Con questo intervento intendo motivare le ragioni per le quali non voterò la legge elettorale e dunque non parteciperò ai voti di fiducia né al voto finale sulla legge. È una distinzione dalle posizioni del mio gruppo che pesa e mi pesa, ma che non posso evitare, perché aspetti rilevanti della normativa elettorale proposta sono in contrasto con le mie convinzioni, con quanto ho sostenuto dal 2005 in poi, quando venne approvato il cosiddetto porcellum, con le battaglie che invano in questi anni con altri ho portato avanti.  Di questa legge non mi convince la quota esigua dei collegi uninominali. Impossibile andare oltre? Una prima, ampia intesa era stata raggiunta sul 50% di collegi uninominali e 50% di proporzionale. Non era dunque inverosimile questo obiettivo. Ancora meno mi convince il voto unico che impedisce una piena scelta da parte dei cittadini dei loro rappresentanti in Parlamento. Fu uno dei motivi che determinarono la mia decisione di non votare l’Italicum: oggi questo deficit, che ha prodotto una distanza già enorme tra cittadini e istituzioni, mi appare non risolto, bensì aggravato. Non mi convince la pluralità delle soglie per l’accesso ai seggi, vizio tutto italiano: 3%; 10% per le coalizioni; ripescaggio dei voti di chi nelle coalizioni superi l’1%. Uno stimolo al moltiplicare le liste e a dar vita a schieramenti elettorali, non di governo. Lo abbiamo già verificato: errare humanum est, noi perseveriamo! Non mi convince che si mantenga in vita l’ambiguità dell’indicazione del capo della forza politica, quasi che si dovesse eleggere il premier: non è così ha ragione il Presidente emerito Napolitano, che per primo ha sollevato questo aspetto. Non mi convince infine la previsione che si possa essere residenti in Italia e candidati nelle circoscrizioni all’estero: residenti a Fiesole o Castellamare di Stabia o Acireale e candidati in Canada, Stati Uniti, Australia. Ho dei dubbi sulla correttezza costituzionale – quantomeno su quella della rappresentanza –  di un voto che, se dato solo al candidato in un collegio uninominale, verrà poi redistribuito anche alle liste che lo sostengono, in modo proporzionale ai consensi da esse ottenuti. Si dice: bisogna votare questa legge, altrimenti c’è il consultellum, due non leggi, perché la Consulta pronuncia sentenze di costituzionalità, non ha compiti di legislazione.  Questa funzione spetta al Parlamento, ma non c’era e non c’è un’unica soluzione, un’unica via d’uscita. Nella vita degli uomini e in quella politica gli “stati di necessità” si verificano a seguito di scelte, di impostazioni, non per caso. Per mesi si è perso tempo; per mesi si è cullata proprio l’idea di andare a votare con le due leggi eterogenee, conseguenza delle decisioni della Consulta; per mesi si è voluto evitare un confronto, una discussione vera che costruisse una buona legge. Penso che la fiducia, posta dal governo, alla Camera e al Senato, sia un serio errore: mi colpisce la sottovalutazione della gravità della scelta, nascosta dietro la necessità di una legge. A quella richiesta avanzata da taluni gruppi della maggioranza – compreso il mio – e condivisa dall’opposizione di destra, sarebbe stato giusto rispondere con un no. Non era nel Programma di governo, lo aveva esplicitamente dichiarato il Presidente del Consiglio, nel suo discorso di insediamento alle Camere. Non si giustifica, per me, la fiducia su leggi elettorali o sulla Costituzione. Sono principi astratti? No, sono valori da tenere fermi, oggi e domani, come ieri.  In ogni caso di questo errore, ritengo quella del governo la responsabilità minore: più grande è quella dei gruppi parlamentari che l’hanno voluta o condivisa, snaturando così lo stesso strumento della fiducia e dando un contributo al rafforzarsi di quella costituzione materiale, che soffoca la Costituzione della Repubblica. La fiducia che i governi pongono, fin troppo spesso per attuare il loro programma, e – va riconosciuto – anche per la mancata riforma delle nostre istituzioni, questa volta è stata invocata dal Parlamento per ridurre il suo ruolo, la sua funzione, limitare, anzi annullare il confronto al suo interno, addirittura su un tema fondamentale come la legge elettorale, giunta oltretutto alla sua approvazione al termine della legislatura. La fiducia si è così trasformata in uno strumento per controllare voti segreti e ostruzionismo, una sorta di meccanismo alternativo e complementare a “canguri, tagliole” etc. È difficile pensare che una maggioranza così ampia non sarebbe stata capace di sostenere ed orientare un confronto parlamentare serio e battere le sortite strumentali di quanti volessero assumersi la responsabilità di trucchetti per imporre voti segreti non dovuti. Oltretutto su di essi ci sarebbe stata una valutazione della Presidenza del Senato. Quello che ha più pesato, a mio giudizio, è piuttosto la volontà di far approvare ad ogni costo questa legge elettorale prima del voto in Sicilia. Ancora una volta si è davanti ad un’ossessione per le scadenze, già vista in un recente passato, la cui rilevanza appare chiara solo nel ristretto ambito di una politica politicante. È difficile illudersi che i ripetuti voti di fiducia, posti in questa legislatura dai governi sulle leggi elettorali, non costituiscano un grave precedente che peserà nel futuro della nostra democrazia. Il fine non giustifica i mezzi! Non più almeno. Oggi una politica seria deve fondarsi su mezzi e fini, gli uni e gli altri validi. Nel dire questo non metto in sordina la responsabilità al Senato del Movimento 5 Stelle o di chi parla di “fascistellum”: le parole hanno un significato preciso e violarlo è un inganno, non solo un abbaglio estremistico. Né posso condividere e non sottolineare le contraddizioni, le incoerenze, di chi parla di trasparenza, di rifiuto del voto segreto e poi inventa possibili e strumentali voti segreti. Né per me sono accettabili scelte che bloccano il lavoro delle istituzioni, alle quali si giura lealtà, per interessi di parte, per calcoli di propaganda. Questo tipo di opposizione non è certo uguale al mio dissenso sulla legge elettorale: non condivido obiettivi che perseguano il “tanto peggio, tanto meglio”. L’Italia e le sue istituzioni non hanno bisogno di questi comportamenti. La mia collocazione non è quella di non sostegno al Governo: sul suo programma, sulla prossima legge di bilancio, il mio voto c’è. Oggi no, non può esserci, per i motivi che ho richiamato. Infine, una considerazione conclusiva: non so se questa legge saprà dar vita a maggioranze di governo stabili. Ne dubito fortemente, ma non so prevedere il futuro. Quello che vedo e mi preoccupa, oltre alla questione irrisolta del ruolo dei cittadini, di una sovranità mortificata, è la divisione nel centrosinistra. Questa divisione, che mi auguro si possa superare, ma intanto si complica, lascerebbe ampi varchi a quel vento di destra che continua a soffiare forte in Europa. In Italia i rischi sono maggiori, perché c’è una destra partecipe del popolarismo europeo, che non è alternativa ma alleata di partiti lepenisti, ostili dunque all’Europa, all’euro, ai migranti. Voglio augurarmi che nonostante questo passaggio non positivo, per la divaricazione verificatasi anche sulla legge elettorale, restino aperte le porte per un dialogo sui programmi, per un un’alleanza di centrosinistra da ricostruire prima che sia troppo tardi, prima che la sua credibilità venga meno e con essa la voglia di stare in campo, di partecipare, di impegnarsi di quei milioni di cittadini che ancora guardano a noi.