Il senatore uscente: «Il mio decalogo per un nuovo centrosinisfra europeo». Preoccupato è dire poco. Vannino Chiti, senatore uscente del Pd e non ricandidato per scelta, legge degli scontri quasi quotidiani tra il suo partito e Liberi e Uguali, e ad inquietarlo non è solo il possibile risultato alle elezioni politiche ma anche il post 4 marzo. «Il rischio è consegnare a questa destra italiana, che non è quella della Merkel ma è a trazione lepenista, o al populismo dei Cinque Stelle città storicamente governate dal centrosinistra, come Pisa, Siena, Massa. E anche la Regione Toscana», dice Chiti, che oggi pomeriggio presenterà a Firenze il suo ultimo libro La democrazia nel futuro. Le nuove sfide globali, il caso Italia e il ruolo del centrosinistra (appuntamento alle 17:30 alla Red Feltrinelli).

Chiti, lei ha deciso di non correre a queste elezioni. Si sente più leggero, vista anche la china che sta prendendo la campagna elettorale per il Pd?
«Non mi sento un pensionato della politica, se è questo che mi chiede (ride, ndr). Vivo questa campagna da militante impegnato a far vincere il suo partito e il centrosinistra».

Quale «centrosinistra»? Sabato scorso Renzi e Grasso si sono sfidati a distanza, uno a Scandicci e l’altro a Firenze, senza neanche citarsi per nome. E non passa giorno senza che volino coltellate tra Pd e LeU.
«Seguo tutto questo con preoccupazione. Io nel Rosatellum volevo introdurre il voto disgiunto, che avrebbe reso praticabile almeno la desistenza nei collegi e quindi abbassato la conflittualità. Questa pessima legge elettorale, che è il motivo per cui non mi sono voluto ricandidare, fa danni anche sotto questo aspetto, il nostro problema ora è trovare una strada per ricostruire un centrosinistra nuovo e credibile in Toscana e in Italia. Se non ci riusciremo, io vedo soltanto buio davanti a noi. Tra pochi mesi si vota a Massa, Siena e Pisa, tra un anno a Firenze, nel 2020 perla Regione…».

E se Pd e LeU non faranno un’alleanza, c’è il rischio che questi Comuni e la Regione vadano al centrodestra o al M5S?
«Il rischio è reale e sarebbe da irresponsabili non affrontare la questione. Guardi che a Pistoia, alle ultime Amministrative, abbiamo perso perché il 15% degli elettori del centrosinistra sono rimasti a casa. La destra ha preso gli stessi voti del 2012, mentre nel nostro campo c’erano 4 candidati sindaci: divisioni tutte interne al recinto della politica politicante, che i cittadini neanche vedono. E quando le capiscono si arrabbiano, perché i problemi veri sono ben altri: la perdita del lavoro, il collasso delle prospettive e tutte le ricadute della crisi economica».

Sì, ma come si ricostruisce il centrosinistra?
«Prima di tutto mettendo da parte le pregiudiziali personali: non è un mostro D’Alema e non è un mostro Renzi. Poi ricordandosi che in questa campagna elettorale gli avversari di Pd e LeU sono la destra e i Cinque Stelle. Infine aprendo un confronto serio sulle priorità di governo: non serve un nuovo contenitore ma contenuti innovativi, con la stella polare dell’europeismo».

Ma una parte di LeU non vuole accordi con il Pd.
«Infatti la domanda che mi faccio è: in LeU prevarrà la sinistra che vuole governare o quella che vuole fare testimonianza? Io non ce lo vedo Enrico Rossi dentro ad una forza che vuole essere minoritaria, né ci vedo Bersani. Per questo ho apprezzato gli appelli all’unità fatti da Enrico e dal nostro vicesegretario regionale Antonio Mazzeo».

Chiti, lei ora che farà?
«Ora sto preparando una lettera per il mio successore alla presidenza della commis¬sione Politiche della Uè del Senato: gli impegni presi in questi 5 anni, i problemi aperti, le cose su cui auspico ci sia una continuità. La commissione ha lavorato su questioni molto concrete: l’idea di liste transnazionali per la ripartizione di quei seggi del Parlamento Uè che erano del Regno Unito, quella di far coincidere il presidente della Commissione europea e quello del Consiglio europeo, il rafforzamento po¬litico e democratico dell’area euro».

E se il suo successore sarà un Cinque Stelle?
«Mi aspetto che la lettera venga letta, chiunque sarà il presidente. Do per scontato che in Parlamento ci va chi sa leggere».