Le sedi di tutta Italia dei centri di assistenza fiscale (Caf) sono state prese d’assalto da tanti cittadini che vogliono richiedere la certificazione Isee e poi il Reddito di inclusione. La Consulta nazionale dei Caf segnala che i loro centri stanno affrontando uno sforzo eccezionale ma che non potranno farlo a lungo. Serve una maggiore presenza dei Comuni e dello Stato.
I potenziali beneficiari sono stimati poco al di sotto dei 2 milioni di persone. In Italia esiste un problema di povertà. Era giusto denunciarlo negli scorsi anni, quando il tema era sottovalutato. È stato importante dotarsi di una legge per affrontarlo. In futuro l’impegno dovrà essere sostenuto con uno sforzo maggiore di risorse economiche e di politiche pubbliche. Bisogna estendere la platea dei cittadini che potranno utilizzare la legge: non si deve rinunciare al compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono alle persone di vivere con dignità. A partire dal prossimo 1 gennaio il reddito di inclusione sarà una prima risposta al dramma dell’indigenza.
Secondo l’Istat, in Italia quasi 5 milioni di persone si trovano in condizione di povertà assoluta: si tratta di circa 1 milione e ottocentomila famiglie. A loro la politica e le istituzioni devono dare delle risposte. È tra i primi compiti di uno Stato quello di contrastare le disuguaglianze e aiutare chi è rimasto indietro, privato della possibilità di godere di diritti fondamentali. Del resto è quello che prescrive la nostra Costituzione. Dobbiamo arrivare, in pochi anni, a realizzare uno strumento universale di sostegno al reddito delle famiglie che si trovano in condizioni di povertà, di chi è senza lavoro, di chi con un reddito troppo basso deve mantenere coniuge, figli e talvolta altri parenti. Queste persone devono essere accompagnate verso percorsi di reinserimento nel mondo del lavoro, attraverso la formazione e l’incontro di domanda e offerta. È una condizione inseparabile dal reddito di inclusione, che io sostengo.
La lotta alla povertà, alle ingiustizie sociali deve essere al centro della proposta del Pd e delle forze che si richiamano al centrosinistra. È una questione di civiltà, ma anche un investimento in risorse umane per il progresso della nostra società.
In cinque anni di governi guidati dal Pd, abbiamo dato al Paese una legislazione e risorse per affrontare la povertà: non sono sufficienti. Lo sappiamo, ma rappresentano un passo concreto. Nei prossimi anni dovremo andare oltre e far sì che anche nell’Unione Europea si assumano obiettivi, ogni anno da verificare, che insieme al rigore nei bilanci pubblici, accompagnino risultati di abbattimento delle condizioni di povertà.