Di: Gigi Di Fiore

Già ministro nel governo Prodi e presidente della Regione Toscana, Vannino Chiti è presidente della commissione Politiche dell’Unione europea al Senato per il Pd. La sua è una voce di dissenso al voto di fiducia sulla legge elettorale, in sintonia con Giorgio Napolitano.

Presidente Chiti, non condivide la scelta del governo Gentiloni di porre la questione di fiducia?
«No, si tratta di una legge elettorale da approvare a quattro mesi dalla fine della legislatura. È una questione delicata, al punto che c’è una raccomandazione del Consiglio d’Europa che chiede di approvare leggi elettorali almeno un paio di anni prima dell’appuntamento al voto».
Una questione di opportunità politico-istituzionale?
«Certo. Sono convinto che le regole sulla casa comune, come le riforme costituzionali, i regolamenti interni e le leggi elettorali, si debbano approvare cercando il più ampio consenso possibile, senza alcuna influenza del governo, ma dando centralità al Parlamento».
Non pensa che la scelta del governo Gentiloni nasca dal timore che la legge sia a rischio approvazione?
«Si era raggiunta un’intesa tra una parte della maggioranza e parte dell’opposizione, come Forza Italia e la Lega. Per questo, non ci doveva essere alcuna ragione per impedire il dibattito in Parlamento.».
La sua è una critica al governo Gentiloni?
«No, la mia è una posizione che prescinde dal governo Gentiloni, anche se il presidente del Consiglio si era impegnato davanti al Parlamento a tenere fuori il governo dalla discussione sulla legge elettorale. Per questo, ritengo sbagliata la richiesta del nostro capogruppo alla Camera».
I numeri sul sì sarebbero in bilico rispetto alla Camera?
«No, non c’è un problema di numeri. Io spero che non si vada avanti con la richiesta, come alla Camera. I numeri sulla fiducia ci sono, ma c’è anche un ragionamento strettamente politico da fare».
Quale?
«Le opposizioni Forza Italia e Lega si avvantaggiano senza rischiare di esporsi, uscendo dall’aula al momento della fiducia dopo aver votato la legge. Il quorum per l’approvazione si salva, ma il ruolo del Parlamento si svilisce con danni al Pd e al centrosinistra in generale».
Perché parla di danni al centrosinistra?
«Tra Pd e Mdp si rischia di accentuare la lacerazione. Mdp ha preso una deriva estremistica, che non porta a nulla e, per criticare la legge elettorale, al Senato ha fatto qualcosa di grave».
A cosa si riferisce?
«All’astensione, che al Senato è un voto contrario, sulla legge europea che Mdp aveva votato alla Camera e anche in commissione al Senato. Abbiamo rischiato di non approvare la legge europea del 2017. L’Italia avrebbe subito ulteriori procedure di infrazione. Un’eventualità che avrebbe ridotto anche le risorse in materia ambientalista ed energetica».
Cosa c’entra le legge europea con la legge elettorale?
«È stato Mdp a mettere le due scadenze in relazione. La motivazione all’astensione è stato un segnale politico da dare al Pd sulla legge elettorale. Risultato: la legge europea è passata solo per il senso di responsabilità di parte delle opposizioni».
Una critica a Mdp?
«Ma anche al Pd, che sta alimentando la disgregazione nel centrosinistra sostenendo il voto di fiducia sulla legge elettorale. Io dico che si potevano discutere alcuni punti, come l’aumento del 36 per cento dei collegi uninominali, l’introduzione di due schede per il voto o del voto disgiunto, o ancora eliminare la possibilità di indicare il capo della formazione politica nell’illusione che sia voto sul capo del governo».
Illusione?
«Si sa che la nostra Costituzione non prevede la designazione diretta del premier, che spetta al capo dello Stato».
E’ contrario in assoluto a questa legge elettorale?
«Questo no. Meglio questa legge che quella ibrida dettata dalla sentenza della Corte costituzionale. Ne faccio una questione di metodo, certamente non condividendo quello che afferma il M5S sulla fine della democrazia. Ma non vorrei che la questione di fiducia sullo strumento indispensabile alla volontà popolare alimenti quella separazione tra istituzioni e cittadini che porta all’incremento dell’astensionismo».