Articolo del senatore Vannino Chiti, estratto dal suo nuovo libro “La democrazia nel futuro. Le nuove sfide globali, il «caso Italia» e il ruolo del centrosinistra”, Edizioni Guerini e Associati. In libreria dal 10 gennaio.

Esce oggi il libro di Vannino Chiti “La democrazia nel futuro. Le nuove sfide globali, il caso Italia e il ruolo del centrosinistra”. Edizioni Guerini&Associati. Nel racconto del senatore del Pd anche il retroscena dei giorni convulsi che portarono alla proposta di riforma costituzionale poi bocciata dal referendum: “si procedette non con una discussione nei gruppi parlamentari, ma seguendo la strada della normalizzazione, apparentemente più agevole e sbrigativa, nel concreto più lacerante e priva di prospettive. Prima Mauro per decisione del suo gruppo fu allontanato dalla Commissione; poi, l’11 giugno, la Presidenza del gruppo del Pd dimissionò Mineo e me. Io addirittura fui spostato dalla Commissione. Eletto presidente della Commissione per le Politiche Ue, secondo il regolamento del Senato, come per i membri del governo, ero sostituito dalla Commissione di prima nomina, in questo caso quella Affari Costituzionali, da un senatore dello stesso gruppo parlamentare. Certo, se mi fossi notte tempo dimesso da Presidente, sarei tornato a tutti gli effetti a far parte della Commissione Affari Costituzionali. La decisione della presidenza del gruppo del Pd ci apparve un atto di rottura. E anche lesiva della nostra dignità e lealtà politica. Ci eravamo sempre mossi conducendo le battaglie a viso aperto, non con trame o congiure.
Intendiamoci: un gruppo parlamentare ha il diritto di assicurarsi che le decisioni prese dalla maggioranza possano essere approvate. Il rispetto della libertà di coscienza, nelle materie in cui è consentita, deve conciliarsi con le prerogative della maggioranza di un partito. Il problema è che a Mineo non venne chiesto su quali pregiudiziali, articoli, emendamenti non ci sarebbe stato il suo voto, né a me se e quando mi sarei addirittura dimesso da Presidente della Commissiopne Affari Europei. Fummo semplicemnete dimissionati e sostituiti. Il giorno successivo, il 12 giugno, in quattordici senatori ci spendemmo dal gruppo del Pd, chiedendo un incontro con la presidenza, per avere il necessario chiarimento. Avevamo due obiettivi: far revocare la decisione e circoscriverla esclusivamente a singole votazioni sulla legge costituzionale; assicurarsi che in aula, sulla Costituzione e sulle leggi elettorali, la libertà di coscienza sarebbe stata pienamente rispettata. L’esito fu soddisfacente solo sulla seconda questione, che indubbiamente era quella di maggior rilievo: il dimissionamento di Mineo e mio era ormai acquisito agli atti”