Allo stesso modo una parte consistente dell’opinione pubblica, che si interroga sul nome che verrà dato al principino. Chiariamo subito che auguro ogni bene al piccolo principe. Lui non ha nessuna colpa dell’attenzione suscitata e della diffusa indifferenza per la sorte di Alfie. Siamo tutti noi i responsabili e occorrerà darsi una mossa, impegnarsi su questi temi, scendere in campo finché si è in tempo. Attenzione perché secondo me si sta superando il confine che segna il terreno della civiltà. È necessario affermare nelle nostre società la priorità della persona e della sua dignità, difendere e valorizzare la vita umana. Se non sorge e si realizza questa nuova etica, se non vincono questi valori, la nostra vita, quella di ognuno e prima ancora quella dei più poveri, degli emarginati, dei portatori di handicap sarà affidata alle fredde decisioni orientate non dall’amore ma dai calcoli di utilità economica, dalle risorse finanziarie da impiegare o risparmiare. E che dire del “pilatismo” della Corte europea dei diritti umani, che considera non ricevibili le richieste dei genitori dei bambini che vengono condannati a morire, mentre si occupa di tutto il resto, dimostrando così di non poter essere all’altezza delle sfide che questo nostro tempo ci impone. Vedo di fronte a noi, in un futuro che non è detto sia lontano, ma che anzi sta già compiendo passi non trascurabili, l’avvento di una società di mercato, orientata esclusivamente dalla logica della ricchezza, dell’egoismo, dell’arbitrio e dello scarto delle persone. Finché si è in tempo muoviamoci lungo un percorso che va in un’altra direzione: quella della dignità della vita, della sua tutela e valorizzazione, quella della solidarietà e fraternità.