Siamo stati accusati di non avere una proposta alternativa rispetto a questa legge elettorale concordata tra Renzi, Berlusconi, Grillo e Salvini, accettata da qualche petalo della sinistra.
È falso.
Prima di questo “mini-porcellum” in finta salsa tedesca, era stato presentato, da Cuperlo alla Camera e da me al Senato, con diversi parlamentari che l’hanno sottoscritto, un disegno di legge che prevedeva: sbarramento del 3% alla Camera e del 4% al Senato; il 100% di collegi uninominali, assegnati con metodo proporzionale; premio per la governabilità del 10% dei seggi alla lista o coalizione che arriva prima.
Avrebbe avuto lo stesso ampio sostegno del “falso tedesco” attuale, compreso quello – oggi assente – del principale alleato di governo. Renzi lo liquidò dicendo che poteva accadere, non essendoci il maggioritario, che un candidato, arrivato primo nel suo collegio, potesse poi non risultare eletto, perché preceduto da altri dello stesso partito che avessero avuto nei loro collegi consensi più alti.
È vero, perché una legge elettorale perfetta non esiste e questa è una conseguenza del proporzionale. È stato superato quel difetto nella legge che ci viene proposta? No! Anzi, è stato rafforzato e dilatato. Il proporzionale è rimasto, con in più un inutile e confuso mix di collegi uninominali e liste plurinominali; il premio di governabilità è scomparso. I cittadini si troveranno davanti un’unica scheda: con un voto si esprimerà il consenso al candidato nel collegio uninominale e nel listino di 2-6 candidati. Il primo ad essere eletto per ogni partito sarà il capolista del listino bloccato, poi i candidati dei collegi a maggiore consenso, a seguire, se ci sarà ancora spazio, si ritornerà a quelli dei listini, infine i candidati che nei collegi non hanno vinto.
Sono tornati i capilista bloccati!
Dire che così i cittadini scelgono i loro rappresentanti in Parlamento sarebbe un’offesa al senso comune. E viene loro sottratta anche la possibilità di conoscere prima del voto le alleanze e di contribuire a determinare una maggioranza.
Perché allora Renzi ha compiuto questa scelta? Le ragioni possono essere due. La prima: non si vogliono assumere impegni per una coalizione di governo da sottoporre ai cittadini, perché ci si orienta ad un’alleanza con la destra e si ritiene senso vietato andare a ricostruire il centrosinistra. Le smentite di oggi saranno sottoposte alla verifica di domani.
Anche Berlusconi ha interesse a non costruire prima del voto una coalizione, per il peso non digeribile tra gli stessi Popolari europei del lepenismo di Salvini.
Dopo il voto, se si vorrà fare un governo, sarà necessario l’accordo Pd-Forza Italia. Farebbe del resto accapponare la pelle, oltre che esporre l’Italia al disastro, l’ipotesi alternativa di una maggioranza M5S, Lega, Fratelli d’Italia.
Solo che, divenendo un destino permanente e non un’eccezione, una grande coalizione Pd-Forza Italia ci snaturerà e temo farà andare via quel mondo di sinistra che finora guardava a noi.
Si può ritenere irrilevante, oppure si può teorizzare che destra e sinistra siano categorie politiche del passato, oppure ancora che un partito di centro sarebbe la forza progressista del XXI secolo: quello che però conta sono i consensi e a guardare i risultati delle regionali o delle ultime comunali non appaiono di per sé convincenti. Vedremo alle prossime politiche.
La seconda ragione, per la scelta di questo proporzionale, è la fretta per il voto in autunno. Non confessabile, perché chiederemmo, ancora una volta in questa legislatura, di farsi da parte ad un governo presieduto da un esponente del Pd e che vede una nostra rilevante presenza, ma vero se non unico motivo ispiratore: il voto prima possibile, nella convinzione che siano pretesti le preoccupazioni per l’instabilità, i rischi di esercizio provvisorio, le inquietudini di tanti che soffrono per le disuguaglianze crescenti e la povertà.
Certo è che continua e si accentua un metodo fondato su un arrogante accentramento delle decisioni, sprezzante delle regole, spregiudicato nelle coerenze politiche. Continua e si accentua il rifiuto ad un confronto con le parti sociali.
Continua e si accentua una passiva subalternità e conformismo di chi affida il proprio ruolo alla fedeltà acritica al leader del momento, anziché alla lealtà ed all’autonomia di pensiero.
Mi auguro che la minoranza del Pd intenda battersi con efficacia: il rischio non lo corre solo il Pd. Noi stessi possiamo diventare anacronistici indipendenti di sinistra.