Dopo 16 anni in Parlamento era giusto lasciare. Ma la decisione finale l’ho presa dopo quanto avvenuto sulla legge elettorale, piovuta in Senato con un voto di fiducia: per me è stata l’ultima goccia”. In una mattinata romana il senatore Vannino Chiti ragiona di passato prossimo e di futuro. Cresciuto nel Pci, presidente della Regione Toscana, ministro con Romano Prodi e sottosegretario a Palazzo Chigi con Giuliano Amato, non si ricandiderà. Cercherà di aiutare da fuori quel Pd che ancora difende: “L’idea era buona, però non le abbiamo dato le gambe giuste”. Contrario alle riforme renziane, ha comunque sostenuto il Sì nel referendum perché “ci furono correttivi concordati con la minoranza e pacta sunt servanda”, e ha disapprovato la scissione di Mpd. Di questo e molto altro scrive nel libro La democrazia nel futuro (Guerini e associati). 
Lei parte dalla crisi della sinistra in tutto l’Occidente. Ma perché questo tracollo?

La sinistra è stata subalterna rispetto alla globalizzazione. Non aveva gli strumenti per governarla, perché non ha saputo affrontarla in ottica internazionale, l’unico modo con cui si poteva gestire. Ogni partito europeo è rimasto chiuso nei confini nazionali.
Perché la globalizzazione ha prevalso così facilmente?

Perché si veniva anche dalla sconfitta dell’Urss e del socialismo reale. Non palpitavo per quel sistema, ma per quel crollo hanno pagato tutte le forze socialiste: l’alternativa al capitalismo aveva fallito. 
Negli anni ‘90 a sinistra furoreggiava la “terza via”. 

Doveva essere un modo di sinistra per orientare la globalizzazione. L’idea era che il pubblico lasciasse spazio anche al privato, per esempio nel welfare, e che fosse necessario attenuare le regole nell’ambito del lavoro. Ma non ha funzionato. 
Uno degli apostoli della terza via era Tony Blair. 

Veniva in vacanza ogni estate in Toscana, quando governavo la Regione. Una volta mi disse che voleva portare la Gran Bretagna nell’euro. 
Blair disse di avere un erede italiano, Matteo Renzi. Lei l’ex premier quando l’ha conosciuto?

Quando ero presidente regionale. Fu a un dibattito pubblico a Pontassieve (Firenze), dove presentavo un libro. Non ricordo cosa disse, quindi non rimasi molto colpito. Poi nel 2001 ci sentimmo molto per le Politiche. Da coordinatore della Margherita, lui appoggiò la mia candidatura nel collegio uninominale di Firenze. A coordinare il mio comitato elettorale era Dario Nardella. E il mio avversario era Denis Verdini. 
Quanto è stretto il legame tra Verdini e Renzi?

Hanno relazioni pre-politiche. Il senatore aveva rapporti con il padre e la sua famiglia. 
Poi sono arrivati i rapporti politici…

Verdini è stato il ponte tra Renzi e Berlusconi: è un pragmatico. 
Fu pragmatico anche quando a Firenze candidò contro Renzi l’ex portiere di calcio Giovanni Galli?

Senza dubbio. 
Lei come si trovava con l’ex premier?

Con me è sempre stato corretto. Nel 2009 mi chiese di fare il sindaco di Firenze, perché voleva rimanere presidente della Provincia. Ma ho avuto forti dissensi politici con lui, a cominciare dall’uso del termine rottamazione.  
Lei racconta di vari incontri in cui discutevate di legge elettorale e riforme. Renzi le rispondeva sempre che bisognava fare in fretta. 

La velocità e lo svecchiamento servono. Ma il come? E la condivisione?
Renzi affonda sulla riforma costituzionale. 

L’errore principale è stato non dividerla in più leggi costituzionali. E poi il Senato avrebbe dovuto diventare un vero Bundesrat sul modello tedesco, espressione delle Regioni. Oppure restare elettivo.
Lui non capiva?

Renzi riconosceva i difetti della riforma. Ma l’unica cosa che gli premeva era il taglio dei costi. Lo ripeteva sempre. Voleva inseguire i grillini sul loro terreno: errore grave. 
Lei scrive di “accecamento” nel Pd dopo il 40,8 nelle Europee. 

Erano meno voti di quelli presi da Walter Veltroni nelle Politiche del 2008, ma nessuno lo notò. E nel Pd per lungo tempo nessuno ha osato muovere appunti al segretario. Io gli riconosco doti, come il coraggio e la capacità di lavoro. Ma gli ho sempre detto ciò che ritenevo giusto. 
Lei scrive: “Non ci possono raccontare che il patto del Nazareno è saltato per l’elezione di Mattarella al Quirinale”. 

Le intese vanno fatte in modo trasparente, altrimenti restano dubbi. Non so cosa prevedesse, e perché venne meno.
Lei definisce il giglio magico “inadeguato”. 

Renzi si è circondato di persone inesperte e incompetenti. 
E la Boschi sul caso banche, come la giudica?

Occuparsi del proprio territorio non mi pare un problema, e certi attacchi nei suoi confronti sono stati vergognosi. 
Ma?

Io le rimprovero errori politici. E il primo è stata la mozione del Pd su Bankitalia (quella contro il governatore Visco, ndr), autogol clamoroso. Boschi conosceva quel testo? Il premier Gentiloni non è stato coinvolto: al posto del premier avrei fatto in modo che lei salutasse. 
Il secondo errore?

La commissione sulle banche. Andava fatta nella prossima legislatura, con una chiara conclusione temporale. 
Ora come si riparte? Il Pd se la vedrà anche con LeU. 

Io ero contrario alla scissione, le fratture non hanno mai giovato alla sinistra. Ma stimo Pietro Grasso, e penso che vada ricostruito un centrosinistra plurale, al più presto. 
Il Pd rischia di scomparire in caso di sconfitta?

Potrebbe accadere in caso di alleanza con Forza Italia. In quel caso verrebbe meno la speranza di ricostruirlo. 
Chiti, ora cosa farà?

Politica, perché è la mia vita. Lavorerò per la riunificazione della sinistra. Ma devo ancora capire come. 
Luca De Carolis