Di: Leonardo Biagiotti
«Userò questa rubrica, un canale aperto di rapporto con tanti, per comunicare una decisione maturata da tempo e diesi è rafforzata negli ultimi mesi; la legislatura che sì sta concludendo per me sarà l’ultima». Sarà anche un politico della vecchia guardia, ma Vannino Chiti ha scelto un metodo molto moderno, un post sul suo blog, per annunciare la sua decisione di non ricandidarsi alle politiche mettendo così fine ad un impegno e una camera cominciati, parole sue, «fin dal liceo nel movimento studentesco» e ufficialmente nel 1970 in consiglio comunale. Nel post ci sono le spiegazioni alla base della decisione e molti ringraziamenti, ma parlando al telefono emerge di più.

Senatore Chiti,  quando è maturata la sua scelta? «Diciamo che all’ottanta percento ho sempre saputo che questa sarebbe stata la mia ultima legislatura, dopo una lunga esperienza dì cui sono grato al mio Partito ed ai cittadini che mi hanno eletto». maturata la sua scélta «Diciamo che all’ottanta percento ho sempre saputo che questa sarebbe stata la mia ultima legislatura, dopo una lunga esperienza dì cui sono grato al mio Partito ed ai cittadini che mi hanno eletto».
E l’altro venti per cento?
«È maturato in quest’ultima fase. Non ho condiviso, in particolare la scelta del Pd sulla legge elettorale, sia nel metodo, con la fiducia a quattro mesi dal voto, che nel merito. La ritengo una legge sbagliata, frutto di autolesionismo per il ‘Pd, che ha fatto registrare un’ulteriore rottura nel centrosinistra e che non consentirà ai cittadini di poter scegliere del tutto».
Non c’è altro? Magari che lei non si sente più così importante per il Pd.
«No, questo non c’entra. I rapporti personali con Renzi sono buoni. Ci sono differenze politiche, ma c’è correttezza personale. Renzi nel 2001 sostenne la mia candidatura, così come nel 2009 mi chiese di candidarmi a sindaco di Firenze. Il problema non è che io sia importante o meno, che ci siano, come ci sono, differenze di valutazioni o meno, il problema è che il Pd non riesce ad avere sedi dove si possa discutere realmente con il contributo di tutti».
Quindi per lei a dieci anni dalla nascita, il Pd è un’esperienza incompleta.
«Doveva essere una casa comune per una sinistra plurale, ma è rimasto un annuncio, una volontà, sia per come è stato costruito, e questo non riguarda solo Renzi, sia per come è stato gestito nell’ultimo periodo. Non mantiene le promesse delle origini».
Cosa servirebbe secondo lei?
«Prima di tutto bisogna riformare le primarie separando quelle per la scelta del segretario, alle quali devono partecipare solo gli iscritti, da quelle per il candidato premier, aperte a tutti. Non esiste al mondo che una domenica mattina chiunque si possa arrivare ad un gazebo e si voti per il segretario. Se parliamo dell’Italia, invece, ci sarebbe bisogno di una legge elettorale seria, che faccia partecipare i cittadini ma che sappia indicare anche una maggioranza. Inoltre servirebbe una riforma costituzionale coerente con i principi guida della Costituzione, che superi il bicameralismo perfetto».
Sì occuperà di questo adesso? E come? Dentro il Pd?
«Continuerò ad impegnarmi e spero di farlo dentro il partito, se sarà possibile. Vedremo in quali forme, ma voglio dare un contributo per arrivare ad una vera democrazia federale europea». Si candìderà in Europa?  «Assolutamente no».
Aiuterà anche il Pd di Pistoia a riconquistare la città? «Non sono felice che Pistoia sia in mano al centrodestra. A giugno è stata decisiva l’astensione del nostro elettorato. La destra ha avuto gli stessi voti del 2012, quando era dietro dieci punti, e stavolta sono bastati. A Pistoia c’è stata troppa frammentazione. Se ci sarà bisogno sono pronto a dare il mio contributo, ma penso soprattutto alle riforme»